Si parte col piede giusto in questo 25 giugno, primo giorno di Inequilibrio 2014. Tra i primi lavori in cartellone assistiamo a “Purgatorio, Panopticon per 32 testimoni” di Lemuri/Zoe Teatro, testo del 2005 di Ariel Dorfman.
Ariel Dorfman è conosciuto soprattutto per il film “La morte e la fanciulla”, di Roman Polanski, tratto dall’omonimo dramma teatrale, che molto ha in comune con questa messinscena di Armunia per alcune delle tematiche affrontate: una su tutte la riflessione di come le conseguenze di azioni passate possano perpetrarsi nel quotidiano e incombere e “perseguitare” le vittime che le hanno subite – e di conseguenza anche i carnefici.
In “Purgatorio” siamo alternativamente dalla parte delle vittime e dei carnefici, in un dilemma di punti di vista che non si risolve in una mera divisione manichea tra “colpevoli e vittime”. Assoluzione (ovvero comprensione) e condanna sono territori limitrofi.
Nel complesso meccanismo drammaturgico impressiona soprattutto la prova dei due protagonisti, Emiliano Pergolari e Stella Piccioni, attori talentuosi e attenti, dai tempi giusti e che evitano la trappola del “troppo indugiare” nelle pieghe drammatiche di un testo non facile, visto l’equilibrio richiesto affinché il tutto scorra e si incastri nei meandri di questa densa materia.
Nella messinscena emerge prepotente anche il tema ossessivo dell’essere spiati, osservati, rinchiusi, privati della libertà, in un luogo dal quale uscire sembra essere impossibile.
Elementi che tanto richiamano l’epoca delle dittature sudamericane di pochi decenni fa. Episodi drammatici che hanno costellato la biografia di Dorfman, nato in Argentina ma trasferitosi in Cile negli anni ’70, e poi costretto ad abbandonare la nuova patria in seguito all’ascesa di Pinochet, fino a diventare nel 2004 cittadino statunitense.
Quando ad inizio spettacolo veniamo guidati nell’oscurità dell’ambiente, dove è installato il panopticon, sembra per un attimo di essere traghettati nel centro dell’isola ritratta nel celeberrimo dipinto di Arnold Böcklin, “L’isola dei morti”, dentro quel piccolo scoglio roccioso fitto di cipressi, al cui interno non riusciamo a scorgere niente: una sorta di “selva oscura” di dantesca memoria.
Immersi nella totale oscurità in “Purgatorio” scrutiamo, attraverso piccoli riquadri a mo’ di spioncini che costellano la struttura circolare, i due ignari protagonisti all’interno dell’oppressivo ambiente, dei quali inizialmente captiamo solo le voci.
Poi scopriamo che “l’uomo e la donna in realtà non sono altro che Giasone e Medea, sopravvissuti al loro incubo in questo luogo indefinito, costretti a espiare per l’eternità, nell’attesa di un improbabile ritorno, di un’improbabile redenzione” si legge nelle note di presentazione.
Un Purgatorio dentro al quale si svolge una sorta di rito inquisitorio, destinato a perpetrarsi all’infinito, in un’azione scenica senza soluzione di continuità.
E quando al termine si viene rigettati nell’oscurità e lo spettacolo riprende dall’inizio, se non fossimo invitati ad alzarci dagli stagisti che ci avvertono di abbandonare le nostre faticose posizioni, saremmo ancora lì ad aspettare, a “guatare” cercando di capire se esista, o meglio, se si realizzerà una via di uscita per i due, immersi in profondità dell’animo viscerali e impenetrabili – solo apparentemente a noi così distanti – tragiche e soffocanti, vittime dell’asfissiante sete di vendetta, rappresentata metaforicamente dall’imperare dell’assenza di luce, che solo nell’ultima parte vira in leggera semioscurità, che diviene per improvviso contrasto, quasi accecante per i nostri occhi e le nostre menti.
Il lavoro attento e preciso dei due affiatati protagonisti non ha attimi di rallentamento, bensì si dimostra nella sua evoluzione denso, efficace, claustrofobico, disturbante – preme sottolineare quale fondante elemento drammaturgico la partitura sonora di Michele Branca – e in quell’intravedere a tratti, in una semioscurità a poco a poco attenuata da squarci improvvisi, come scosse elettriche, queste due figure, disperate, incalzate da continui e vicendevoli interrogatori incentrati sulle loro terribili e atroci azioni (quanto mai attuali!) di cui sono gli unici responsabili e ai quali sembra preclusa ogni via di scampo.
È un gran lavoro, degno di attenzione, merito anche della bravura dei due protagonisti e della regia di Emiliano Pergolari, il cui lavoro seguiamo da tempo e si avvia verso una maturità compiuta.
PURGATORIO, PANOPTICON PER 32 TESTIMONI
di Ariel Dorfman
traduzione: Alessandra Serra
regia: Emiliano Pergolari (con il contributo di Stella Piccioni)
con: Emiliano Pergolari, Stella Piccioni
ideazione: Emiliano Pergolari, Stella Piccioni, Michele Branca
partitura sonora: Michele Branca
con il sostegno di: Fontemaggiore Teatro Stabile d’Innovazione e di Armunia/Festival Inequilibrio
struttura scenica: Marcello Sabbati, con l’apporto ideativo di Elisabetta Pergolari e Stefano Emili
si ringraziano: Michele Bandini, Maurizio Lupinelli, David Rinaldini, Simone Trippetta, Francesca Paris, Stefano Romagnoli, Cinquepiudue
durata: 48’
Visto a Castiglioncello (LI), Festival Inequilibrio, il 25 giugno 2014