Hospice. Glen Çaçi nella solitudine della fine

Hospice (photo: Guido Calamosca)
Hospice (photo: Guido Calamosca)
Hospice (photo: Guido Calamosca)

Il termine inglese “Hospice” è diventato un riconosciuto neologismo a livello internazionale dal significato unico e preciso, designando una struttura sanitaria residenziale per malati terminali.
Fedele al titolo, la scena dello spettacolo di Glen Çaçi che si disvela nel momento in cui il buio invade la platea e il palco prende vita, è quella di due stanze, una caratterizzata da una vasca da bagno, l’altra da una poltrona.

Nelle stanze troviamo due corpi umani (quelli dello stesso Glen Çaçi e di Silvia Mai), chiusi nella loro intimità di pensieri, attorcigliati nel proprio sentire che esclude il resto. Al centro una finestra, la cui forma evoca lo schermo di uno smartphone, e dove scorre il fuori, l’esterno, i ricordi, la vita.

L’azione scenica passa da una stanza all’altra mostrandoci i due interpreti alle prese con le loro solitudini dolorose. La vasca e la poltrona diventano il simbolo di questa solitudine, luoghi piccoli che stigmatizzano l’implosione dell’universo personale nel minimale di un dolore.

Le luci, tagliate e taglienti, chiudono gli spazi allargando le zone di buio. Grandi ventilatori agitano impalpabili presenze, creano turbinii di foglie, spargono petali rossi. L’unico incontro tra le due solitudini é un toccante momento affidato a mani che abbracciano disperate, un unico corpo con quattro braccia che cerca di ritrovare una realtà e una dimensione svegliandosi al tatto.

Sono immagini evocative costruite con coerenza drammaturgica, e sottolineate da un’efficace composizione sonora e da un indovinato disegno luci; immagini forse poetiche, ma che non diventano ‘toccanti’, lasciandoci spettatori passivi di una storia che pare non appartenerci, e che con noi non viene condivisa: ci viene solo mostrata con una sorta di compiacimento per la propria invenzione. Senza diventare specchio in cui rifletterci, universalità di una situazione che a sé ci richiama.

Il meccanismo scenico ha un’alternanza sempre uguale a sé stessa e quindi ingenera un ritmo costante e monotono, contribuendo a togliere pathos alle immagini create. I segni danzati sollevano delle perplessità nella ricerca dello specifico del corpo, cadendo alle volte in stereotipi che vengono da generi non propriamente coerenti con il resto. “Hospice” è la seconda prova per questo giovane coreografo albanese, vincitrice tra l’altro del premio romano Equilibrio 2013, ad Ancona presentato in una forma un po’ diversa da quella iniziale.
Ma nell’ambiguità dei generi che Glen Çaçi sceglie si perde l’esatta percezione di ciò che si sta guardando, rischiando di far spostare lo sguardo altrove.

HOSPICE
di Glen Çaçi
con: Glen Çaçi e Silvia Mai
disegno luci e drammaturgia: Andrea Soggiorno
sound design: Sec
training: Paola Stella Minni
produzione: Fondazione Musica per Roma, Marche Teatro-Inteatro
con il sostegno di: Consorzio Marche Spettacolo
nell’ambito del progetto: REFRESH – Lo spettacolo delle Marche per le Nuove Generazioni
in collaborazione con: Associazione Culturale dello Scompiglio
coproduzione Parc de la Villette nell’ambito di Résidences d’artistes
un ringraziamento particolare a Comune di San Ginesio, Sergio Lombardi

durata: 45’
applausi: 2’

Visto ad Ancona, Teatro Sperimentale, il gennaio 2015

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