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Il felice debutto di Alessandro Rugnone. Yes I am: respirando gioventù

Yes I am
Yes I am
I protagonisti di Yes I am (photo: elfo.org)
La sincerità dovrebbe essere alla base del rapporto fra l’osservatore critico e l’arte. Perché crescono reciprocamente in questo relazionarsi sincero.
Dichiaro quindi senza nessuna difficoltà che partivo con qualche preconcetto rispetto al debutto alla regia di Alessandro Rugnone. Ovviamente non avevo nessun motivo concreto per armare la mia arma interiore di alcuna polvere pirica.

Il ragazzo viene dalla scuola siciliana di Emma Dante, ha lavorato seriamente con il gruppo dell’Elfo in diversi spettacoli e ultimamente è stato nel gruppo di Civilleri-Lo Sicco per “Educazione fisica” e sempre con uno spettacolo di gruppo, “History boys”, ha vinto insieme ad altri giovani interpreti un premio Ubu fra quelli assegnati nel 2011.  

Non posso dire quali fossero le aspettative prima dello spettacolo, ma arrivavo con qualche timore, anche perché l’intervento audio della domenica precedente a Piazza Verdi, su Radio 3, mi era sembrato poco denso, e gli studi precedenti avevano lasciato qualche dubbio. Così pure i testi a corredo.

Entro in sala. In scena due giovani attori, Viola Carinci e Daniele Giacomelli, interpretano due ragazzi di periferia in un rapporto di ambigua amicizia, come è tipico dell’età immatura.
La scena “art brut” di Petra Trombini, come pure le luci, rivelano nel proseguire dello spettacolo la loro potenza evocativa, fatta di piccole ingegnose idee, come mattonelle post it che, nella nevrosi adolescente, vengono attaccate e staccate, riordinate e sistemate come in un eterno gioco del quindici dove l’ordine non arriva mai.

I due giovani, isterici, estromessi dal circuito sociale, incompresi nelle loro debolezze e nelle possibilità creative, si spalleggiano in un tentativo di creare un codice verbale e semantico per affermare la loro presenza nel mondo. Il rap è il vangelo di questo loro vivere.
Lo spettacolo non racconta (evviva!) rivoluzioni adolescenziali, ma quel caos insicuro, quell’attacco all’esistente, quella voglia di altro che tutti, in quel tempo della nostra vita, abbiamo provato, fra titaniche velleità poetiche e sentimenti di inferiorità.

La regia cresce con lo spettacolo. Inizia con segni di chiara scuola siciliana, per usare un gergo pittorico: dalle camminate nevrotiche, avanti e indietro, in cui si rivede l’esercizio della schiera di Emma Dante, ad analoghe ispirazioni su linguaggi e incomprensibili, a codici di microcosmo.

Con l’andare della messa in scena, Rugnone trova una sua capacità autonoma di significare, una bella potenza nel motore, frenata di tanto in tanto solo da un certo compiacersi su qualche idea, di cui viene prolunga la durata. Assai buono risulta l’esito dei due giovani interpreti, condotti su una strada che non li porta mai sopra le righe, rendendoli credibili e appunto ambigui, liquidi, borderline, giocando in modo interessante sulla fisicità costretta.

A metà recita ad esempio, regista e scenografa, quasi a spezzare la dinamica narrativa in un prima e un dopo, entrano in scena a luci basse stravolgendo la scenografia per la seconda parte della pièce. Inspiegabile risulta il perché questa idea, pur interessante, debba prendere quasi cinque minuti. E anche altrove appare evidente come ci sia da togliere, accorciare (il primo tempo un po’ lungo, alcuni possibili finali in successione non rafforzano quando già fatto, la direzione, il senso).

Nella drammaturgia, comunque, scorre una bella forza futuristica, rigenerante, capace di sussurrare poesia in un codice incomprensibile eppure capace di trasmettere il senso della parola alta.
Rocco e Martin, i due personaggi, descrivono un modo di leggere e vivere l’adolescenza che parla di universale in modo, teatralmente parlando, anche più forte di quella dell’esperimento di Civilleri e Lo Sicco, cui Rugnone aveva preso parte. E questo non per fare un confronto fra tentativi così diversi anche per numero di attori coinvolti, ma perché in quello, che pure era un debutto registico, non abbiamo letto così tanti spunti come in questo.
Ci pare infatti innegabile leggere come, fra scenografia/allestimento e regia, ci sia stato un dialogo particolarmente fecondo, con il primo elemento capace, come un affluente, di alimentare in modo vigoroso il fiume principale.

Il debutto di Rugnone quindi merita. Merita perché rivela un’interessante capacità di creare squadra, non solo per raccontare una storia, ma per farlo senza didascalia (non ci sfugge che in tanto parlare di rap, l’unica nota che non risuoni nella colonna sonora sia proprio il rap; l’unica “spiega” che ci pare di cogliere è sui post – it, per chi non avesse capito cos’erano quei quadratini staccati e attaccati in vorticoso ritmo con l’ingegnoso ricorso al feltro).

“Yes I am” costruisce un linguaggio autonomo, superando quelli sui quali Rugnone si è formato, per arrivare ad un’originalità vera, non vuota. Va pulito, raschiato, ma ha un potenziale già espresso, che può urlare con maggior vigore.

Tornando in moto dal teatro dell’Elfo ci ripenso, penso al fatto che non ho cronometrato gli applausi, comunque meritati; che il tentativo e l’originalità che incorpora meritano; che Rugnone ha sconfitto con intelligenza il preconcetto; e che per tutto questo, pur dovendolo ancora perfezionare, per me merita quattro stelle (luci e scena anche qualcosa in più, pur nella povertà dei mezzi).
Insomma c’è materia originale per continuare il percorso, la forza di proporre novità. Il consiglio è un po’ meno autocompiacimento, che ancora un po’ affiora e va eliminato, per far arrivare alla asciutta e tagliente secchezza che dentro questa creazione artistica si legge senza fatica: piacersi meno, insomma, per piacere di più. Ma devo ammetterlo: Rugnone, mi hai (av)vinto.
In scena ancora stasera e domani pomeriggio.

Yes I am
di Alessandro Rugnone
scene e luci: Petra Trombini
con: Viola Carinci e Daniele Giacomelli
produzione: Bab El Gherib Teatri

Visto a Milano, Teatro dell’Elfo, il 30 ottobre 2012


 

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