Il Bonn Park di Teatro i, prove tecniche di (r)esistenza teatrale

I protagonisti di Bonn Park (photo: Roberto Rognoni)
I protagonisti di Bonn Park (photo: Roberto Rognoni)

Dopo le polemiche degli ultimi giorni e gli innumerevoli attestati di solidarietà sulla scia dello slogan-tormentone “Non vogliamo resistere, vogliamo esistere”, siamo andati a vedere “Piangiamo la scomparsa di Bonn Park”, ultima produzione di Teatro i. Che ci è piaciuta. E molto.

Ci aspettavamo un pubblico folto di giornalisti, curiosi e spettatori coinvolti nell’azione provocatoria (come la chiama Francesca Garolla nell’intervista rilasciataci pochi giorni fa) che Teatro i sta portando avanti nella convinzione di essere stato abbandonato a sé stesso. E invece il pubblico era scarno.

La solita domanda, che difficilmente troverà risposta, ci è così venuta alla mente: ha senso continuare a fare teatro se poi gli spettatori sono i soliti noti, per lo più operatori culturali e teatrali? Serve finanziare prodotti di qualità che però non intercettano gli spettatori, disattendendo il principio stesso dello spettacolo dal vivo, che è di rivolgersi a un pubblico vivace, pensante, che respira ciò che accade in scena?

Sono domande retoriche, lo sappiamo. Perché ha sempre senso offrire un prodotto artistico. Non bisogna rinunciare a coinvolgere un pubblico nuovo, che crediamo esista e sia pronto ad accogliere proposte nuove.
D’altro canto pensiamo che, se le istituzioni pubbliche hanno difficoltà a finanziare queste attività, sia insensato fermarsi. Esistono milioni di realtà, in Lombardia e in tutta Italia, che vivono d’autofinanziamento, cercando sponsor, producendo in autonomia, accogliendo le eventuali donazioni pubbliche come un aiuto in più, non come il fulcro della propria esistenza. È anacronistico supporre che il teatro possa vivere di fondi pubblici. È più sensato puntellare le scuole che cadono a pezzi, prima di ristrutturare uno spazio ricreativo.

Crediamo che Teatro i faccia del buon teatro, e vada sostenuto con un canone agevolato e aiuti nella ristrutturazione. Ma non ci sembra che Teatro i sia abbandonato a sé stesso, altrimenti dovremmo concludere che più della metà delle realtà teatrali milanesi sono boicottate dalle istituzioni (perché non hanno una sede, un sostegno, una visibilità pubblica). Vogliamo vedere Teatro i come un luogo di produzione che riceve un aiuto, probabilmente insufficiente. Possiamo considerarlo come un punto di partenza per conciliare pubblico e privato, come un modello per giungere a nuove forme di contributi.

Perché questo accada, Teatro i deve anche confrontarsi con le nuove sfide di oggi. Trovare pubblico. Diventare più visibile. Divulgare la propria attività. Fare della promozione un terreno indispensabile per la propria sopravvivenza, cosa che ha già iniziato a fare con operazioni tipo Città Balena. Non è pensabile che il pubblico di uno spettacolo si aggiri intorno a 40 persone.

È quindi un peccato osservare la sala semivuota, perché, ad esempio, “Piangiamo la scomparsa di Bonn Park”, con Luca Toracca, Paola Tintinelli, Vincenza Pastore e Massimo Scola, diretti da Renzo Martinelli, è uno spettacolo godibile, non solo da un pubblico sofisticato e abituato al teatro di ricerca. “Bonn Park” è uno spettacolo per tutti, che pure non rinnega la cifra sperimentale peculiare di Teatro i.

Il giovane drammaturgo Bonn Park, tedesco di origini coreane, classe 1987, mette qui in scena la sua morte, giocando con il teatro e i suoi mezzi, usando stratagemmi ed echi brechtiani che spostano di continuo il livello dello spettacolo, ora divertissement tra attori, ora critica feroce alla società odierna, ora western in salsa tarantiniana, con tanto di pistole e stivali da cowboy.

Bonn Park è un “suiomicidato da La Società”, un giovane drammaturgo che non ama i dialoghi, che si è tolto la vita per colpa di qualcun altro? O è stato ucciso?
I personaggi ci introducono nel percorso d’indagine, catapultandoci davanti alla bara del protagonista invisibile.

Tra fumi e musiche da vaudeville (che spaziano da Schubert a Francesco Tricarico) ci raccontano una condizione universale, la difficoltà dello stare al mondo. Di r – esistere, appunto, neanche a farlo apposta.

La prima parte è forse troppo dilatata, le atmosfere alla Tarantino non sono sorrette da un’eccessiva tensione scenica. Poi il gioco si fa più ritmato. Non mancano momenti poetici, come l’accorata autodifesa di Luca Toracca (La Società) circa le accuse che gli sono mosse, o la lettera d’addio dell’autore (volutamente sbagliata) che doveva essere divertente e invece si rivela estremamente triste.

Il momento finale del testamento, con il video di Giuseppe Ragazzini, suggella il lavoro, strappandoci un sorriso amaro che ci ricorda come la morte, in fondo, sia destino universale, e per questo porti con sé una buona dose d’ironia. Che è poi l’unica cosa che resta, a chi resta.

PIANGIAMO LA SCOMPARSA DI BONN PARK
di Bonn Park
regia Renzo Martinelli
dramaturg Francesca Garolla
traduzione Adriano Murelli
con Luca Toracca, Paola Tintinelli, Vincenza Pastore, Massimo Scola
luci Mattia De Pace / suono Fabio Cinicola
video Giuseppe Ragazzini
produzione Teatro i
con il sostegno di Fabulamundi Playwriting Europe – Crossing generations
si ringrazia Francesco Tricarico

durata: 1h 05’
applausi del pubblico: 3’ 30”

Visto a Milano, Teatro i, il 21 marzo 2016

stars-3.5

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