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I Teatri del Sacro 2011. Gli innumerevoli volti della spiritualità

I Teatri del Sacro

I Teatri del Sacro (photo: federgat.it)

Seconda edizione a Lucca de I Teatri del Sacro. Tra i partecipanti Sacchi di Sabbia, Tib Teatro, Lucilla Giagnoni, Compagnia Xe

Non poteva essere che Lucca, la città dalle cento chiese, a ospitare dal 21 al 27 settembre la seconda edizione della rassegna I Teatri del Sacro.
Organizzata da Federgat (la federazione cattolica che raccoglie gruppi amatoriali del teatro) e dalla Fondazione Comunicazione e Cultura della Conferenza Episcopale Italiana, dopo una accurata selezione ha proposto al numeroso pubblico 27 nuovi spettacoli.

“Un’avventura dello spirito, una città come palcoscenico”, recitava il sottotitolo di questo benemerito festival, che si è tenuto in sette diversi spazi del centro storico. Spazi meravigliosi, quasi tutti ricavati da antiche chiese, che hanno dato un ulteriore valore aggiunto ad una iniziativa dai moltissimi intenti, primo fra tutti quello di riportare la dimensione quasi perduta del sacro nel sentire contemporaneo, e di cui il teatro dovrebbe a ragione essere il naturale alveo.
Ma non solo, vi è anche la coraggiosa sfida di riempire di senso le migliaia di sale parrocchiali spesso avare di iniziative teatrali confacenti. Sfida raccolta da più di duecento soggetti professionisti e non (altro valore aggiunto) che si sono misurati con il bando biennale de I Teatri del Sacro.

“Quest’anno – ci racconta Fabrizio Fiaschini, direttore artistico del festival – abbiamo avuto più domande, la maggior parte da gruppi professionisti che la crisi di risorse, oltre all’interesse per il tema, ha spinto verso il bando; molti meno i gruppi amatoriali, che faticano ad organizzarsi. Ma siamo contenti dei risultati, soprattutto per la qualità e la varietà dei temi che abbiamo riscontrato in molte proposte”.

Diverse infatti le declinazioni del Sacro presenti nei diciassette spettacoli da noi visti nei quattro giorni di permanenza a Lucca.
Come sempre, nel solco delle naturali aspirazioni della CEI, molte creazioni si rifanno a vite di santi, come la suggestiva e classica narrazione di Sista Bramini dedicata San Giuliano, o ad episodi e personaggi presenti nella Bibbia e nel Vangelo, spesso accompagnati dalla musica, come “La storia di Ruth” della compagnia Ariel, seconda tappa del progetto laico “Ti racconto la Bibbia” che affronta la storia di Noemi e Ruth; o ancora nel  meno convenzionale “Quel che resta di Giobbe” di Nuovi Accordi, in cui il tema del silenzio di Dio è narrato e cantato con accenti sinceri e appassionanti.

Di tutt’altro tenore “Abram ed Isac” de I Sacchi di Sabbia, uno dei piccoli capolavori visti a Lucca. Qui la celebre vicenda di Abramo e del figlio Isacco è narrata su un semplicissimo tavolino attraverso un concerto di immagini regalate da libri pop up e ispirate a Saul Steinberg, mosse dal vero da tre attori che navigano benissimo fra Mozart e le Lennon Sisters.
Leggerezza e profondità, dunque, come sempre avviene negli spettacoli della compagnia diretta da Giovanni Guerrieri, che dà alla vicenda narrata una modernità del tutto particolare lasciando intatto il messaggio di fede.

La dimensione del comico consente a diversi gruppi di discettare in modo intelligente anche di temi ardui. “Guai a voi ricchi”, per esempio, permette a Giovanni Scifoni di parlare efficacemente del binomio fede-giustizia in una narrazione che mescola la cronaca personale e la storia, raccontando con grande trasporto emozionale anche la vicenda di preti rivoluzionari come Camillo Torrez e la morte del vescovo Romero.
Anche Carlo Pastori, accompagnato da Marta Martinelli con la regia Carlo Rossi, in “Lazzaro vieni dentro”, su un bel testo di Gianpiero Pizzol, usa la comicità (a volte fin troppo) per parlare della morte, attraverso un Lazzaro malato di claustrofobia.
Sempre di Lazzaro, in modo poeticamente sensibile, parla anche “Fratelli/Hermanos”, spettacolo-concerto per due voci e una chitarra della compagnia Che cosa sono le nuvole, che mescola in modo efficace diversi piani emotivi.

Ma è la presenza del sacro nella vita contemporanea l’aspetto che più ci stimola, ed è quello che si manifesta attraverso la pietà e la comprensione. Come avviene in “Isola” della compagnia Afrodita, dove la figura di Maddalena diventa la metafora della terra dello straniero ed icona della badante; o in “Io ti prendo per mano” del Tib Teatro di Belluno, regia di Daniela Nicosia, molto ben interpretato da Piera Ardessi e Paola Compostella. Una figlia e una madre fanno i conti di tutta una vita in un intenso dialogo, prima di una morte che le separerà per sempre.
Peccato solo che entrambi gli spettacoli manchino di misura, ma il messaggio forte giunge al pubblico e tutte le correzioni di registro e ritmo saranno possibili.

Insieme a I sacchi di Sabbia altri tre gli spettacoli che ci hanno molto intrigato.
“Messa in scena” con Marco Sgarbi, ideazione e regia di Giulio Costa, dove appunto in scena vengono ripetuti tutti i segni della messa, amplificati nella loro naturalezza dal teatro, in una specie di gara con lo sguardo dello spettatore, dove la forza del linguaggio rituale si esplica in modo semplice ed immediato.

“Combattimento spirituale davanti a una cucina Ikea” ripropone invece un attore che amiamo molto, Alessandro Berti, in un minimalismo quasi bisbigliato che rimanda al “risveglio spirituale di un uomo, l’arrivo del soffio forte della grazia, l’addio alle paure e alle pigrizie del passato”. Siamo di fronte ad un uomo (o forse all’Uomo) che ha perso tutte le certezze e non sa come andare avanti, se non sperando in un aiuto che non potrà che nascere “fuori” da lui.

Infine non resta che lodare ancora una volta la bravura di Lucilla Giagnoni che, con l’apporto fondamentale della sonorizzazione e delle musiche originali di Paolo Pizzimenti e le luci di Massimo Violato, in “Apocalisse”, partendo dal “misterioso” libro di San Giovanni, conduce magistralmente una lezione-spettacolo sull’idea di “svelamento e rivelamento”, riconducendola attraverso il mito di Edipo al sentire contemporaneo. Una lezione di teatro in tutti i sensi, in cui vengono approfonditi in parallelo due testi fondanti della nostra civiltà per svelare come da ogni distruzione l’uomo debba imparare a vedere e a credere, al di là dell’orrore, per uscirne ancora vittorioso.

Ovviamente non poteva mancare la danza, con diversi spettacoli interessanti: da “Eclissi” della Compagnia Leele su coreografie di Katia Frese, ispirato alla dolorosissima Pala di Isenheim di Matthias Grunewal, a “Judith e l’Angelo” della Compagnia Xe su coreografia di Julie Ann Anzilotti, che mette in scena una coppia gemella di danzatrici che dialogano tra loro in contrappunto.
Ci è piaciuto molto anche “Empty Less” con la coreografia di Ariella Vidach, uno spettacolo che metaforicamente unisce tecnologia e movimento, dove fra distorsioni acustiche, il sacro, incarnato nella musica di Bach, tenta di farsi largo liberando il movimento dei performer.

Insomma, modi diversissimi di coniugare il sacro con la scena, ed è per questo che nel contesto del festival Giorgio Testa ha tenuto un progetto di visione consapevole dove 70 spettatori (tra di loro molte espressioni del clero) ogni giorno, dopo aver visto gli spettacoli, hanno discusso e si sono confrontati.
Teatro e spiritualità, dunque, ancora insieme, come strumenti supremi per comprendere chi siamo e come possiamo affrontare meglio la realtà che ci sta intorno, e non solo quella.

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