Una delle finalità del teatro è quella di riuscire a comprendere il proprio tempo e i bisogni delle persone che quel tempo lo vivono. In tempo di pandemia, il bisogno attuale è quello di poter tornare a sorridere, forse nell’unico modo in cui è possibile: con leggerezza. Con quella leggerezza che “non è superficialità, ma planare sulle cose dall’alto, non avere macigni sul cuore”, come scrive Italo Calvino in “Lezioni americane”.
“I due gemelli” per la regia di Jurij Ferrini, complice la felice riscrittura in chiave contemporanea di Natalino Balasso, è una commedia brillante che riesce a farsi largo nell’inquietudine di questo tempo sconcertante, per restituire al pubblico un momento divertente e leggero, ma non superficiale. Ecco allora che il teatro diventa ancora una volta strumento per svelare il volto autentico del mondo, interrogandosi con sarcasmo e arguzia sul senso della vita, sull’identità, sui destini decisi dal caso, sull’apparenza e persino sul concetto di virtuale, che tende molto spesso a sostituirsi al reale.
La vicenda drammatizzata con estrema sagacia da Balasso è ambientata negli anni Settanta del Novecento. Ed è proprio il periodo dei grandi movimenti di protesta, degli scontri tra comunisti e fascisti, del terrorismo e delle contestazioni politiche a offrire un background inaspettato, ma quanto mai efficace, per sviluppare tutta una serie di metafore. L’architettura del testo settecentesco di Goldoni rimane invariata, così come i meccanismi comici, ma tutto viene proiettato e perfezionato per una società libera, contraddittoria e in piena emancipazione come quella italiana di allora. Operazione coraggiosa che, grazie allo stile irriverente del drammaturgo veneto, esalta le tematiche dell’opera originale rendendole particolarmente attuali.
Protagonista della storia, sul palco dello Stabile di Torino, è Jurij Ferrini (sua anche la regia), nel doppio ruolo di Zanetto e Tonino, due gemelli identici ma dalla personalità opposta. Il primo è un cantante in cerca di fortuna e identità, che arriva a Verona per sposare la bella Rosaura e scardinare finalmente i sospetti sulla sua presunta omosessualità; il secondo è un affascinante criminale in fuga dalla legge, che si ritrova nella stessa città per ricongiungersi all’amata Beatrice e che non ci pensa due volte a tirar fuori il coltello. Una polarità che innesca fraintendimenti a gogò, esilaranti coincidenze e improbabili scambi di persone, in un gioco spassoso di equivoci e doppi sensi che scatena non poche risate e si presta a far da contesto per ragionare su temi quali la menzogna e la verità: “In oggi chi sa più fingere sa meglio vivere, e per essere saggio, basta parerlo” afferma il perfido Pancrazio in un passaggio della commedia.
Prodotto da Progetto U.R.T. (Unità di Ricerca Teatrale), in collaborazione con il 53° Festival Teatrale di Borgio Verezzi, a calcare la scena, accanto al mattatore Ferrini, una compagnia di sette giovani attori coinvolti in più ruoli, abili ad interpretare la variegata gamma dei personaggi goldoniani che in questa rilettura contemporanea diventano più complessi, più sviluppati, sicuramente lontani dalla maschera stereotipata della Commedia dell’Arte.
Mettendo in campo tutti gli strumenti a disposizione – dall’agilità del corpo alla duttilità della voce, dall’impianto dello spazio scenico alla manipolazione del tempo ritmico – l’ensemble genera ripetute situazioni comico-grottesche che ben evidenziano la fallacità delle nostre percezioni, la nostra scarsa lucidità.
Sul palco poche panche modulari di ferro, un tavolaccio da osteria, un telefono a gettoni e due paratie di legno su cui campeggiano le scritte – Chi sono? Cosa ci faccio qui? Perché? – e che rappresentano l’edificio da cui entrare e uscire per cambiare ruolo e dar vita a una girandola di ambiguità. Una scenografia scarna, firmata da Eleonora Diana, e movimentata a vista dagli stessi interpreti. I costumi casual, di Paola Caterina D’Arienzo, ci riportano agli anni Settanta e a un look fatto di tessuti leggeri e dalle fantasie floreali o geometriche. Quelli utilizzati per vestire il gruppo dei Figli dei Fiori, perso nell’indolenza e in sogni psichedelici tra alcol e droga, rendono perfetto uno dei momenti più divertenti dell’intera commedia. Anche le musiche, contestualizzate, spaziano dagli anni Sessanta ai Novanta e “Il tempo di morire” di Battisti-Mogol, che Zanetto dedica a Rosaura affacciata alla finestra, stimola inevitabilmente la risata nel pubblico, chiamato in causa di continuo.
Il linguaggio è quello d’uso corrente, e serve a rendere credibili i personaggi, mentre spiazzante è la presenza di numerosi inciampi voluti, come se gli attori avessero dimenticato la parte, un effetto improvvisazione cercato da Balasso che conosce a mena dito i tempi comici.
Eppure, nonostante la vena irridente che permea l’intera opera, non mancano virate verso la tragicità, allineata pur sempre sul binario della commedia: c’è la morte di Zanetto e quella di Pancrazio, che non a caso viene sotterrato con una moltitudine di peluche colorati di diverse dimensioni.
Intrecciando scena classica e contemporanea, lo spettacolo è una riflessione che, con leggerezza ma senza cadere nella superficialità, ci regala uno sguardo sulla nostra storia recente.
In scena a Torino fino al 19 dicembre.
I DUE GEMELLI
libero adattamento di Natalino Balasso da I due gemelli veneziani di Carlo Goldoni
con Jurij Ferrini, Francesco Gargiulo, Maria Rita Lo Destro, Federico Palumeri, Stefano Paradisi, Andrea Peron, Marta Zito
costumi Paola Caterina D’Arienzo
scenografia Eleonora Diana
luci e suono Gian Andrea Francescutti
regia Jurij Ferrini
Progetto U.R.T. in collaborazione con 53° Festival Teatrale di Borgio Verezzi
Durata: 2 h
Applausi del pubblico: 5’ 10’’
Visto a Torino, al Teatro Gobetti, il 9 dicembre 2021