A Genova la performance di Emanuele Rosa e Maria Focaraccio, sostituita in scena da Melissa Cosseta
E’ un passo a due “fuori formato” (dura solo 17 minuti) “How to_just another Boléro” di EM+, Emanuele Rosa e Maria Focaraccio, che ha già visitato diversi festival e palcoscenici europei e che approda a Genova, città di origine di Emanuele, in occasione della 13^ edizione del festival Testimonianze Ricerca Azioni diretto da Clemente Tafuri e David Beronio.
La scena aperta mostra, al momento dell’ingresso del pubblico in sala, un tappeto a terra con i due danzatori, o meglio: i due danzatori (Rosa stesso e Melissa Cosseta – che sostituisce la parte originariamente creata da e per Maria Focaraccio) mostrano al pubblico una visuale da dietro dei corpi, ovvero i loro sederi in coulotte rosa fluorescente.
Partono le note del Boléro di Ravel (qua la mente non può non andare al “Boléro” di Maurice Béjart del 1961) e i due interpreti continuano ad offrire allo spettatore punti di vista inusuali dei corpi attorcigliati: le piante dei piedi intrecciati, le schiene poste simmetricamente, gli incavi dei gomiti. I corpi agiscono sempre uniti, quasi un tutt’uno.
Assistiamo a uno show delle membra in cui tutte le parti del corpo sono coinvolte, in una scrittura corporea altamente democratica, in cui nessun segmento anatomico è escluso; anzi, potremmo dire che proprio le parti meno visitate dalla danza “standard” vengono preferite. Le angolazioni e i punti di vista scelti per esibire questa danza a due sono proprio quelli meno usati e frequentati.
E’ in nome di questa “democrazia” tout court che scopriamo che la coulotte è identica per entrambi gli interpreti e che è l’unico pezzo indossato, ponendo una nudità avvertita come tale per il topless della danzatrice, ma registrata come ordinaria per la mise dell’uomo.
Quando scopriamo i volti dei danzatori, espressione severa con sguardo indagatore, mentre la musica si fa a poco a poco incalzante, le figure create dai corpi, spesso a quattro zampe, sono sempre più articolate, creando una sorta di spettacolo di clownerie fisico alla ricerca di pose e movimenti da quadro surrealista, per uno spettacolo al contempo allegro e malinconico. Ci sembra di vedere due animali in gabbia, allo zoo, oppure al circo, confinati – se non reclusi – nel quadrato del tappeto su cui agiscono, un tappeto che è allo stesso tempo domestico ed esotico, richiama tanto la casa quanto un immaginario orientale e polveroso, da “Mille e una notte”.
«L’idea di questa performance è nata due anni fa, a Berlino, nel periodo dopo il lockdown – Ci racconta Emanuele Rosa – Io e Maria decidemmo di comporre questo lavoro ragionando sulla riscoperta del contatto fisico, così importante per i danzatori, che per motivi più forti era stato impossibilitato. Eravamo abituati a danzare come un’abitudine, come compiere un’azione o un gesto quotidiano; abbiamo dovuto disabituarci per poi riscoprirlo».
Ecco che in quest’ottica capiamo di avere davanti due persone-corpi che ragionano e giocano sulla prossimità, sulla vicinanza, sulla nostalgia del contatto epidermico tra corpi, in continuo bilico tra lo scherzoso e il drammatico, in una ricerca allo stesso tempo maestosa e goffa verso l’ascendenza, la verticalità, come dimostrato nel finale, una drammatica rincorsa verso una via di uscita – invisibile e forse neanche esistente – che sta in alto, oltre la verticalità dei corpi finalmente in piedi, che cercano invano di lasciare la propria dimensione di orizzontalità terrena verso un’ascendenza astratta.
I due individui si annusano, quasi come due animali, creano una riscoperta sensoriale scrivendo un racconto nuovo, breve e delicato, su una possibile epopea dell’incontro. «La sdrammatizzazione è una cifra molto importante di questo lavoro, ci piace l’idea di prenderci sul serio con leggerezza, in un momento in cui nella danza sono in molti a indirizzarsi verso toni più cupi o drammatici. Diciamo che noi abbiamo deciso di fare teatro seriamente, senza essere troppo seri».
La dissonanza stridente fra l’azione fisica e la scelta musicale appare come una sottolineatura dell’ironia di questo pezzo, che cammina sempre con un piede nel lirico, nel drammatico, quasi nell’epico, e l’altro sui toni pastello dello scherzo, del naïf.
Non trascurabile, anzi di forte rilevanza, la riflessione che “How to_just another Boléro” innesca sul tema dello sguardo, che da concetto esperienziale diventa vera e propria azione, movimento soggettivo dello spettatore che attivamente e inevitabilmente posa gli occhi sulla pelle nuda che i danzatori esibiscono, al limite del voyerismo, facendo sì che gli interpreti diventino poco più che dei soggetti-oggetti animati, proprio come gli animali dello zoo, capaci di realizzare solo in parte – e con infinita frustrazione – le proprie aspirazioni naturali e sociali.
Lo spettacolo sembra a prima vista semplice e leggero, e in qualche modo questa è la sua chiave di lettura dominante e peculiare, ma strati differenti cuciti tra di loro formano un patchwork eterogeneo, a tratti dissonante a tratti armonico, come un tappeto colorato che, una volta dispiegato, apre a un mondo di storie, riflessioni, visioni, composizioni.
Un inno alla diversità e all’innocenza di uno sguardo nuovo, nel mondo post-apocalittico del dopo-pandemia, che canta un nuovo modo di approcciarsi ai corpi e, per osmosi, al teatro e all’esistenza.
HOW TO _ just another Boléro
EM+ | Emanuele Rosa & Maria Focaraccio
Concept e Coreografia: Emanuele Rosa e Maria Focaraccio
Performance: Emanuele Rosa e Melissa Cosseta
Costumi: Emanuele Rosa & Maria Focaraccio
Luci: Michele Piazzi
Supporto drammaturgico: Carlotta Jarchow
Durata: 17’
Applausi del pubblico: 3’
Visto il 13 novembre 2022 al Teatro Akropolis