Il Barone rampante di Riccardo Frati, arrampicate e timidi voli

Il Barone rampante (ph: Masiar Pasquali)
Il Barone rampante (ph: Masiar Pasquali)

Il Piccolo Teatro di Milano celebra Calvino nel centenario della nascita con un suo grande classico

Se c’è uno scrittore rappresentativo del Novecento italiano, costui è senz’altro Italo Calvino (1923-1985) di cui quest’anno ricorre il centenario della nascita. Il Piccolo lo celebra con una delle sue opere più rappresentative, “Il barone rampante” (1957), che si colloca a metà strada tra il dopoguerra e quel 1968 che avrebbe segnato un cambiamento epocale nella società.
Calvino rappresenta idealmente il ritratto dell’intellettuale del secolo scorso: illuminista perché credeva nel primato della ragione; bibliofilo perché convinto della funzione liberatrice dei libri; ambientalista capace di riconoscere il ruolo della natura come bene primario; sperimentatore di tecniche espressive: il racconto realista, l’apologo fiabesco, l’allegoria storica, la scrittura combinatoria.

Riccardo Frati, curatore dell’adattamento del romanzo e della regia, sceglie di non staccarsi dall’originale. Lo spettacolo, prodotto proprio dallo stabile diretto da Claudio Longhi e in prima assoluta, valorizza le scene realizzate da Guia Buzzi, con botole in basso (da cui salgono e affondano tavoli, scrivanie e persino una bara) e rami – sotto forma di scale ricurve e piattaforme rampanti – in alto. Scale e piattaforme che si combinano in diversi modi: creano un mutevole giardino pensile, mentre la chioma degli alberi è evocata da una serie di drappi a spicchi orizzontali che paiono nuvole, gondole, vele, amache.

Spettacolo sospeso. Teatro verticale, dai tratti caricaturali e dall’andamento buffo. C’è una concessione all’Ancien Régime di fine Settecento in cui è ambientato il romanzo: gli appariscenti costumi di Gianluca Sbicca alimentano un paradossale senso di leggerezza.

“Il barone rampante” è una storia che si adatta al teatro perché ne sprigiona il potenziale fantastico e allegorico. Calvino propone il suo ideale umano attraverso la figura di Cosimo (qui interpretato in modo gioiosamente monocorde, svagatamente infantile da Francesco Santagada) che rifiuta di mangiare il piatto di lumache imposto dal padre.

Non si tratta solo di un romanzo di formazione. Salendo a vivere sugli alberi, Cosimo è la trasposizione fantastica dell’intellettuale illuminista che si ribella alla famiglia conservatrice. Il richiamo all’illuminismo, nonostante il carattere fantastico del romanzo, evidenzia il valore attribuito da Calvino alla razionalità, punto fermo della sua visione del mondo e della sua poetica.

La contemporaneità dell’opera emerge anche da questa trasposizione, interpretata (dignitosamente ma con un po’ di maniera) da Santagada con Mauro Avogadro, Giovanni Battaglia, Nicola Bortolotti, Michele Dell’Utri, Diana Manea e Marina Occhionero.
Staccarsi da terra per salire sugli alberi significa infatti acquisire un punto di vista più critico e meno immediato: «Chi vuole guardare bene la terra deve tenersi alla distanza necessaria».

Anche le luci di Luigi Biondi alimentano un senso di leggerezza. La composizione musicale e il sound design di Davide Fasulo invece agiscono sulla rapidità. Leggerezza e rapidità sono del resto il nucleo delle “Lezioni americane”, saggio sulla scrittura di quello «scoiattolo della penna» (Cesare Pavese) che era appunto Calvino. Ma lo stesso Calvino ammoniva, sulla scorta di Paul Valéry, che «bisogna essere leggeri come rondini, non come piume».

Se questo è un lavoro sostanzialmente riuscito, dà tuttavia la sensazione di non osare e non approfondire. Non c’è in Cosimo uno spessore rivoluzionario, e lo spettatore non esce dalla sala con riflessioni tali da giustificare le tre ore dello spettacolo. Alcune accentuazioni macchiettistiche dei protagonisti sembrano finalizzate più al dinamismo della storia che a evidenziare i vari momenti della crescita di un personaggio che da ragazzo ribelle diventa uomo maturo esperto della vita e degli uomini.
Fatta salva la tematica ambientale, non ci sembra inoltre che quest’adattamento incontri istanze particolari nel nostro tempo, come faceva l’originale con il suo tempo: con riferimenti, ad esempio, al distacco di Calvino dal Partito comunista dopo i fatti di Ungheria del 1956, alla Resistenza, e al difficile dopoguerra.

Anche la bella macchina scenica, le luci, i carrelli telecomandati su cui si muovono personaggi finti (ad esempio l’icona del cane Ottimo Massimo) e reali, sembrano citazioni dello stile Piccolo, da Ronconi a Strehler. E potevano essere evitati didascalismi ormai triti: come l’immancabile “Lacrimosa” di Mozart in occasione di un funerale in abiti e paramenti normalmente tenebrosi; oppure quella penna finale che dall’alto cala nelle mani di Biagio (Giovanni Battaglia, sin dall’inizio attempato narratore) che fa tanto “Forrest Gump”.

Il barone rampante
di Italo Calvino
adattamento e regia Riccardo Frati
scene Guia Buzzi
costumi Gianluca Sbicca
disegno luci Luigi Biondi
composizione musicale e sound design Davide Fasulo
animazioni Davide Abbate
con (in ordine alfabetico): Mauro Avogadro, Giovanni Battaglia, Nicola Bortolotti, Michele Dell’Utri, Diana Manea, Marina Occhionero, Francesco Santagada
produzione Piccolo Teatro di Milano – Teatro d’Europa

durata: 3 h (intervallo compreso)
applausi del pubblico: 3’

Visto a Milano, Piccolo Teatro Grassi, il 31 gennaio 2023

 

 

Clicca per scaricare il PDF di questo articolo

0 replies on “Il Barone rampante di Riccardo Frati, arrampicate e timidi voli”