È un “Caligola” lucido nella follia, quello che Corrado d’Elia ha proposto al Teatro Litta di Milano ispirandosi all’omonima opera di Albert Camus.
Caligola ha da poco perso Drusilla, sorella-amante verso cui nutriva “un amore puro come quello che si può provare per il mare o per le stelle”. Vive lo scacco di non poter più amare “con l’impeto dei naufragi”. Nell’angoscia allucinata, scopre l’infinita vanità del potere, così ignobile rispetto all’amore. Pertanto, in una smania (auto) distruttiva, lo oltraggia e ne abusa, conscio di compiere un esercizio fittizio di libertà.
L’imperatore condanna a morte pretoriani, sudditi e burocrati. Asseconda caos e arbitrio. Tiranneggia i suoi funzionari più fidati. Attua una sconsiderata politica economica. Espropria terreni ai proprietari, vacche agli allevatori. Costringe le donne a prostituirsi. Compie ogni genere di eccessi e stupri.
L’epiteto “turpissimus” con cui i classici designano Caligola viene declinato in scena secondo una gamma molteplice di sfumature. D’Elia sceglie la prima delle tre versioni del capolavoro di Camus, quella in cui Caligola si palesa come eroe dionisiaco, tra disperazione gioco e morte, e mostra gli abissi dell’immoralità e della depravazione.
Qui l’imperatore è personaggio più che mai centrale, e sprigiona tutta la propria lucida follia. Con risolutezza percorre gli abissi del male e del peccato, senza possibilità di pace e redenzione. Non c’è più spazio per l’amore né per la purezza dopo la morte di Drusilla. Se qualche figura – come l’amante Cesonia – prova a seminare del bene, viene eliminata.
In una vasca di plexiglass piena di palline rosse si svolge una delle scene più intense della pièce: il dialogo a cuore aperto tra Caligola e il pretoriano Cherea.
Se d’Elia – che incarna la banalità del male – domina la scena con energia, gli altri attori rappresentano il popolo che lo teme e ne subisce le violenze. Singolarmente e in ensemble, mostrano l’altra faccia dell’abiezione: la paura che soffoca dignità e solidarietà, riducendo l’uomo a bestia.
L’eterea Drusilla (Chiara Salvucci) anima pensieri, sogni, e spettri dell’imperatore. Cesonia (cui dà forma una seducente e incisiva Giovanna Rossi) tenta invano di prenderne il posto. Nel nugolo indistinto dei cortigiani emerge Cherea (Alessandro Castellucci), il più leale, perfettamente speculare a Caligola.
Camus esalta il lirismo e la critica sociale di una vicenda torbida. Propone però una nuova angolazione da cui guardare l’imperatore che la storia ci ha presentato come un folle: la lucidità.
È razionale Caligola mentre compie la sua scalata verso la malvagità. Lo scrittore francese ne sottolinea il groviglio di dolore, disperazione e amore.
D’Elia interpreta sprazzi della poesia di Camus con intensità, in particolare il ricordo dell’amore perduto o la visione della luna di notte in agosto. La drammaturgia è una critica impietosa delle derive consumate all’interno del Palazzo.
L’impianto registico è rigoroso. L’uso delle luci è cinematografico, e anche la scenografia ricorda i colossal sull’epoca romana: una sala imperiale ariosa, con la grande vasca trasparente piena di palline rosse, allegoria della vacuità del potere, ma anche del mix di Eros e Thanatos, passione e sangue, che contrassegna lo spettacolo. La musica di Ennio Morricone enfatizza l’atmosfera solenne di uno dei maggiori capolavori letterari del Novecento.
CALIGOLA
Adattamento e Regia: Corrado D’elia
Assistenti Alla Regia: Marco Brambilla e Marco Rodio
Con: Corrado D’elia, Giovanna Rossi, Alessandro Castellucci, Andrea Bonati, Marco Brambilla, Cristina Caridi, Giovanni Carretti, Andrea Tibaldi, Gianni Quillico, Marco Rodio, Chiara Salvucci
Traduzione: Franco Cuomo
Scene: Fabrizio Palla
Tecnico Luci: Marcello Santeramo
Tecnico Audio: Mario Bertasa
durata: 1h 10’ con intervallo
applausi del pubblico: 2’
Visto a Milano, Manifatture Teatrali Milanesi – Teatro Litta, il 17 gennaio 2016