Christian La Rosa e Giuliana Vigogna fra i protagonisti della commedia di Molière, in scena fino al 22 maggio
“Noi, noi, noi, solo noi, e nient’altro che noi …” leggiamo sul foglio di sala firmato dallo stesso regista, Leonardo Lidi: il rimando alla serie televisiva trasmessa in prima serata su Rai 1 tra marzo e aprile, intitolata appunto “Noi”, sembra più che casuale.
Nella serie (che vede, oltre a Lidi, altri nomi della scena contemporanea come Claudia Marsicano e Lino Guanciale), Lidi interpreta Teo, uno dei protagonisti, e la regia di questo spettacolo sembra mostrare con evidenza le tracce di quell’esperienza, a riprova del fatto che gli attori si portano appresso i personaggi e le loro storie, anche quando queste si siano concluse.
Persino il canto struggente di Arsinoè, “Guarda che luna”, celeberrimo brano di Fred Buscaglione, è parte della colonna sonora della serie tv. Ma ciò che vi si ritrova è soprattutto l’atmosfera melanconica, a tratti romantica, e il modo in cui l’amore, tema centrale nel “Misantropo” in versione Lidi, viene esplorato in tutte le sue forme: l’amore non corrisposto, l’amore che diventa ossessione, l’amore represso e poi coraggiosamente svelato, l’amore intimo e sincero, l’amore che non rinuncia alla propria libertà.
Un tema, quello dell’amore, divenuto ancor più urgente ed essenziale dopo questo periodo di pandemia, che ci ha portati a vivere l’altro come minaccia, a tenerlo a distanza, spiega Lidi in uno dei post con cui il Teatro Stabile di Torino, che produce lo spettacolo in occasione del 400° anniversario dalla nascita di Molière, lo ha promosso nelle settimane che hanno preceduto il debutto. Concetti che Lidi ribadisce anche nelle note di regia: «E se ci fossimo abituati alla “chiusura”? La convinzione di essere al sicuro solo all’interno delle proprie quattro mura, comodi sui nostri divani di consapevolezza, può generare pericolose derive […] E se ci stancassimo dell’Altro? Siamo sicuri che questo processo sia nato soltanto adesso e non già da prima? […] Sarà l’amore a salvarci dalla nostra autodistruzione?».
Il pubblico, perlomeno quello iscritto a Facebook (che, dal punto di vista generazionale, in gran parte corrisponde a quello che ancora fruisce abitualmente delle serie televisive) ha potuto così prendere confidenza con i personaggi di (Molière)/Lidi attraverso le parole degli stessi attori che a turno, come in un confessionale, svelavano in brevi video i loro sentimenti, paure, dubbi e tormenti.
Ma torniamo a teatro. La scena, firmata da Nicolas Bovey, è fissa: un palco ricoperto da cumuli di terra, a evocare il deserto in cui vorrebbe ritirarsi Alceste, intenzionato a liberarsi definitivamente da ogni forma di condizionamento sociale. Quella stessa arena, circondata da un’alta parete grigia, liscia e metallica, sarà poi vissuta ambivalentemente come luogo di socialità e in cui la stessa Celimene organizzerà la sua festa.
Per entrarvi o uscirvi i protagonisti sono costretti a passare da un unico basso ingresso, posto centralmente al fondo, che – come in una nota sala dannunziana – obbliga tutti ad abbassarsi. Vien da chiedersi se questi continui inchini vogliano rappresentare un ossequio al luogo ritrovato dell’arte e del lavoro, ossia al teatro, o piuttosto rappresentino metaforicamente lo sforzo e la fatica dell’amare.
I personaggi principali entrano in scena quasi subito, uno alla volta, preceduti e accompagnati da un attore senza nome né voce, in testa una calza a nascondergli il volto, che ritroveremo nel corso dello spettacolo nel ruolo variabile di burattinaio, direttore di scena, alterego di Alceste e di Celimene.
Arsinoè, Oronte, Celimene, Alceste, Filinte ed Eliante si dispongono in fila fronte pubblico, come in un immaginario talent. Chi di noi salverete? Sembrano dire. Ma anche: a quale dei nostri modi di amare corrisponde il vostro? Siete/siamo ancora disposti ad amare?
Verso la fine dello spettacolo si ripropone la stessa scena, e sui protagonisti si rovescia con violenza una pioggia, da cui nessuno fa il gesto di difendersi, ma che ciascuno subisce nell’immobilità, in uno stato di incondizionata resa al destino o all’inconciliabilità con l’altro.
Alceste cammina con l’aiuto di un bastone, ha subìto un’aggressione, lo attende un processo da cui sa già che uscirà perdente. Il mondo in cui vive non è dunque solo superficiale e corrotto, ma anche violento, e lui stesso ricorrerà, per un attimo, alla violenza per prendersi Celimene, pur non riuscendovi. L’insofferenza che Alceste prova per il mondo si trasforma in vera e propria sofferenza fisica. Con un incedere zoppicante e nevrotico, compie incessanti giri intorno alla scena, inseguito dall’amico Filinte che tenta di placarlo.
Filinte, nella versione di Lidi, è una donna, nutre per Alceste un affetto sincero, quasi materno, e un amore vero per la giovane Eliante, a cui troverà il coraggio di dichiararlo, in un moderno coming out che trascina Molière nei tempi odierni.
Arsinoè è forse il personaggio a cui Lidi dà maggiore spazio, riservandole la parte di una donna matura che porta sulle spalle il peso del tempo e dell’esperienza, che non può essere scevra dalla disillusione e dall’amarezza, ma che nonostante ciò non rinuncia ad amare, sfida le convenzioni e i pregiudizi per dichiararsi, pur sapendo che l’oggetto del suo amore è irraggiungibile. Nel suo lungo e intenso monologo si possono cogliere la lucidità e la passione travolgente di grandi eroine tragiche del passato, da Cleopatra a Fedra, ma anche la consapevolezza di non essere compresa di una grande poetessa contemporanea come Alda Merini.
Compaiono poi, in scene corali, gli allievi della scuola dello Stabile di Torino. Tutti con una calza in testa, senza volto né voce, addosso una camicia bianca, cravatta e completo maschile nero, rappresentano attraverso coreografie d’insieme una società anonima, grigia, neppure troppo festaiola.
Chi si aspetta da questo allestimento del “Misantropo” un Molière conosciuto, la complessità dei suoi personaggi, la feroce critica dell’ipocrisia dei tempi, la sua pungente satira, probabilmente non la troverà. Lidi, firmandone anche l’adattamento, preferisce una lettura più intima e contemporanea del testo, una scelta che sembra convincere il pubblico, complici i bravi attori in scena, premiati dagli applausi finali.
A Torino fino al 22 maggio. E da oggi a fine repliche sarà possibile assistere allo spettacolo con soprattitoli in francese e in italiano semplificato, con la descrizione dei suoni su tablet, smartphone e smart-glasses, audio introduzione ad inizio spettacolo (previa prenotazione).
Il misantropo
di Molière
con (in ordine alfabetico) Alfonso De Vreese, Christian La Rosa, Marta Malvestiti, Francesca Mazza, Riccardo Micheletti, Orietta Notari, Giuliana Vigogna
regia Leonardo Lidi
scene e luci Nicolas Bovey
costumi Aurora Damanti
suono Dario Felli
assistente regia Riccardo Micheletti
adattamento Leonardo Lidi
assistente drammaturgia Diego Pleuteri
il sonetto di Oronte è composto da Nicolò Tomassini
Teatro Stabile di Torino – Teatro Nazionale
Visto a Torino, Teatro Carignano, l’8 maggio 2022
Prima nazionale