Da un anno i teatri sono chiusi, e io sono arrabbiato.
Sprangati a doppia mandata, con i chiavistelli infilati e gli allarmi antifurto attivi, mentre la polvere si deposita sul legno del palco e sul velluto delle poltrone. Ogni tanto un guardiano o un tecnico entra per controllare, che sia ancora tutto lì. Ed è tutto lì, fermo, immobile. Come se nessuno si ricordasse di quei proiettori che pendono spenti dalle americane, del sipario srotolato, del tagliafuoco che chiude il palco come la saracinesca di un negozio a tarda notte.
Ovviamente non è così, come lo stanno immaginando molti: nei teatri ci sono prove e produzioni in cantiere, ma che non possono essere viste. È un teatro invisibile. Carmelo Bene aveva teorizzato un teatro “senza pubblico”, in cui l’artista fosse completamente libero. La sua era una provocazione ovviamente, ma in questi mesi mi è spesso tornata in mente.
Così è nata l’idea di fare uno spettacolo in un teatro chiuso, senza pubblico. Un racconto, che ho intitolato “Dettagli”, che sarà recitato alle poltrone vuote del teatro Monte Baldo di Bretonico in Trentino stasera, 19 febbraio, l’anniversario del primo giorno di chiusura del teatro. Un piccolo atto di ribellione in solidarietà con i tanti lavoratori dello spettacolo che da un anno non lavorano.
Da un anno i teatri sono chiusi, e io sono arrabbiato.
La vita degli attori teatrali è sempre stata difficile. In Romagna, la mia terra, c’è un modo di dire, quando uno cade in miseria: “L’ha una fam da cumiget”, ha una fame da commediante. L’attore è colui che non arriva alla fine del mese, che ha fame, come Arlecchino, costretto a servire più padroni pur di avere un piatto caldo di lenticchie.
Una volta c’era la quaresima in cui il teatro era bandito, oggi c’è la quarantena. Entrambe le parole vengono dallo stesso termine “quaranta giorni”, però questa volta la quarantena dei teatri è durata 365 giorni, e ancora non pare essere finita.
Da un anno i teatri sono chiusi, e io sono arrabbiato.
Non sono arrabbiato perché c’è un virus, che nessuno avrebbe voluto e nessuno aveva previsto.
Sono arrabbiato perché si parla solo di salute e di economia. Ci si preoccupa, legittimamente, per gli scontrini non battuti dai ristoratori, per le piste da sci chiuse, per gli aperitivi saltati, ma nessuno dice nulla sul teatro, sul cinema, sulla musica dal vivo. Nessuno tranne chi di teatro, di cinema e di musica ci vive. Io non lavoro in teatro, ma rivendico il diritto e il dovere di tutti di ricordarsi di questa battaglia, che è una battaglia di tutti.
Il teatro, il cinema e la musica sono stati in questi mesi considerati come se fossero qualcosa “in più”: un lusso. Ci si è comportati come se la chiusura dei teatri e dei cinema fosse un problema solo per gli attori, i musicisti o i tecnici, e invece è un problema della collettività, anche di chi a uno spettacolo o a un concerto non è mai andato.
Perché coltivare la propria anima non è un lusso, forse è l’unica cosa per cui vale la pena vivere. Non ho mai visto tanta vita quanta ce n’è in un gruppo di adolescenti che fa le prove per uno spettacolo teatrale, anche se è solo uno spettacolo di studenti e il suo valore artistico non sarà memorabile, si vede la vita che passa attraverso di loro. Nei loro corpi, nei loro sguardi, nella loro voce. È come l’elettricità, non si vede, ma può far muovere le cose, può illuminare una stanza. È l’energia che ha chi sogna qualcosa che ancora non esiste, chi immagina, chi crea.
Chiudere le porte all’immaginazione significa rinunciare al futuro.
Non voglio essere frainteso, non dico di aprire subito se può essere pericoloso, dico solo che dovremmo tutti ricordarci che questa chiusura è una rinuncia dolorosa, qualcosa che ci toglie libertà, e non va dimenticata o trattata con accondiscendenza.
E allora ai politici che decidono ogni giorno cosa è bene e male per noi non dico “riaprite senza se e senza ma”, dico solo “ricordatevi che esiste un mondo che avete completamente dimenticato”. Un mondo che non muove grandi capitali, che non sposta consensi elettorali, che non finisce in prima pagina, ma che vale molto più di quanto pensiate.
Non dobbiamo gridare, ma sussurrare queste poche parole: “Senza il teatro, senza il cinema, senza la musica questo Paese non sarebbe mai esistito”. Le sussurreremo ogni giorno finché questo mantra entrerà nelle loro orecchie, come il ronzio di una zanzara, che non ti lascia dormire sonni tranquilli.
Perché si possono chiudere i teatri e i cinema, ma non ci si può dimenticare che esistono.
Già collaboratore di Klp, Matteo Cavezzali è uno scrittore di Ravenna; ha pubblicato i romanzi “Icarus – Ascesa e caduta di Raul Gardini” (Minimumfax) e “Nero d’inferno” (Mondadori) e ha vinto il Premio Comisso e il Premio Volponi.
Stasera, 19 febbraio alle 21, andrà in scena un suo racconto al teatro chiuso di Bretonnico per il festival NarraBaldo in solidarietà con i lavoratori dello spettacolo. Lo spettacolo sarà visibile sul sito trentinospettacoli.it e sul canale youtube del Coordinamento Teatrale Trentino.