Il Teatro della Performance, in mostra a Torino

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Curata da Danilo Eccher, riapre la stagione espositiva della Galleria d’Arte Moderna e contemporanea di Torino

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Bock – Allestimento Lust torte (photo: Gonella)

La mostra “Il teatro della performance” verrà inaugurata domani, sabato 24 ottobre, per proseguire fino al 31 gennaio 2010.

Peter Brook ha affermato che è sufficiente che il corpo di una persona attraversi lo spazio perché attorno a quell’azione, per quanto minima, si articoli in potenza tutta l’energia del teatro.
La mostra intende presentare e analizzare spazi, forme e oggetti plasmati da quel passaggio, modellati dall’azione dell’artista, anche dopo il compiersi della performance.
“Il Teatro della Performance” non è una mostra di documentazione, non si concentra sulla registrazione dell’atto, ma sulla scena del suo accadere. Intende presentare l’architettura e la fisicità del teatro che ha accolto l’azione, intende soffermarsi sulla struttura scenica creata dall’artista, sullo spazio pensato per dar luogo alla performance e spesso creato o modificato dalla performance stessa, costruito per accumulo di tracce derivanti da atti, parole e oggetti di scena.

“Quando si parla di performance, il pensiero corre alla gestualità, al movimento, alla recita, alla ritualità, alla danza, si definiscono le immagini di una teatralità che mescola suoni, corpi, colori e gesti in un atto, in un’azione che si propone e scompare allo stesso tempo, che vive con forza una presenza effimera, fragile, impalpabile – esordisce Danilo Eccher – L’atto performativo è di per sé unico e irripetibile, o si è partecipi o si è assenti, un’assenza che può essere edulcorata nel documento, nelle tracce di un reperto o una reliquia a cui si è affidato il compito di trattenere la magia della scomparsa. Ma il vuoto è incolmabile, il flusso inarrestabile, l’attimo è già alle nostre spalle e ciò che rimane è il palcoscenico vuoto, è la cornice scenografica rimasta muta alla fine della recita. Affiora, nel silenzio di una perdita, un incerto impianto teatrale che dal ruolo marginale di sfondo paesaggistico, lentamente, conquista il centro della scena e improvvisa la sua parte. L’attore-artista è tornato nel suo camerino e lo sguardo può ora soffermarsi sul palcoscenico, sulla scenografia, su quelle luci, colori e immagini che hanno sopportato il peso dell’azione e ora, solitari, riemergono, non solo testimoni ma reali protagonisti di un tempo dilatato che si fa opera”.

Quale il limite fra rappresentazione teatrale, performance ed installazione?
La mostra presenta lavori seminali di alcuni tra i maggiori esponenti della ricerca performativa tra la fine degli anni ’50 e oggi. Ciascuno di questi artisti ha ‘costruito’ la scena dei propri lavori con diversa attitudine.
La presentazione dell’approccio più sfogato, proprio del Gruppo Gutai, attraverso il lavoro di Katsuo Shiraga, renderà visibile la forte relazione tra la stagione dell’action painting e l’utilizzo dell’intera energia corporea in una forma estrema di pittura che modella lo spazio attorno al movimento dell’artista.
Paul Mc Carthy raccoglie la medesima energia materica dei pittori del Gruppo Gutai per farla esplodere in provocatorie violenze di matrice sessuale di cui si presenteranno in mostra i luoghi, le architetture, a volte domestiche e a volte visionarie, dell’evento consumato.
Herman Nitsch presenta l’apparato cerimoniale delle sue performance, lavorando sulle insegne e gli spazi del rito.
L’attenzione per l’allestimento della scena e il ‘fondale’ dell’azione performativa di Gilbert & George sarà presentata attraverso alcuni disegni della serie General Jungle, in cui la potenzialità dello storyboard di un’immaginaria performance si amplifica in una dimensione spaziale che gioca tra il murales e il wallpaper.
Le opere di Marina Abramović (che sarà alla Gam per l’inaugurazione, sabato 24 alle 18) costituiscono invece l’occasione per osservare il potere di modulare lo spazio scenico insito nella voce del performer: una sorta di architettura del suono che prende forma per azione del timbro, delle risonanze emotive, delle parole che costruiscono catene di immagini.
La mostra presenterà anche alcuni lavori di John Bock, la cui attitudine performativa non solo appronta una scena per la propria azione ma si esplica come vera e propria costruzione di mondi. In Bock il rapporto tra azione e spazio scenico, che la mostra intende indagare, sembra definitivamente sciogliersi in una sempre più densa costruzione di set che divengono l’ossatura stessa dei lavori, in cui le strutture di scena mutano senza soluzione di continuità in opere installative.

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