Il Gabbiano di Sciaccaluga. Cechov fra ‘vecchio’ e ‘nuovo’

Photo: Giuseppe Maritati
Photo: Giuseppe Maritati

Marco Sciaccaluga ha rispettato i patti. Lo avevamo incontrato mentre era al lavoro sul suo “Gabbiano” e siamo tornati per vedere l’esito poco dopo la prima.

Bello, innanzitutto, notare in sala anche molti ragazzi delle scuole, coinvolti e attenti.
Lo spettacolo è lungo, quasi tre ore, ma scorre via fluido. La scelta di far entrare lo spettatore nel mondo cechoviano è tangibile già da prima dell’inizio, quando sull’enorme saracinesca tagliafuoco del Teatro della Corte, abbassata, viene proiettato in corsivo il titolo, “Il Gabbiano di A. Cechov”, come a dire “da qui non si scappa”.
La musica invece, che accompagna l’accomodarsi del pubblico, ci vuole dire qualcosa di diverso, quasi opposto rispetto alla grande scritta. E’ una melodia tipicamente russa, da ballo popolare che fa dondolare la testa e muovere le gambe. Un dondolio che diventa metafora di quanto ci aspetta da lì a poco, quando la parete mobile si alza silenziosa per svelarci il grande affresco scenico.

Sullo sfondo il lago e, in primo piano, su di un lato, il pontile che conduce alla casa; sull’altro il palchetto da spettacolo bucolico. In secondo piano una piccola dacia di campagna. Il legno chiaro è l’assoluto protagonista e s’impasta con il colore della sabbia che ricopre tutto il fondo. Una cornice classica, che non vuole sconvolgere ma rassicurare, per un contesto scenografico estremamente tradizionale.

Non vediamo la residenza principale; il “pezzo di mondo” che la scena di Catherine Rankl ci mostra, nella prima parte di spettacolo, è quel frammento di spiaggia che guarda verso il lago. Le luci di Marco D’Andrea sono così pertinenti da sembrare reali e ci accompagnano attraverso le diverse fasi della giornata.

L’impianto registico di Sciaccaluga, impreziosito dalla versione del censore del testo cechoviano (rappresentato per la prima volta in Italia e tradotto da Danilo Macrì) permette alla compagnia un nuovo slancio.
La regia riesce a cavalcare quasi completamente la poetica del grande autore russo, senza sbilanciamenti sul lato tragico o comico, ma garantendo allo spettatore la libertà di poter reagire come meglio crede. Un potere che gli viene affidato fin da subito: un esempio ne è l’entrata di Kostantin e Nina, i giovani tormentati dall’amore, che arrivano dalla platea, di spalle al pubblico e che proprio lì, in platea, si muovono qualche volta durante l’azione, a sottolineare un avvicinamento con la realtà di oggi, un tentativo di diventare meno lontani dal mondo dei loro coetanei seduti in sala.
Il confronto e il conflitto generazionale che Cechov porta alla ribalta viene catturato, umanizzato e portato vicino, anche fisicamente, a chi assiste.

Elisabetta Pozzi diventa così un’Irina nuova, aggrappata al suo Trigorin, un perfetto Tommaso Ragno, tanto quanto ai suoi rubli. Attuali anche le interpretazioni dei più giovani: Francesco Sferrazza Papa riesce a trasmettere a Kostantin la giusta e irrequieta energia nel combattere con la madre e con sé stesso, mentre Alice Arcuri, Premio Hystrio 2006, rende Nina una ragazza contemporanea (il ritorno a casa condito da disillusione e fallimento è uno dei momenti più coinvolgenti dello spettacolo).

E’ una bella prova per questa nuova produzione dello Stabile di Genova, che affronta una via “pericolosa” con tutta l’arte della “scuola teatrale genovese”, e che rispetta quelle intenzioni che la regia ci aveva esposto nella recente intervista a Sciaccaluga. Non è facile proporre un grande classico, molto rappresentato, lasciando un’impronta forte su chi guarda, ma Sciaccaluga ci aveva quasi detto di non volerlo fare, e di volersi invece accollare la responsabilità di portare allo spettatore una nuova versione drammaturgica (inedita) con una visione dell’umanità più leggera.

Il Gabbiano
di Anton Cechov
Regia di Marco Sciaccaluga
Produzione del Teatro Stabile di Genova
Cast: Roberto Alinghieri, Alice Arcuri, Eva Cambiale, Giovanni Franzoni, Andrea Nicolini, Elisabetta Pozzi, Tommaso Ragno, Francesco Sferrazza Papa, Mariangeles Torres, Federico Vanni
Versione italiana Danilo Macrì
Scene Catherine Rankl
Costumi Catherine Rankl
Musiche Andrea Nicolini
Luci Marco D’Andrea

durata: 3h
applausi del pubblico: 3′ 32”

Visto a Genova, Teatro della Corte, il 2 marzo 2017
Prima nazionale

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