L’audio di un trailer d’epoca copre il vociare del pubblico in sala mentre l’ambiente scenico ultratecnologico inizia ad animarsi. Un’‘infermiera’ di scena sistema un microschermo alle spalle di un attore, che si muove piuttosto come un presentatore. Disorientante è anche il gonnellino macbetthiano, ma ancora di più l’iPad che tiene in mano. Conquista a passo veloce un panchetto e lo posiziona di fronte a una videocamera fissa, diretta sull’interno scena. Si siede e inizia a presentare, insieme al suo doppio, che emerge dal piccolo schermo dietro di lui, la storia di questo straordinario intervento sul più iconico dei personaggi shakespeariani.
L’impressione è che ci sarà un prologo. E così s’inizia ad ascoltare. “Nel 1964 – spiega – Richard Burton visse un’esperienza mai vissuta da nessun altro attore prima di lui, l’occasione di vedere se stesso recitare a Broadway grazie a un processo chiamato Theatrofilm in Electronovision”. Che cosa sia – confessa un po’ imbarazzato – non lo sa. E prosegue: “Non sono uno scienziato”, ma “ho visto il film e posso solo dire che è molto ben prodotto, come quelli che uno vedrebbe, normalmente, a teatro” – si corregge, “al cinema, solo che questo fu girato al Lunt-Fontanne Theatre con un pubblico vero e proprio”.
Solo dopo qualche ricerca si scopre che Scott Shepherd – un formidabile timbro vocale – sta, in realtà, già facendo il suo lavoro con un calco on stage del trailer di apertura. E che siamo già dentro la produzione di “Hamlet” di The Wooster Group, secondo numerosi critici e studiosi, la più importante compagnia d’avanguardia oggi negli Stati Uniti.
Il dispositivo mobile serve all’attore per comunicare, con un ulteriore megavideo con funzione di quinta e sul quale, insieme ai tecnici – oltrepassando, ma senza spezzarla, la quarta parete – inizia a proiettare la storica produzione diretta da Sir John Gielgud con un cast hollywoodiano (fra cui anche l’hitchcockiano Hume Cronyn). Una moltiplicazione di ‘pieghe’ deleuziane, verrebbe da dire, che fanno intravedere una profondità non solo scenica.
Continua dicendo che questo ‘film’ fu presentato contemporaneamente in circa mille cinema per tutti gli Stati Uniti il 23 e 24 settembre di quell’anno, con l’intenzione di non essere poi mai più visto da nessuno. “Mai fino ad ora”.
L’avanguardistico lavoro del gruppo newyorkese non è nuovo all’integrazione di performance e video, e quello su “Hamlet” raccoglie in sé molteplici note peculiari che iniziano sicuramente dalla nozione di ‘fantasma’. L’editing dell’originale miracoloso — che nei primissimi anni Sessanta si stava inconsapevolmente proiettando, letteralmente, nel futuro, gioca sullo spirito di Amleto e delle sue rappresentazioni.
L’intenzione, “nel nostro Hamlet”, si legge nel programma di sala del lavoro nato nel 2005 nel Performing Garage di Wooster Street a SoHo, e che ha continuato a girare fino al Festival di Edimburgo del 2013 (il cui video, ‘piega’ ulteriore, è attualmente accessibile su Kanopy), è quella di invertire il processo ricostruendolo. Un reverse-Theatrofilm – ride il pubblico, in cui Burton c’è e non c’è, proprio come un fantasma, e Shepherd gioca con questo fantasma compensandone le assenze, così come anche tutti gli altri attori dell’ensemble diretto da Elizabeth LeCompte, fondatrice, nel 1967, insieme a Richard Schechner, di quello che all’inizio si chiamava Performance Group.
Un frammento di Grotowski nel programma segnala a quale tipo di teatro appartiene questo frammento di storia dello spettacolo: “Sono impegnato a dialogare con i miei antenati. E, naturalmente, non sono d’accordo con loro. Tuttavia non posso negarli. Sono il mio fondamento; la mia origine. E’ un affare personale fra me e loro”. E di questi ‘antenati’ gli attori riproducono i passi e le voci come in un coro-collage, ne incanalano il passato fondante – proprio come nel processo di canalizzazione dello spiritismo, attraverso ricevitori in-ear ed elementi scenici mobili che minimalizzano ulteriormente l’originale ‘povero’ allestimento: tavolo rettangolare e poltroncina-trono.
Un Castello di Elsinore che si risolveva allora nel suo atrium: un alto fondale-quinta e una struttura diagonale in legno composta da una serie di quattro scalini e una rampa con corrimano, un accenno di armeria e il fantasma del padre in una proiezione-ombra inconfondibilmente gielgudiana… E che qui si ripropone in versione ridotta, neutra, un po’ set cinematografico, un po’ sala prove, per fare spazio al movimento dei corpi e alla loro visibilità. Tutti i tagli e i problemi tecnici — unrendered, che sembrano reali, ma fanno parte del rinnovato copione, sono analogamente stati concepiti per rendere visibili gli attori nuovi, la generazione che onora i predecessori.
Ecco quindi che a colorare di presente i momenti topici della tragedia arrivano non solo le due canzoni-cameo composte appositamente dai Fischerspooner per questo allestimento, quasi un concerto nella performance dedicato alla relazione Ofelia-Laerte (Casey Spooner fa parte del cast e interpreta, fra gli altri personaggi, proprio Laerte, ma anche il ‘technicolor’ e la distorsione elettronica delle voci per la troupe che depone la ‘trappola per topi’), ma in particolare alcuni ‘frammenti-pirata’ innestati sul template burtoniano e ritagliati chirurgicamente dai film di Zeffirelli, Almereyda, Branagh. Il tributo è completo.
Hamlet
by William Shakespeare
Hamlet: Scott Shepherd
Claudius/ Marcellus/Ghost/Gravedigger: Ari Fliakos
Gertrude/Ophelia: Kate Valk
Polonius: Greg Mehrten
Laertes/Rosencrantz/Guildenstern/Player King: Casey Spooner
Horatio/Rosencrantz/Guildenstern/ Player Queen: Daniel Pettrow
Nurse: Koosil-ja
Bernardo/Voltemand: Alessandro Magania
Director: Elizabeth LeCompte
Set: Ruud van den Akker
Lighting: Jennifer Tipton
Sound: Matt Schloss, Omar Zubair, Bobby McElver
Video: Andrew Schneider, Aron Deyo
Assistant to the Director/Stage Manager: Teresa Hartmann
Production Manager: Jim Dawson
Technical Director: Aron Deyo
Costumes: Claudia Hill
Wardrobe: Enver Chakartash
Lighting Supervisor: Stacey Boggs
Rigger: Eric Dyer
Technical Assistant: Cooper Gardner
Production Consultant: Bozkurt Karasu
Producer: Cynthia Hedstrom
General manager: Sandra Garner
Archivist: Clay Hapaz
Video DAILIES: Zbigniew Bzymek
This production is presented through special arrangement with Paul Brownstein
Special Thanks to Richard Prince
Durata: 2h 40’
Visto su Kanopy