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I Masnadieri di Schiller alla prova del tempo (e di Gabriele Lavia)

I Masnadieri
I Masnadieri
I Masnadieri (photo: Serafino Amato – teatrodiroma.net)

Dobbiamo subito sottolineare, al di là del risultato, che Gabriele Lavia ha avuto decisamente coraggio nel mettere in scena “I Masnadieri” di Schiller per questa prima uscita della compagnia stabile del Teatro di Roma.
Coraggio sia per la scelta di un testo così poco praticato e complesso (persino Verdi fallì nell’ardua impresa di renderlo in musica), sia per averlo affidato per lo più ad un gruppo di giovani che hanno dovuto affrontare un copione irto di difficoltà.

“I Masnadieri” è il dramma in cinque atti (qui ridotti in due tempi) con cui Schiller esordisce sulle scene. Fu rappresentato per la prima volta nel 1782 a Mannheim.
L’azione, che si svolge in Germania, tra il castello di Franconia e la Selva Boema, ha come nucleo drammaturgico gli eccessi e i contrasti presenti nella nobile casata dei Moor. In essa si fronteggiano il malvagio Franz, che intende farsi coronare dal vecchio padre come erede della famiglia, pur essendo il secondogenito, e l’esuberante Karl, messosi a capo di un gruppo di giovani rivoluzionari (i Masnadieri appunto) che dichiarano di preferir la morte pur di essere liberi.

Tra i due fratelli si pone Amalia, figlioccia del vecchio Moor, che è amata da Carl e ambita da Franz. E proprio Franz convince il padre, scrivendo delle finte lettere, che Karl abbia disonorato il nome di famiglia, spingendo così il fratello, che intendeva ritornare all’ovile, sempre di più verso azioni malvagie, effettuate con l’aiuto di tutti i Masnadieri che lo hanno eletto loro capo.
Franz intanto, dopo aver fatto credere al padre che Karl sia morto, lo rinchiude in una torre. Ma questi riuscirà ad entrare al castello sotto falsa identità, scoprendo che Amalia l’ama ancora e che suo padre non è morto. Cerca allora la vendetta e manda i suoi compagni, nel cui gruppo sono nate molte divisioni, a prendere vivo il fratello.
Franz sente che la sua fine è vicina e, dopo un incubo sul giudizio finale, si suicida.
Karl, dopo aver ucciso padre e fidanzata per non costringerli a convivere con il peso dei suoi orribili delitti, vede improvvisamente la realtà: non si può “sognare di liberare il mondo, commettendo atrocità” poiché questo “scardinerebbe dalle basi tutto l’edificio del vivere civile”. Vorrebbe quindi consegnarsi ad un bracciante con molti figli, in modo che possa riscuotere la taglia che pende su di sé, ma i compagni non comprendendo la sua scelta e lo uccidono.

Come si vede ci troviamo di fronte ad una storia fosca dagli echi shakespeariani, che ha tutti gli elementi romantici alla base del pensiero di Schiller, pervaso da una furia iconoclasta contro le istituzioni, e le cui motivazioni morali dovevano essere affidate al teatro.  

Come mettere in scena tutto ciò? O restituendo in una forma classica le urgenze di allora, o cercando di rispondere in modo contemporaneo ad alcune di quelle domande: chi sono i ribelli oggi? E’ giusto trasformare in violenza la ribellione all’ordine costituito?
Certo sarebbe questa la scelta più interessante, vista anche l’attualità della tematica.

Lavia, pur propendendo per questa seconda via, a nostro avviso sta a metà del guado, in qualche modo banalizzando il forte azzardo che si è scelto.  Attualizza lo spettacolo, pur ambientandolo in uno spazio senza luogo e senza tempo, come già era accaduto nel Macbeth.
Il regista, con lo scenografo Alessandro Camera, copre il palcoscenico di uno strato di terra, e per evocare l’intrico di alberi della foresta boema utilizza pali di metallo. Fa poi dei Masnadieri una banda di metallari anni ’80, con tanto di chitarra, stivali, vestiti di pelle e borchie, alle prese con spade e pistole spesso fumanti.
Il regista impone allo spettacolo un ritmo scattante, di stampo cinematografico, spesso in sovratono, che soprattutto nel secondo tempo sfocia in una sorta di comicità involontaria, tra morti ammazzati e assoli canori (come quando, prima di morire, Amelia, eroina heavy metal, cerca di cantare con tanto di chitarra).

Molto meglio le scene non d’insieme, che rimandano ad una classicità equilibrata, dove gli attori danno il meglio di sé, soprattutto Francesco Bonomo, perfido Franz con movenze da Riccardo III, e Simone Toni, un Karl in bilico tra l’eroe preromantico tormentato da dubbi e il brigante desideroso di vendetta.

I masnadieri
Dramma in cinque atti di Friedrich Schiller
con: Francesco Bonomo, Fabio Casali, Daniele Ciglia, Michele Demaria, Filippo De Toro, Davide Gagliardini, Gianni Giuliano, Daniele Gonciaruk, Marco Grossi, Andrea Macaluso, Luca Mannocci, Luca Mascolo, Giulio Pampiglione, Cristina Pasino, Giovanni Prosperi, Alessandro Scaretti, Carlo Sciaccaluga, Simone Toni
regia: Gabriele Lavia
scene: Alessandro Camera
costumi: Andrea Viotti
musiche: Franco Mussida
produzione: Teatro di Roma, Teatro Stabile dell’Umbria
in collaborazione con La Versiliana Festival
durata: 2h

Visto a Como, Teatro Sociale, il 22 gennaio 2012

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