La XXI edizione di Incanti si è conclusa con tre serate di suggestivi contrasti e sperimentazioni, durante le quali il pubblico della rassegna ha potuto degustare tecniche e stili molto diversi fra loro.
Ha portato gli spettatori in una dimensione sospesa ed onirica la “Wunderkammer Cabinet of curiosities” di Figuren Teather Tübingen, dove Frank Soehle, Raphael Murle e Alice Therese Gottschalk hanno affascinato il pubblico con l’animazione a vista di complicate marionette a filo.
Lo spettacolo si presenta come una serie eterogenea di quadri in cui vengono esposti e portati alla vita, uno dopo l’altro, strani esseri che sembrano vivere sospesi in una dimensione parallela alla nostra.
Osservando rapiti i complicati meccanismi che permettono agli animatori di muovere con delicatezza e fluidità queste piccole opere d’arte, veniamo pian piano trasportati in un’altra dimensione, in cui reale e immaginario convivono senza difficoltà alcuna.
Prendono così vita mostri marini, piccoli acrobati dalle sembianze animali e strane teste-uomo dalle lunghe gambe gialle o dalle braccia blu. Poco a poco scatole e piccole valige preziose si schiudono per mostrare al pubblico un’incredibile varietà di oggetti e di piccoli esseri nati dall’immaginazione e dalla fantasia degli autori.giuli
Il tappeto musicale, firmato da Michael Wollney e Tamar Halperin, completa la nostra esperienza confezionando un ambiente sonoro sospeso ed estatico che ci culla dolcemente da una scena all’altra.
Se dal punto di vista estetico e interpretativo lo spettacolo appaga completamente i nostri sensi, non si può dire altrettanto della drammaturgia e del ritmo che appaiono, a tratti, sfilacciati e poco comprensibili, così da rendere il lavoro un po’ troppo lungo.
Nella stessa serata il pubblico ha potuto assistere anche al progetto di video pittura e sonorizzazione del video artista Stefano Giorgi “La strana storia (lo strano verso)” che, traendo ispirazione dalle vecchie fiabe e da parole e formule magiche in esse contenute, gioca con l’idea di meraviglia e magia. Un lavoro con piacevoli effetti di animazione visiva e proiezioni di superfici dipinte.
Nella giornata conclusiva della rassegna abbiamo invece assistito ad un suggestivo contrasto tra “R.O.O.M”, spettacolo della compagnia Meinhardt-Krauss-Feigl ovvero “cinematographic theatre” e “Haiku” della compagnia Controluce – Teatro d’Ombre, ideatrice della rassegna; due lavori che si legano per antitesi stilistica tra sperimentazione e tradizione, in una comune atmosfera di introspettiva malinconia.
In “R.O.O.M” si parte da una scena a sfondo bianco e da una donna sola, Iris Meinhardt, seduta ad un tavolo con lo sguardo perso in un tangibile vuoto: un’unica stanza, uno spazio illusorio e claustrofobico generato da scenografie virtuali proiettate come immagini su pareti imprigionanti.
Porte e finestre sbattono al vento o restano chiuse ad ogni frustrato tentativo di aprirne il varco dischiuso verso l’esterno, altrettanto illusorio paesaggio di mare, di buio, di cielo, fessure attraverso le quali filtra la neve o l’acqua torbida delle onde, ma dalle quali nulla può uscire, neppure il pensiero.
Un corpo di donna pare rassegnato ad una dolorosa evidenza, la stessa, seppur declinata al di là dei risvolti ironici del surrealismo, della sala da pranzo dell’Angelo Sterminatore di Luis Buñuel dalla quale nessuno dei commensali riesce ad uscire nonostante la porta sia aperta.
Il gioco scenico si realizza per astrazione a scatole cinesi: la donna è sola, eppure in compagnia di sé stessa, di quel burattino bianco che emerge dal pavimento e diventa visibile al pubblico grazie a protratti effetti luminosi volti a scoprirne lentamente la forma.
Le azioni sono dunque doppie, e le figure – corporee e virtuali – si mescolano in una realtà psichica e conturbante in cui il vero si confonde con l’onirico: il silenzio verbale della scena amplifica il linguaggio per immagini, il mutare repentino dello spazio, liquidi e muri che si frammentano e si ricompongono.
“R.O.O.M” utilizza le tecniche visual in rapporto all’immediatezza concreta della marionetta e produce così un senso di spersonalizzazione tipico dell’assurdo, del paradosso, dell’angoscia dell’inconscio.
Apparentemente meno sperimentale, ma altrettanto ricercato, l’“Haiku” di Controluce, delicato quanto crudele nel riprodurre la brevità gestuale dei componimenti poetici cui si ispira.
Sulle note di un pianoforte suonato dal vivo, segni e versi di haiku si tracciano su pannelli trasparenti dietro i quali filtrano luci e ombre. Un corpo bianco ed etereo si muove come ala di farfalla, come baco da seta, spogliandosi progressivamente dei veli che lo avvolgono. I gesti sono ripetuti, eleganti e lenti, minimali.
Nonostante il sapore popolare ed antico della tecnica, Controluce riesce a reinterpretarne la semplicità senza sottrarla alla potenza espressiva tipica del teatro d’ombre, giocando proprio sull’essenzialità delle tematiche degli haiku, della trasformazione, della metamorfosi, della natura per realizzare un intimismo suadente, complesso, nostalgico.
In un’edizione tutta dedicata alla contaminazione fra generi, Incanti ha offerto al suo pubblico la possibilità di affinare lo sguardo su un mondo che trae la sua forza e la sua ricchezza proprio dall’eterogeneità e dalla ricerca stilistica e compositiva.
Nelle serate torinesi, sempre molto frequentate dal pubblico, abbiamo così assistito all’incontro fra il teatro di figura con la danza, il video, l’arte, la musica e la tecnologia, riscoprendo ancora una volta la straordinaria potenza evocativa e teatrale dell’oggetto in scena.