In questo terzo Napoli Teatro Festival Italia il teatro si mescola ad altre arti visive, unisce introspezione psicologica a installazioni 3D (come nel caso di “Les Adieux“), si modernizza nelle sonorità linguistiche degli europei di seconda generazione come in “Romeo and Juliet”, e trasforma gli spettatori in attori come nel caso di “Guruguru”.
Solo cinque spettatori per ogni performance, e una volta entrati si capisce perché: si assiste ad una installazione che del tradizionale teatro ha ben poco, molto più in creatività.
Ambientato per l’occasione nel bellissimo Palazzo Leonetti, nell’elegante via dei Mille di Napoli a pochi passi dal Palazzo delle Arti, “centro operativo” dell’intero festival. Una piccola sala a cui si accede dai
sotterranei del palazzo, una palestra, o una stanza dove si insegna danza classica, almeno così sembra, visti il parquet, gli specchi e le sbarre alle pareti.
Lo staff del festival ci ferma all’entrata del palazzo, ci fanno indossare dei cartellini con nomi immaginari, ci fanno leggere delle istruzioni. Cominciano a balenare in testa strane idee: dobbiamo davvero recitare? In un certo modo, così sarà. I nomi dei nostri cartellini sono scritti anche sulle cinque poltrone su cui ci accomoderemo per i prossimi 50 minuti. Una voce-guida ci fa indossare le cuffiette poggiate sulle poltrone (solo dopo averle sterilizzate).
Cinque spettatori che prima non si sarebbero neanche rivolti la parola vengono costretti ad interloquire pronunciando frasi dettate e suggerite dalla propria voce guida in cuffia, il “Guru”. Una forma ibrida tra una seduta psicanalitica e un’analisi commerciale di un “gruppo campione” ci inchioda lì, affascinandoci e divertendoci sempre di più.
Frasi che precedentemente sembravano senza senso cominciano ad incastrarsi le une con le altre, formando un discorso compiuto.
Ma ciò che angoscia e innervosisce è il fatto che si è costretti a pronunciare quelle frasi, imposte dalla guida sonora, nonostante magari non ci si trovi d’accordo con quelle parole. Inesorabilmente le ripetiamo meccanicamente per non sfigurare agli occhi degli altri.
Una ricerca particolare questa, che deriva da un precedente lavoro realizzato dal gruppo britannico Rotozaza intitolato “Etiquette“, ma presentato al festival come un lavoro del fondatore Ant Hampton. Non esistono attori, ovviamente, ma solo noi spettatori che, alla fine, ci ritroviamo invischiati in questa introspezione psicologica imposta, rivivendo angosce e pensieri dei personaggi che siamo costretti ad “indossare”. Il nostro Guru è un’immagine sul video, un viso creato assemblando pezzi vari. Improvvisamente il volto del Guru scompare, vengono mandate in onda confuse immagini di pubblicità e televendite. Poi alcune voci si mescolano nelle cuffie e non sappiamo che dire, non sappiamo quali parole ripetere, realmente disorientati. Il Guru li chiama “garbugli”, mentali, psicologici, linguistici.
Ma in qualche modo si reagisce a questa guida, rendendosi conto che si può scegliere da soli cosa dire, cosa pensare, e mentre il volto di questo vecchio barbuto comincia a cambiare voce, a deformarsi e scomparire, noi rimaniamo appiccicati al video, mentre nelle cuffiette si mescolano lingue, frasi, parole, rumori.
Nessuno dice di alzarci, né determina la fine della performance. Dopo alcuni minuti di “ipnosi” ci rendiamo conto di essere stati, ancora una volta, bombardati da notizie, ordini e concetti che non avremmo voluto fare nostri. Esperimento riuscito, dunque, ma stavolta nessun giudizio sulla recitazione degli attori!
GURUGURU
di Ant Hampton
in collaborazione con Joji Koyoma e Isambard Khroustaliov
produzione: Napoli Teatro Festival Italia con il sostegno di British Council
durata : 50′
Visto a Napoli, Palazzo Leonetti, l’11 giugno 2010