Una donna matura, nobile nell’atteggiamento e nell’abbigliamento, guarda mestamente il suo giovane amante allontanarsi con la nuova compagna, mentre una musica lancinante avvolge tutta l’atmosfera. Nell’andarsene, lascia cadere forse inavvertitamente il fazzolettino, che rapido il suo servetto raccoglie premuroso.
E’ questo il meraviglioso, sublime finale de “Il Cavaliere della rosa” di Richard Strauss, tanto meraviglioso e rappresentativo che fu scelto, con la direzione di Solti, per accompagnare il funerale del compositore tedesco, quando morì nel 1949.
E’ con grande gioia che quindi siamo corsi al Teatro alla Scala per assistere a questo capolavoro, in un’edizione diretta da Zubin Mehta, con la regia di Harry Kupfer, realizzata in coproduzione con il Festival di Salisburgo.
“Il Cavaliere della rosa” (Der Rosenkavalier), commedia in tre atti in lingua tedesca, fu composta su un libretto del celebre scrittore austriaco Hugo von Hofmannsthal, per la stesura del quale contribuì in modo determinante anche il conte Harry Keßler, amico di Hofmannsthal.
Fu eseguita per la prima volta con grande successo il 26 gennaio 1911 alla Semperoper di Dresda, l’antica Königliches Opernhaus, con la regia del grande Max Reinhardt.
Protagonista della storia, ambientata a Vienna, è la matura Marescialla Maria Theresa, principessa di Werdenberg, che si consola delle assenze del marito con il giovane Octavian (ruolo ‘en travesti’ sostenuto da un mezzosoprano), divenuto suo amante e che lei chiama “Quinquin”.
Mentre è intenta alla incombenze mattutine (tra cui l’omaggio di un tenore italiano che le canta un’aria meravigliosa “Di rigori armato”), giunge a trovarla il maturo cugino, il barone Ochs di Lerchenau.
Octavian si ritira per tornare poco dopo, travestito da cameriera, sfuggendo alle avances del lascivo e volgare barone, che spiega alla cugina la natura della sua visita: si è fidanzato con Sophie, la figlia del ricco Faninal, e ora deve mandarle la tradizionale rosa d’argento, simbolo d’amore, e ha bisogno di qualcuno che gliela consegni. La Marescialla, intuendo forse quello che potrebbe succedere, e che esprime nel fulgido monologo che conclude il primo atto, propone Octavian come messaggero.
Il secondo atto è ambientato in casa di Sophie Faninal, dove arriva Octavian, che porge alla futura sposa la rosa. La simpatia tra loro scaturisce immediata e all’arrivo del barone Ochs, Sophie ama già Octavian.
Quando Ochs si apparta con Faninal per stendere il contratto, i due giovani si dichiarano il reciproco amore; ma Annina e Valzacchi, due marpioni simili al Gatto e alla Volpe di collodiana memoria, che si vendono ogni volta al miglior offerente, corrono a riferire tutto al barone.
Nasce un subbuglio, e Octavian ferisce leggermente in duello Ochs.
Octavian si allontana, promettendo a Sophie di farsi vivo presto: poco dopo, Annina passerà al barone un bigliettino amoroso della presunta cameriera della Marescialla.
L’atto finisce con il famosissimo valzer di Ochs, la cui melodia caratterizza il personaggio.
Il terzo atto si svolge nell’osteria in cui è stato organizzato il tranello per il povero barone; Octavian, travestito ancora da cameriera, dapprima invitante, si fa ritrosa, mentre per rendere ancor più forte la burla compare Annina, in vesti vedovili, che riconosce in Ochs il defunto marito, mentre quattro bambini lo chiamano ‘papà’.
Faninal, sopraggiunto a sua volta, rimane sconvolto dalla condotta vergognosa del futuro genero, che presenta alla polizia sopraggiunta la ‘ragazza’ come sua fidanzata.
Dopo l’arrivo di Sophie e della Marescialla, Octavian e Annina si fanno riconoscere per quello che sono e all’avvilito barone non resta che, su invito imperioso della Marescialla, allontanarsi per sempre.
Maria Theresa, rimanendo così da sola con Octavian e Sophie, comprende ciò che aveva già presagito: è ora di lasciare il campo alla più giovane Sophie, e si allontana mestamente (“Presto o tardi, oggi o domani tutto deve finire” e che “il distacco sia lieve”).
Questa commedia intrisa di melanconia prende spunto, riscrivendole magistralmente, da diverse fonti: da “Le Nozze di Figaro” al “Falstaff” verdiano, nella figura del barone, fino alla Commedia dell’arte, con i suoi caratteri ben definiti, per descrivere la melanconica fine di un amore, ma anche di un’epoca in cui «sono gruppi di fronte a gruppi, i congiunti sono separati, i separati congiunti. Tutti appartengono l’uno all’altro, e ciò che di loro è il meglio si trova tra l’uno e l’altro: ed è istantaneo ed eterno, e qui è il luogo della musica» (Hofmannsthal).
L’anziano regista berlinese Harry Kupfer trasporta l’opera nel periodo tra le due guerre del XX secolo, gli anni in cui fu concepita l’opera di Strauss. Gli ambienti vengono ricostruiti di volta in volta per mezzo di tapis roulants all’interno di un grande spazio marmoreo, bianco e nero, in cui grandi fotografie sono usate come quinte di sfondo, per caratterizzare gli avvenimenti, e dove la principessa se ne va con Faninal su una grande fuoriserie d’epoca.
Assistere alla direzione di Zubin Mehta è un’ulteriore gioia della nostra serata: l’ottuagenario direttore indiano riesce a sottolineare tutte le sonorità raffinatissime che caratterizzano l’opera, che mescola il nitore mozartiano con l’orchestrazione novecentesca tipica di Strauss.
Insieme a Mehta sono da lodare tutte e tre le voci femminili, prima fra tutte Krassimira Stoyanova come Marescialla, che nonostante la giovane età ben sostiene il ruolo della matura principessa; lodi anche a Sophie Koch come Octavian e Christiane Karg nella parte di Sophie: insieme riescono a dare incantevole densità al sublime trio che conclude l’opera, una delle gemme dell’intero repertorio del melodramma europeo.
Gunther Groissbock nella parte di Ochs, che il regista non caratterizza come il solito vecchio lascivo, ma come un imperituro aitante Don Giovanni da strapazzo, se la cava alquanto bene nelle parti da solista, mentre la sua voce fatica ad imporsi nei pezzi di insieme.
Ottimo il tenore Benjamin Bernheim nel fraseggiare il sublime cameo del cantante italiano.
Il pubblico non è particolarmente folto in platea: sarà che, almeno per una volta, siamo finalmente fuori dal solito repertorio ottocentesco italiano!
A Milano fino al 2 luglio.
Der Rosenkavalier
Coro e Orchestra del Teatro alla Scala
Coro di Voci Bianche dell’Accademia Teatro alla Scala
Produzione Festival di Salisburgo
Direttore Zubin Mehta
Regia Harry Kupfer
Scene Hans Schavernoch
Costumi Yan Tax
Luci Jürgen Hoffman
Video Thomas Reimer
CAST:
Die Feldmarschallin Krassimira Stoyanova
Der Baron Ochs auf Lerchenau Günther Groissböck
Octavian Sophie Koch
Faninal Adrian Eröd
Sophie Christiane Karg
Jungfer Marianne Leitmetzerin Silvana Dussmann
Valzacchi Kresimir Spicer
Annina Janina Baechle
Ein Polizeikommissar Thomas E. Bauer
Ein Notar Dennis Wilgenhof
Ein italienischer Sänger Benjamin Bernheim
Ein Wirt Roman Sadnik
Der Haushofmeister bei der Faninal Michele Mauro
Durata spettacolo: 4h 35′ inclusi intervalli
Visto a Milano, Teatro alla Scala, il 10 giugno 2016