i (to be defined): Benno Steinegger e la difficile definizione di sé

Benno Steinegger (photo: Andrea Pizzalis)

Benno Steinegger, co-fondatore di Codice Ivan e performer per registi/gruppi teatrali e artisti visivi come Jesse Ash, Yan Duyvendack, Rodrigo Garcia, Terence Malick, Motus, Kinkaleri, Deflorian/Tagliarini, è passato dalla Cavallerizza del Teatro Litta – Manifatture Teatrali Milanesi per la quinta edizione di Apache presentando “i (to be defined)”, vincitore del Nordic Fringe Award nel 2017.

La ‘linea’ curata da Matteo Torterolo, che ha fatto dell’ibridazione fra codici (performance, teatro, musica, fumetto) la propria cifra vincente, e che fra le tante proposte di questi anni ha visto il debutto di “Cinque allegri ragazzi morti“, il musical lo-fi di Eleonora Pippo tratto dal romanzo di Davide Toffolo che ispirò la nascita dei Tre allegri…, ha sicuramente anche il merito di dare spazio a esperimenti e nuove creazioni. L’edizione 2019 è incentrata sulla relazione tra suono e performance.

Un tentativo di definizione nella transizione, nel cambiamento e nel movimento tra poli opposti è anche quello di Benno Steinegger.
L’artista, negli ultimi due anni, ha realizzato una serie di interviste con persone molto diverse fra loro, ma sempre sullo stesso soggetto: sé stesso. Ha quindi posto delle domande sulla percezione che gli intervistati hanno del performer. Dal medico di famiglia, che utilizza come parametro di descrizione le analisi del sangue del paziente, alla madre che ripercorre invece la biografia del figlio, fino allo sciamano che ricostruisce un ulteriore profilo in base alle sue visioni spirituali, Steinegger ha così costruito un viaggio alla ricerca della propria identità attraverso gli occhi degli altri.

In scena le voci fuori campo e i sopratitoli delle interviste raccolte, le cui parole contrastanti ci fanno da scandaglio nel mare magnum della memoria altrui – potenzialmente infinita (si va appunto dalla diagnosi del medico al ricordo dell’ex fidanzata) – si intrecciano da subito con l’immagine ideale di un’autobiografia di gesta, la storia di Parsifal (che dopo aver ascoltato la propria descrizione dall’eremita Trevrizent riesce finalmente a trovare il Sacro Graal), creando fin dall’inizio una sorta di cortocircuito, quasi tragicomico.

Sembra un esperimento di linguaggio espanso, in cui simboli e lingue si intersecano, nella necessità esibita del performer di dare un nome e un segno al proprio io, scavando nella fatica del proprio corpo e dei suoi limiti, primo fra tutti quel piede equino che è il segno perturbante di tutto lo spettacolo, senza però inoltrarsi fino in fondo nel diaframma tra lo sguardo attoriale e quello dello spettatore. E forse proprio qui sta lo scacco, si direbbe ricercato, del lavoro, che tenta sì di fuggire la bidimensionalità e di partire alla ventura, di scalfire la forma e vincere il peso della propria identità, simboleggiata da un ceppo inerme, una “i” (I / io) gigantesca su cui fa perno la scena, ma si ferma al tratteggio senza ambire a sfondare la quarta parete.

Il tempo cronometrato degli esperimenti fisici condotti da Steinegger durante “i (to be defined)” – 1′ 33” per gonfiare un palloncino, 2′ 33” di apnea in una bacinella, 3′ 33” per bere un litro d’acqua, 5′ 33” chiuso in una sacca da palestra – e quello dilatato degli esperimenti vocali – i loop e la velocizzazione dei suoni d’ambiente e della voce – non pretendono di risolvere l’enigma della ricerca di un’identità, sospesa tra il “chi sono” e il “chi potrei essere”, ma oscillano come l’asta di un metronomo tra l’individuazione dell’io e l’apertura a un’epica, a una coralità.

A noi pubblico il performer chiede di essere ritratto: uno nostro schizzo, un abbozzo della sua figura, dice, gli servirà per un’altra tappa della ricerca, ed è questo il momento in cui la performance si ferma, ci tende la mano e ci chiede di mettere in moto una visione, di fare una scelta e di dare forma ad un corpo e a ciò che lo circonda. Di ospitare il farsi di uno spettacolo non ancora del tutto concluso, che vede il nostro protagonista guardarsi lasciare la scena in sella a un cavallo bianco, guardarsi ancora vivere.

i (to be defined)
Benno Steinegger
ideazione, regia, performance: Benno Steinegger
collaborazione alla regia: Luca Camilletti
tecnica e luci: Valeria Foti
produzione: Codice Ivan
collaborazione alla produzione: Kinkaleri spazioK.prato
co-produzione: Festival Transart, Vereinigte Bühnen Bozen, WPZimmer

Visto a Milano, Teatro Litta, l’1 febbraio 2019

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