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Morire per delle idee. I Giusti di Camus e Conte

I Giusti (photo: Donato Aquaro)

I Giusti (photo: Donato Aquaro)

Una grande gabbia di ferro troneggia come unico elemento sul palco del Teatro della Tosse di Genova. Il grigio della struttura si staglia su un telo bianco che riveste il fondale. E’ lei, la gabbia, la prigione, a farsi assoluta protagonista. E’ una costrizione fisica, metafora di quella complessità psicologica che funge da fulcro per un’altra cella, quella che in Camus obbliga i personaggi, la coscienza, o meglio il fare i conti con essa.

“I Giusti” racconta una storia tanto lontana quanto estremamente attuale: gli attentati dei rivoluzionari socialisti russi tra il 1901 e il 1906, che provocarono più di duecento morti. Quello che però interessa e che diventa tangibile nella messa in scena di Emanuele Conte – che torna a Camus dopo “Caligola” – non è tanto lo svolgimento dei fatti, collocati fuori della scena rappresentata, quanto il rapporto dei personaggi (quattro giovani uomini e una donna) con la loro interiorità e integrità morale. Una cellula terroristica che, a prima vista, appare inossidabile nel caricarsi a vicenda sulla necessità d’intervento armato ad ogni costo ma che, con il passare del tempo, vedrà sgretolarsi le proprie convinzioni per mostrare l’uomo in tutta la sua fragilità.

Il fine giustifica i mezzi? Si può legittimare un atto terroristico rivoluzionario? La risposta che lo spettacolo sembra offrire allo spettatore è che forse si può giustificarlo all’esterno, con gli altri, meno con se stessi.
I cinque protagonisti (Luca Mammoli, Gianmaria Martini, Sarah Pesca, Graziano Sirressi e Alessio Zirulia) sono collocati, nella prima parte, al di sopra della struttura, lontani dal pubblico e forzati in uno spazio che racconta già tutto.
I dialoghi virano ad un’alterità filosofica che si sforza di avvicinare questi giovani d’inizio Novecento ai ragazzi di tutte le epoche. Ma le pulsioni amorose, i dubbi, la fragilità emotiva minano poco a poco le convinzioni politiche, gettando questi giovani in pasto al nemico più crudele: loro stessi.
E’ un’umanizzazione del terrorista che non cerca di giustificarne il ruolo o esaltarlo come eroe che s’immola per gli ideali in cui crede; semmai, più semplicemente, ne svela i tratti comuni con gli altri uomini, in un processo di lenta immedesimazione in cui è facile ritrovarsi.

L’occasione per il definitivo sgretolarsi di ogni certezza è offerto da Yanek Kaliayev (Gianmaria Martini), uno dei membri più convinti della cellula, che non riesce però a compiere un attentato alla vita del Granduca, oppressore e simbolo del potere, perché sulla carrozza siedono, insieme al despota, i suoi due nipotini. Yanek, dopo lungo dibattito con gli altri, porterà comunque a termine l’incarico in un’altra occasione e per questo condannato all’impiccagione. L’impianto scenico si trasferirà così “al piano inferiore”, fisicamente dentro la prigione, dove il giovane rivoluzionario, nella seconda parte dello spettacolo, è rinchiuso in attesa della pena capitale.

Eppure il leone in gabbia, lontano dagli amici, non perde la sua coerenza nemmeno quando il capo della Polizia si offrirà di salvargli la vita con un appetibile piano corruttivo. Le sue certezze non vacilleranno neppure di fronte alla consorte del Granduca, rimasta vedova, che desidera incontrarlo.
Vestita di nero con un tipico abito russo e un cuore luminoso al collo, l’entrata della vedova (Sarah Pesca dimostra ancora una volta grande credibilità nell’interpretare sia la vedova che la donna del gruppo, due figure molto diverse ma accomunate da una sofferenza condivisa: la perdita dell’amato) è un momento drammaturgico importante, che la regia sceglie di dilatare nel ritmo e nel dialogo, creando una sorta di scollamento che però si rivela non troppo coerente con il resto dello spettacolo.

Il finale è la raccolta delle conseguenze da parte dei rimasti, quei Giusti doloranti e attoniti, orfani del loro compagno più coraggioso.
“Noi uccidiamo per far sorgere un mondo dove nessuno ucciderà più! Noi accettiamo di diventare criminali perché la terra si copra finalmente d’innocenti…”.

I GIUSTI
di Albert Camus
traduzione Giulia Serafini
regia di Emanuele Conte
con Luca Mammoli, Gianmaria Martini, Sarah Pesca, Graziano Sirressi e Alessio Zirulia
scene Luigi Ferrando
costumi Danièle Sulewic
luci Matteo Selis
assistente alla regia Alessio Aronne
assistente costumi Daniela De Blasio
produzione Fondazione Luzzati-Teatro della Tosse

durata: 1h 20′
applausi del pubblico: 2′ 57”

Visto a Genova, Teatro della Tosse, il 4 marzo 2017

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