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I Vespri siciliani: Hugo De Ana reinterpreta la rivolta contro i dominatori francesi

Ph: Brescia e Amisano ©Teatro alla Scala

Ph: Brescia e Amisano ©Teatro alla Scala

Al Teatro alla Scala di Milano l’opera di Giuseppe Verdi è diretta da Fabio Luisi

Il Teatro alla Scala, seppur non nella sua originale versione francese, ha ospitato i “Vespri siciliani” di Giuseppe Verdi. “Les vêpres siciliennes” è infatti originariamente un grand opéra in francese, operato su un libretto di Eugène Scribe e Charles Duveyrier, ispirato ovviamente alla vicenda storica dei “Vespri siciliani”, la famosa rivolta condotta dai siciliani contro gli Angioini.
Anche per questa opera Verdi incappò nelle ire della censura, data la trama trovata eccessivamente patriottica, e al debutto in Italia fu chiamata “Giovanna di Guzman”, su libretto di Eugenio Caimi con l’azione spostata in altri tempi e luoghi, come gli era già successo per esempio per “Un ballo in maschera”.
Le due versioni ebbero il loro debutto a sei mesi di distanza, a Parigi e a Parma, nel 1855.

L’azione, come si evince dal titolo, si svolge nel 1282, con la Sicilia dominata dai francesi della dinastia angioina. Protagonista femminile è la battagliera Elena (soprano), duchessa e sorella del duca Federico d’Austria, tutta tesa a vendicare il fratello, giustiziato l’anno prima dai francesi che, come da copione operistico, ama Arrigo (tenore), giovane siciliano che combatte contro gli usurpatori. L’antagonista nell’opera è il governatore francese Monforte (baritono).

Sino dall’inizio dell’opera, e poi scopriremo il perché, Monforte cerca di fraternizzare con il giovane, ma Arrigo rifiuta infastidito e sprezza l’ordine del governatore di star lontano da Elena e dai ribelli siciliani.
Altro protagonista dell’opera è Giovanni da Procida, patriota siciliano tutto d’un pezzo, che è in combutta con Elena ed Arrigo per indurre i Siciliani alla rivolta.
Arrigo rivela, ad un certo punto, il proprio amore ad Elena, la quale confessa di ricambiarlo, ma la donna lo esorta anche ad aiutarla nel vendicare il fratello. Monforte, che in una delle scene più belle dell’opera scopriremo essere nientemeno che il padre di Arrigo, invia un invito al figlio per un festino che si terrà nel suo palazzo, ma al rifiuto del ragazzo (che non intende mischiarsi con gli invasori) viene condotto con la forza dal governatore.

Due feste ad un certo punto si contrappongono: quella di Monforte e quella popolare per il matrimonio di dodici coppie siciliane, tra cui Ninetta, dama di compagnia di Elena, durante il quale gli Angioini assaltano il banchetto, rapendo le spose e causando in questo modo la reazione del popolo siciliano.
Durante la festa allestita da Monforte, invece, Elena e Procida, mascherati tra gli ospiti, sono pronti ad ucciderlo, ma mentre Elena si si sta avventando sul governatore Arrigo la disarma per difendere il padre. Elena e Procida vengono così rinchiusi in prigione per essere condannati a morte.

In carcere Arrigo ha ottenuto il permesso dal padre di vedere per l’ultima volta l’amata Elena. La donna è fremente per il tradimento di Arrigo ma, saputo il motivo, cambia atteggiamento.
Nel frattempo, Procida riceve la notizia che una nave mandata dal Re d’Aragona, alleato dei siciliani e nemico dei francesi, sta per arrivare al porto di Palermo, pronta a dare aiuto alla ribellione.
Il momento dell’esecuzione dei traditori si avvicina e Arrigo supplica il padre di non ucciderli: Monforte cede, a patto che Arrigo lo chiami “padre”. Arrigo si arrende, e così il Governatore non solo grazia tutti i condannati, ma gli concede di sposare l’amata Elena. La donna è però divisa tra l’amore della patria e quello verso il futuro sposo, intuendo che il prossimo arrivo degli Aragonesi porterà ad una strage. Elena, così, finge di non voler più sposare Arrigo, rinfacciandogli la morte del fratello.
Monforte ordina comunque lo svolgimento delle nozze ma, come convenuto tra gli insorti siciliani al suono della campana del Vespro, il luogo viene invaso dai ribelli, che finalmente si possono rivoltare contro i francesi usurpatori.

Come si evince dalla trama, tutte le componenti dell’immaginario verdiano sono presenti: le storie personali che si intrecciano con quelle della grande Storia, l’amore paterno, la ricerca della giustizia e della libertà d’intonazione risorgimentale e la solitudine del potere, qui presente nel personaggio di Monforte, che tanto ci ricorda quella di Filippo II del Don Carlo.
Tutti questi temi si concentrano già nell’ouverture, in cui la dolcezza della passione si mescola con l’irruenza della lotta.

Tuttavia l’opera non ci ha appassionato come altre di Verdi, pur contenendo momenti di grande commozione, come la grande scena che vede protagonista Monforte (“D’un avvenir beato”) e il suo svelamento di essere il padre di Arrigo (“Quando il mio sen parlava”) o la condanna a morte dei congiurati, fermata da Arrigo che pronuncia la parola “padre” mentre echeggia Il “De Profundis”.

Il regista argentino Hugo De Ana, che abbiamo imparato ad amare anche in altre occasioni, qui non ci ha per nulla convinto, sin dal cambio di contesto delle vicende, ambientate all’epoca dello sbarco degli Alleati in Sicilia, un’ambientazione secondo noi fuorviante con lo spirito dell’opera.

In una scena scura e inerte, in cui domina il nero dei costumi del popolo siciliano (contrapposto al grigio delle uniformi alleate), ogni azione viene inserita in una scenografia formata da alte strutture metalliche che dividono gli spazi della scena, senza dar loro espressività. I personaggi si muovono a fatica tra soldati, cannoni e carri armati che si spostano continuamente.
Solo alla fine, per il contrastato matrimonio tra Elena e Arrigo, troneggia un albero argentato che dà un po’ di colore al tutto. Un allestimento in cui la morte la fa da padrona, sembra dirci De Ana, che la pone in scena insieme ad un cavaliere, con un evidente riferimento al Bergman de “Il Settimo sigillo”. Ma non basta, secondo noi, a farci amare una regia confusa, senza colore, dove tutti si muovono, anche i danzatori nelle poche coreografie rimaste (eliminato anche il famoso ballo de “Le quattro stagioni”), senza una effettiva logica.

Per fortuna ottima risulta tutta la parte musicale, a iniziare dalla precisa direzione di Fabio Luisi, che ci restituisce tutte le varie cangianti atmosfere dell’opera, e del coro, diretto da Alberto Malazzi, che nei “Vespri Siciliani” ha un posto di tutto rispetto.
Piero Pretti è un Arrigo dalla voce gagliarda ma che riesce ad aprirsi anche a note appassionate, come l’aria di entrata (“O tu Palermo terra adorata”) o ancora quella del quarto atto (“Giorno di pianto”); Marina Rebeka è allo stesso modo capace di dare smalto appropriato e colore alla sua voce, si pensi solo al momento in cui è convinta di dover morire (“Io muoio! e il mortal velo spoglio pensando a te”) o nella Sicilienne / Bolero “Mercè dilette amiche”, che canta prima di sposarsi.
Luca Micheletti, che conosciamo da molto tempo come attore e regista, si conferma anche vocalista di grande talento, affrontando Monforte – il personaggio più interessante dell’opera – come oppressore ma anche padre alla ricerca del figlio perduto. Convincente anche il Procida di Simon Lim, cospiratore che non si ferma davanti a niente e a nessuno.

I VESPRI SICILIANI
di GIUSEPPE VERDI
Direttore Fabio Luisi
Regia, scene e costumi Hugo de Ana
Luci Vinicio Cheli
Coreografia Leda Lojodice

Personaggi e interpreti principali
La duchessa Elena Marina Rebeka (28 gen., 1, 8, 14, 17 feb.) / Angela Meade (11, 21 feb.)
Arrigo Piero Pretti
Guido di Monforte Luca Micheletti (28 gen., 1, 8, 11, 14 feb.) / Roman Burdenko (17, 21 feb.)
Giovanni da Procida Simon Lim

Orchestra e Coro del Teatro alla Scala
Maestro del Coro Alberto Malazzi

Visto a Milano, Teatro alla Scala, l’8 febbraio 2023

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