Siamo tornati a Spoleto, antica cittadina umbra circondata dalle colline dell’Appennino, per vedere – dopo la fase dei preparativi primaverili – come si sta svolgendo il primo La Mama Spoleto Open.
Conosciuta teatralmente per il grande Festival dei Due Mondi, un festival “patinato” e monopolizzante di una certa realtà teatrale estiva, Spoleto quest’anno è stata abitata, è il vero caso di dirlo, da un altro festival che ha fatto parlare di sé. Un fringe a tutti gli effetti.
I coraggiosi organizzatori sono quelli del gruppo La Mama di Spoleto, che da anni rappresentano il ponte tra New York e l’Italia, con la collaborazione di numerose realtà e associazioni culturali locali come Offucina Eclectic Arts, il Festival Pianistico di Spoleto, l’Osteria Rossobastardo, Editoria e Spettacolo… per citarne alcuni.
Primo intento del festival: l’internazionalità; il secondo, legato al primo, quello di aprire le porte del teatro mondiale alla cittadinanza. Accoglienza nel senso più ampio del termine, insomma, “accogliere un pubblico variegato, non elitario del grande circuito dei festival teatrali” spiega Andrea Paciotto, tra gli ideatori e organizzatori della lunga rassegna estiva, partita il 30 giungo e che si concluderà il 16 settembre. “Si cerca di coinvolgere un pubblico etereogeneo”, dalla vecchietta all’adolescente.
Ed accoglienza, proprio mentre Klp sta pubblicando un reportage dal Fringe più famoso al mondo, quello di Edimburgo, è anche quella proposta alle giovani compagnie autofinanziate, italiane e straniere, attraverso l’accoglienza nei propri spazi, come quelli del Cantiere Oberdan (da quest’anno in gestione al gruppo de LaMama e ad altre quattro associazioni locali per i prossimi cinque anni, per spettacoli, residenze artistiche, incontri e workshop).
Il festival è sostenuto e finanziato dal Comune di Spoleto. Il gruppo di La Mama è stato vincitore “quasi casuale e per gioco”, raccontano gli organizzatori, di un bando pubblico per la presentazione di eventi culturali. Il progetto, che al momento si sta realizzando con grande successo, prevede non solo spettacoli teatrali, ma anche concerti rock e jazz, installazioni e performance, site specific, danza (a cura di Marco Schiavoni e Caterina Genta del Balletto di Spoleto), teatro di strada, reading, incontri tra operatori del settore, residenze artistiche, fino all’esposizione di quadri e fotografie.
L’arte in ogni sua accezione è stata accolta negli spazi del Cantiere Oberdan, nell’adiacente chiostro di San Nicolò, nel piazzale della stazione ferroviaria di Spoleto, per le vie della città e del centro storico. Una città che si apre all’arte e alla popolazione, non solo locale.
Le residenze artistiche hanno ospitato negli spazi del Cantier Oberdan compagnie e artisti per la maggior parte stranieri, che nel periodo loro offerto hanno potuto realizzare progetti speciali, performance, site specific e spettacoli.
Primi fra tutti gli statunitensi Stephan Koplowitz e John King, con “Stabile/Mobile”, che ad apertura della rassegna hanno presentato un progetto di danza site specific, creato per Spoleto in occasione del 50° anniversario della mostra “Sculture in città”.
Questo evento ha risposto al desiderio degli organizzatori di “coinvolgere il più possibile la città – prosegue Andrea Paciotto – Infatti è stato presentato alla stazione ferroviaria, proprio sotto l’opera dello scultore Alexander Calder, commissionata in occasione della mostra “Sculture nella città. Spoleto 1962″ e installato nel piazzale antistante la stazione di Spoleto. Il Teodelapio è il primo stabile a scala urbana realizzato dallo scultore. La performance messa in scena sotto di esso ha donato poesia e valore all’opera stessa creando un ponte tra la popolazione locale e l’arte”.
Una estate che è proseguita con Marco Calvani e Neil Labute: ognuno ha diretto la pièce scritta dall’altro, dando vita a due prime internazionali con alcuni ospiti d’eccezione, quali tra gli altri Andrea Ferrèol e Urbano Barberini.
Dalla Colombia Luis Fernando Franco Duque, con il Progetto Ekos, ha realizzato un concerto multimediale in cui i suoni tradizionali si fondevano con ambientazioni elettroniche e immagini digitali.
E poi l’atteso progetto (nostrano) di Marco Schiavoni, con il progetto speciale Spoletolab – ReteDanza, che consiste in una serie di incontri di danza contemporanea con la partecipazione di una serie di giovani compagnie, che vedrà in scena la performance curata dal Balletto di Spoleto durante la serata del 15 settembre.
La presenza di artisti stranieri in residenza ha donato all’intero festival il calore della passione e della professionalità dell’arte teatrale internazionale, trasmettendola non solo agli altri artisti ma anche agli spettatori.
Prendiamo una giornata di questa lunga estate: il 10 agosto, ad esempio, una data rappresentativa – per tipologia e scelta degli spettacoli – delle intenzionalità del festival. Prima caratteristica è stata quella di affiancare uno spettacolo di teatro di figura sperimentale al cabaret e alla musica jazz, riuscendo a coinvolgere un pubblico variegato.
Lo spettacolo presentato nella sala teatrale di Cantieri Oberdan è stato “Il Castello” di Francesco Gigliotti della compagnia Opera Prima, nata a Latina nel 1995 per iniziativa di un gruppo di giovani attori, a seguito di un corso di formazione della Regione Lazio, con l’attore e regista Francesco Marino.
Dal 1999, assieme al regista Gigliotti inizia un percorso di ricerca sul metodo del Teatro d’Arte dinamo-plastica. Lo studio e il confronto delle tecniche performative dell’attore fra tradizione e contemporaneità è elemento essenziale di ricerca.
Lo spettacolo presentato, tratto da un’opera di Franz Kafka, ha sublimato la narrazione attraverso l’utilizzo di un linguaggio non verbale, corporeo, con l’azione fisica e ciò che il regista definisce il “codice energetico della maschera”. Questi mezzi espressivi, derivanti da uno studio del mimo di Decroux e della commedia dell’arte, rappresentano l’unico mezzo comunicativo dell’attore. Le immagini sceniche surreali, i personaggi onirici, le atmosfere poetiche e la precisione delle partiture fisiche non sempre hanno accompagnato lo spettatore alla comprensione della narrazione e spesso hanno reso ostica ogni lettura dei contenuti della rappresentazione. Uno spettacolo degno di attenzione per la sperimentazione accurata dell’uso della maschera, ma che forse non è riuscito a pieno a coinvolgere intellettualmente lo spettatore. Nonostante ciò il pubblico è rimasto affascinato da una tipologia teatrale poco conosciuta e dall’atmosfera magica creata in sala.
Portando con sé la sensazione di aver assistito ad un sogno ad occhi aperti dai colori crepuscolari, il pubblico si è poi spostato negli spazi dell’adiacente chiostro San Nicolò ed è stato catapultato emozionalmente nello spettacolo “La metafisica dell’amore”, della compagnia Le Brugole, scritto da Giovanna Donini e Francesca Tacca che ha come protagoniste Roberta De Stefano e Annagaia Marchioro.
“È uno spettacolo dedicato a chi ha ancora voglia di amare e di ridere di questo disgraziato dolore che ti prende allo stomaco senza distinzione di sesso, di razza, di lingua o di religione – ci spiega la compagnia – Vuole essere un passo in più verso il rispetto, perché la discriminazione, guardata col cuore, si rivela nella sua stupidità”.
Quanto onirico e simbolico è stato il primo spettacolo quanto diretto, ironico e di immediata comprensione è stato quello delle simpaticissime attrici di Le Brucole. Il pubblico è stato immediatamente coinvolto e accolto piacevolmente nell’universo conosciuto, ma spesso non compreso, dell’omosessualità femminile, lasciandosi guidare nel percorso narrativo ed accogliendo a sua volta un pensiero sull’amore spesso ancora considerato non convenzionale.
In prima fila una decina di ultra settantenni e bambini di diverse età, sparsi in platea, hanno dimostrato la completa riuscita di questo particolare accostamento di due spettacoli tanto diversi fra loro.
Per poi concludere la serata con il concerto jazz del gruppo Corners Trio, perfetta chiusura di una serata ricca di suggestioni nella calda estate umbra, in un luogo affascinante ed evocativo come il chiostro di San Nicolò.
Un festival, insomma, che sta riuscendo a coniugare leggerezza e approfondimento, coinvolgendo un pubblico trasversale e accompagnandolo dolcemente verso la conoscenza anche di generi artistici meno noti. Prossimi appuntamenti, particolarmente attesi dal pubblico e dagli organizzatori, sono, oltre alla serata di chiusura del 16 settembre, l’evento speciale del 5 settembre dedicato ai 50 anni del Teatro La Mama E.T.C. di New York: “The La Mama Cantata” in onore di Ellen Stewart, scomparsa lo scorso anno.
L’evento, uno spettacolo fra musica e teatro di Elizabeth Swados, verrà presentato in prima mondiale negli spazi della Chiesa di San Salvatore e da qui prenderà il volo per una tournée internazionale.
“The La Mama Cantata” parla proprio di lei, de La Mama (così veniva chiamata la Stewart) e delle sue idee, che hanno influenzato il teatro mondiale. La musica vuole comunicare il mondo de La Mama nella diversità dei ritmi, degli stili, delle numerose voci che l’hanno caratterizzata in questi 50 anni. “Si tratta di un lavoro divertente, ma che al tempo stesso celebra la memoria di Ellen – afferma la stessa Swados – La Mama è un luogo magico e farne parte è come fare il giro del mondo”.
Spoleto sta riuscendo, durante quella che è stata una afosa estate, a contenere un mondo di volti, mentalità, pensieri grazie all’audacia di un’arte che dimostra di poter essere fruita da chiunque abbia il cuore e il desiderio di accoglierla nei luoghi della propria quotidianità.