Compagnia della Fortezza all’Hangar Bicocca: immagini dal Paese delle Meraviglie

Hamlice (photo: hangarbicocca.it)
Hamlice (photo: hangarbicocca.it)
Hamlice (photo: hangarbicocca.it)

Lo confesso. C’è stato un momento, quando Punzo-Amleto ha dischiuso la porta del Paese delle Meraviglie, in cui ho pensato di assistere alla cosa più bella avessi mai visto durante una rappresentazione teatrale.
L’Hangar Bicocca è fatto così: l’ingresso dà accesso ad un primo ambiente, lungo e inframmezzato da colonne, di fatto un capannone industriale lungo una cinquantina di metri e largo poco meno, con un soffitto alto forse quattro metri. L’anno scorso aveva ospitato il primo contest dell’Antigone dei Motus.

Il secondo ambiente è enorme: era il vero e proprio stabilimento industriale appartenuto al Gruppo Ansaldo e dedicato alla produzione di bobine per i motori elettrici dei treni. Un soffitto alto 20 metri, forse più. Nel 2004, quando già si era sviluppata l’idea di destinare l’edificio a luogo delle arti, si pensò di coinvolgere direttamente artisti di fama internazionale interessati a raccogliere la sfida di progetti site-specific, come Anselm Kiefer che, in quell’anno, ha realizzato la monumentale opera permanente “I Sette Palazzi Celesti”.

Chiusi nel “piccolo” spazio del primo ambiente, gli oltre mille e duecento spettatori accorsi per l’”Hamlice” di Armando Punzo a Milano si aggirano fra le opere degli artisti partecipanti al progetto Terre Vulnerabili – a growing exhibition alla ricerca dello spettacolo.

La voce amplificata e irridente di Punzo (che, intervallandole con una risata sardonica, legge alcune pagine dell’Amleto su scarpe a zeppa alta, aggirandosi qui e lì) è la falsa guida di un popolo in cerca dell’evento. Non succede niente, lo spettacolo è questo sciame sperso, alla ricerca del nulla. Api in cerca di un miele che nessuno dà.

Ad un certo punto il coniglio, il cappellaio matto e Amleto aprono la grande porta scorrevole d’acciaio che separa il primo ambiente dal secondo, quello grande.
Sotto le immense torri di cemento che compongono l’installazione permanente, ecco il tavolino con i ninnoli, Alice a servire il tè e un iceberg di polistirolo, nel cui finto ghiaccio uno scultore intaglia un guscio di lumaca di cui si farà copricapo. Soldatini con chiavi per porte inesistenti. Blocchi di ghiaccio come dolmen di silenzio, per una corte che pian piano da reale diventa plebea. E tutto il popolo, noi, attorno, a ronzare, come nelle piazze di qualche secolo fa. Ad aspettare il sangue di un’esecuzione, una decapitazione, qualcosa di truce e poetico.

Invece tutto è micro. Tutto avviene in angoli nascosti. Mentre altrove sicuramente lo spettacolo c’è. E allora ci affanniamo a cercare. Sembra quasi sempre di essere nel posto sbagliato; sembra che lo spettacolo sia in un altro luogo. Ma dove? Il paradosso diventa allora salutare l’amico, mettercisi perfino a parlare, mentre altrove… beh sì, altrove.

Siamo noi la società dell’Altrove, del Paese delle Finte Meraviglie e delle Vere Miserie. Gli ingabbiati che parlano agli uccelli, i preti femminielli, le puttane regine, i re ignoranti e tutta la corte dei battimani, i buffoni che si struccano. E noi miserabili a guardare, a cercare lo spettacolo, il carcerato attore, il morto ammazzato, la bimba massacrata, l’incidente nell’altra corsia dell’autostrada.

Altrove andava cercato questo spettacolo. In quell’altrove di parole nuove da comporre con le lettere di polistirolo che come una nuvola, alla fine, noi stessi del pubblico lanciamo verso qualcun altro che raccoglierà e rilancerà. Una nube. Un ammasso informe di concetti e speranze ancora di qui a venire. Mentre il finto spettacolo finisce e, come in un sambodromo brasiliano durante il Carnevale, in processione, gli abitanti del Paese delle Meraviglie sfilano via. Per tornare Altrove.
Con il prossimo spettacolo “voglio coinvolgere tutta la città di Volterra”, svela alla fine Punzo. Un altrove che è di nuovo un ritorno a casa.

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