Hamlice. Tra Amleto e Alice nella Fortezza di Punzo

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Hamlice (photo: compagniadellafortezza.org)

Questo è l’anno delle prime volte. E allora ecco la mia prima volta dentro al Carcere di Volterra per uno spettacolo della Compagnia della Fortezza, fondata e diretta da Armando Punzo, che sta ora portando avanti la crociata – da molti, anche insospettabili, osteggiata – di fare della casa di reclusione un teatro stabile.
Arriviamo al piccolo castello, lasciamo i nostri tesserini stampa e i cellulari ai controlli, firmiamo un foglio in cui il Ministero della Giustizia ci informa di cosa possiamo e non possiamo fare, e abbiamo tempo ancora per un caffè prima di metterci in fila. Riconosco colleghi e amici, faccio caso all’alito di vento che ci salverà dall’insolazione e comincio a percorrere il corridoio.
Una porta senza maniglie reca su ciascuna anta la scritta “Amleto”. Oltrepassata quella, pavimenti e pareti saranno completamente tappezzati di enormi pagine bianche. A riempirle, con grafie diverse, il segno nero d’inchiostro che riscrive una storia doppia: le battute della tragedia di Shakespeare si mischieranno alle filastrocche di Lewis Carroll. E noi saremo a breve piccoli insetti in fuga in un sotterraneo popolato di mille identità affette dallo stesso morbo, quello della mancata libertà.

“Hamlice” incrocia due drammaturgie (“Hamlet” e quella di “Alice in Wonderland”), ma soprattutto incrocia due concezioni della libertà e della sua negazione. Nella “tragedia del potere” ad avere la meglio è sempre e comunque l’istituzione, la supremazia, l’accentramento, la burocrazia, l’ombra di una società ricoperta di piaghe che si alza in piedi come un monolite incrollabile. E allora l’ouverture dello spettacolo, a cui assistiamo nel grande piazzale del carcere, bianco anch’esso, comporrà una scena rigorosa e agorafobica, tra golem di polistirolo e musica inquietante. Gli attori, paludati e appesantiti dal trucco, mettono in scena “la corte” con estenuanti quadriglie che incrociano alamari, fazzoletti di pizzo e parrucche inamidate. Il loro cattivo gusto brilla di sudore sotto la luce del sole, a un riflesso sovraesposto che sa di narcisismo a tutti i costi. Riconosciamo qualche figura, qualche situazione dell’ “Hamlet” originario, anche se lo stesso Punzo fa di tutto per confonderci le idee in una sarabanda drammaturgica che spezza frasi e lascia spazio alla musica.

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Hamlice (photo: Piernello Manoni)

L’interno dei corridoi lo percorrerò invece con il passo lento della sonda che attraversa l’intestino, mi farò siringa sottile per tirare dentro sangue d’altri. Le scene, frammentate e incoerenti, avranno da regalarmi grandi momenti: le performance del cantante-attore Maurizio Rippa, qui in veste di ospite straordinario, sono strazianti nella sua voce da usignolo mitico, e certe scene di sapore partenopeo inchiodano la schiena al muro. Il passaggio, anche a causa della folla forse eccessiva, è faticoso e disorientante. E se anche a regnare è il disordine, di buono c’è che difficilmente l’occhio incontra angoli morti nei corridoi di questo carcere trasfigurato, che ora somiglia a una casa delle bambole in piena rivolta popolare. Ché forse proprio qui sta il gioco, così si mette in scena l’anarchia del Paese delle Meraviglie. Un mondo capovolto in cui il gioco è, appunto, perdersi, per trovarsi così a strisciare in mezzo a un fiume di gente riuscendo a sentirsi soli. Smarrisco i miei compagni di viaggio ed è proprio questo che mi accade, di sentirmi solo. Derubato anche della mia rassicurante identità di spettatore.

L’epilogo tornerà a svolgersi fuori. Nel mezzo del piazzale, un cumulo di lettere di polistirolo saranno materia prima per una “rivoluzione delle parole”. Al suono di ripetuti “addio”, Armando Punzo ci saluterà da lontano, avrà per noi parole di desolante serietà, di commiato malinconico.
Nelle note si legge: “Quello che per altri è teatro per noi, per questi spiriti liberi, è vita negata. Cercano altre parole, altre azioni, un’altra possibilità, forse ancora non prevista, nemmeno ancora immaginata. “L’Essere inerme”, il non ancora nato, il non ancora definito…”. Eccolo, quel grido consueto verso una libertà dello spirito, eccola la nostra Wonderland. La possibilità di un riscatto riposa sotto quel cumulo di lettere, che servono a creare nuove parole, un nuovo dizionario, nuovi significati. I detenuti attori ci consegnano le lettere, Punzo ci esorta a lanciarle in aria, a sovvertire l’ordine, a “compiere la rivoluzione”. L’idea è creare qualcosa di altro. Mai parole più sentite. E se mi volto, adesso, a fotografare il piazzale, vedo sorrisi spiegati e lacrime molte, anche negli occhi di chi pensavo non potesse piangere. E che ha ritrovato, almeno per questa volta, la gioventù dello stare nel mezzo, l’età indecifrabile del fare la differenza.
Mentre mi forzo a non prendere appunti, ché i ricordi prendano da sé le proprie forme, mi occupo solo di cronometrare il tempo degli applausi, scroscianti sulle spalle di chi lentamente, in fila indiana, testa alta, se ne torna nella propria cella.

HAMLICE – SAGGIO SULLA FINE DI UNA CIVILTÀ
drammaturgia e regia: Armando Punzo
produzione: Compagnia della Fortezza
con i detenuti attori: Salvatore Amirante, Aniello Arena, Salvatore Arena, Santo Arnesano, Massimo Basile, Gennaro Buonomo, Placido Calogero, Giovanni Carpentieri, Pierangelo Cavalleri, Dorjan Cenka, Alessandro Cervasio, Emanuele Cirillo, Rosario D’Agostino, Domenico D’Andrea, Pietro De Lisa, Kreshnik Dauti, Vittorio De Vincenzi, Carmine Desiderio, Mario D’Urso, Abderrahim El Boustani, Nicola Esposito, Francesco Felici, Alban Filipi, Salvatore Galdi, Massimo Izzo, Luca La Sorte, Andrej Kovalchuck, Gaetano La Rosa, Giovanni Langella, Mohamed Lazri, Luigi Liberatori, Antonino Mammino, Francesco Manno, Gianluca Matera, Massimiliano Mazzoni, Sebastiano Minichino, Giovanni Moliterno, Salvatore Muscato, Raffaele Nolis, Mariano Parisi, Andrea Pezzoni, Giacinto Pino, Nikolin Pishkashi, Cristiano Puddu, Ersilio Samperi, Jamel Soltani, Vitaly Skripelion, Rosario Saiello, Elton Salah, Danilo Schina, Guerrino Spinelli, Antonio Tagliaferri, Domenico Tudisco, Davide Tuttolomondo, Alessandro Ventriglia, Gennaro Wierdis e con la partecipazione straordinaria di Maurizio Rippa e Stefano Cenci
scene: Alessandro Marzetti
costumi di scena: Emanuela Dall’Aglio
musiche originali: Andrea Salvadori
movimenti di scena – coreografie: Pascale Piscina
collaborazione artistica e assistenza alla regia: Stefano Cenci, Laura Cleri
assistente ai costumi: Silvia Bertoni
video: Lavinia Baroni
collaborazione al progetto: Manuela Capece, Elena Turchi, Alice Toccacieli
foto: Stefano Vaja
collaborazione agli allestimenti: Marzio Superina
direzione tecnica Carlo Gattai, Fabio Giommarelli
disegno luci: Andrea Berselli
suono: Alessio Lombardi
assistente agli allestimenti: Yuri Punzo
coordinamento: Domenico Netti
collaborazione al progetto: Luisa Raimondi
assistenti: Adriana Follieri, Daniela Mangiacavallo, Marta Panciera
durata: 1h 20’
applausi del pubblico: 8’

Visto a Volterra (PI), Casa di Reclusione, il 26 luglio 2010

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