Abitudine all’attesa: Buzzati e la stanza dei ricordi d’un soldato senza guerra

Neuma

NeumaSiamo immersi nel vuoto, intorno a noi il deserto; a pochi passi la Fortezza. Tutto è buio. Solo in lontananza un piccolo punto bianco luminoso.
All’ingresso, la luce di una torcia ci fa strada per condurci nella Sala del Camino. Nella penombra si riesce a scorgere lo spazio intorno: vuoto, indefinito, asettico. Pendono dal soffitto sette pannelli bianchi che delimitano il campo di vista. Disposti come icone quattrocentesche, sembrano voler parlare; sono loro, infatti, che decidono cosa mostrare di quel luogo e cosa celare.

Procede per immagini, suoni e suggestioni visive il bel lavoro presentato dal gruppo Neuma (Alessandro Vincenzi e Elia Gazzato) su “Il deserto dei Tartari”, terzo e forse più celebre romanzo di Dino Buzzati, scritto nel 1940.

Tutto ruota dentro ed intorno la Fortezza Bastioni, luogo abitato da soldati logorati dal pensiero di dover combattere, che hanno perso l’identità inseguendo un nemico inesistente. Fuori la Fortezza c’è il deserto, noi vi siamo dentro.
I personaggi che gli schermi mostrano portano una maschera metallica, con due piccoli fori per vedere. Ognuno è uguale all’altro, non si riesce a distinguerli. Neanche tra loro sanno riconoscersi, sono uomini che hanno consegnato nelle mani della disciplina militare, regolare e monotona, la propria esistenza.
Gli uomini-soldato aspettano e nell’attesa si preparano. A cosa? Ad affrontare il nemico, il popolo dei Tartari, che prima o poi attaccherà la Fortezza.
Un prima o poi che potrebbe non arrivare mai, e intanto il tempo scorre inesorabilmente. I soldati aspettano, si abituano ad aspettare, vivono inseguendo l’unico motivo per cui hanno ragione di esistere: combattere. E potrebbero morire senza aver mai combattuto, dopo aver passato l’intera vita a prepararsi per farlo.
E’ proprio questa la sorte che toccherà a Drogo, il protagonista. Lui, sicuro di sé, arriva alla Fortezza sapendo di avere tutta la vita davanti, di poterne disporre a suo piacimento e decide di aspettare la “grande occasione”, per poi ritrovarsi, dopo cinquant’anni, da solo in una stanza vuota come il vuoto interiore che ormai lo corrode.

Questo è il vero dramma umano su cui insiste lo spettacolo: inaridire se stessi al punto da polverizzarsi fin nelle viscere, appiattirsi sino a rendersi conto d’essere arrivati al capolinea senza poter fare più nulla, ma continuare ugualmente a vivere una vita vuota, in un corpo che fa da contenitore cavo. Il deserto spaziale diventa così interiore.

Il breve spettacolo video-performativo riflette bene lo stile onirico e visionario del testo di Buzzati, avulso da qualsiasi condizionamento storico, universale perché fuori da ogni tempo e sempre attuale.
Il gruppo Neuma si propone di far riflettere: «Non vogliamo seguire filologicamente la narrazione del testo, ma usarlo come spunto per parlare di temi scottanti ed attuali – spiega Alessandro Vincenzi – L’attesa, il tempo, il senso dell’esistenza, la guerra fatta o auspicata nonostante non ce ne fosse bisogno. E’ il vuoto sociale che ci circonda e diventa parte di noi, ci assorbe ed inaridisce, fino a polverizzarci dentro… diventiamo corpi cavi che, se percuoti, puoi sentirne il suono».

A conclusione della performance, ad ogni spettatore viene consegnata una poesia di Thomas Eliot:
«Siamo gli uomini vuoti
Siamo gli uomini impagliati che
Appoggiano l’un l’altro
La testa piena di paglia. Ah!
Le nostre voci secche, quando noi
Insieme mormoriamo
Sono quiete e senza senso
Come vento nell’erba rinsecchita
O come zampe di topo sopra vetri infranti
Nella nostra arida cantina
Figura senza forma, ombra senza colore,
forza paralizzata, gesto privo di moto».

Una sorta di memorandum, per non dimenticare quanto vana sia l’abitudine all’attesa: attesa dell’agire, del farsi sentire… Un’esortazione a non sprecare il tempo a disposizione dietro inutili guerre e rancori infondati, per cercare di salvarci dal deserto interiore.

IL DESERTO DEI TARTARI
basato sull’omonimo romanzo di Dino Buzzati
interpretato da Neuma
durata: 17′
applausi del pubblico: 31”

Visto a Venezia, Sala del Camino presso i SS Cosma e Damiano, il 17 dicembre 2009

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