Il teatro uccide forse perché la sua natura ha a che fare con la morte. Vive per morire e contagia tutti coloro che con esso vengono in contatto. È la forma d’arte più legata alla morte che ci sia. Non è scritto su carta, non è ritratto né su tela né su pellicola, non viene inciso su disco. Non è fatto per restare, ma per accadere. E mentre accade, sta finendo. Mentre vive, sta morendo. Mentre inizia, sta smettendo.
Questa è la sua bellezza, il suo fascino, lo dicono da secoli, quel ritrarre il nostro dolente e intenso “eccoci qui”. Che sarebbero poi in un certo senso la bellezza e il fascino dell’uomo stesso.
Ma l’uomo, questa accolita di disperati, chi mai se ne cura, chi ne vuole più sentire parlare?
Nessuno più si occupa davvero dell’uomo. E chi lo fa è un paria, un reietto. Chi invece dice di farlo, quanti argomenti ha a suo favore! Quanti comunicati stampa, che meravigliosa parure di termini nobili con cui si riempiono la bocca coloro che dicono di volersi occupare dell’uomo!
Riempiono gli stabili, scrivono schede artistiche, occupano posti prestigiosi, sono figure di spicco. Onorati membri di una veglia funebre.
Quegli altri, quelli che fanno e non dicono, li ammazzano tutti.
Li ammazzano mentendo, li ammazzano promettendo e non mantenendo, li ammazzano neutralizzandoli, normalizzandoli, ammaliandoli. Li ammazzano rabbonendo, falsificando, rubando, sprecando il linguaggio, doppiogiocando, tagliando, smantellando, chiudendo. Li ammazzano coi festival, ammazzano dentro e fuori i festival, li ammazzano coi debutti, coi teatri chiusi, li ammazzano coi premi, coi bandi, coi tagliandi, coi cartelloni chiusi, con gli scambi, i ricambi, i ricicli, i ricatti. Li ammazzano con le rassegne, con le vetrine, con gli eventi, con i giovani talenti, con gli esordi dell’anno, con le rivelazioni, con le sostituzioni, con i favori da amico, con il non volersi fare un nemico. Li ammazzano con le tavole rotonde, con i direttori, con il pubblico di operatori, con l’attore-autore-regista-costumista, li ammazzano col teatro povero, li ammazzano con quello ricco, con quello sociale, civile, con la narrazione, con l’uno solo in scena, con il questa volta non ci sono soldi, con i progetti in cui credere, con i progetti da sostenere. Li ammazzano nelle colonnine dei giornali, li ammazzano togliendo i giornali, togliendo i critici, togliendo i libri, togliendo gli editori, facendosi i favori, facendosi i dispetti, facendosi rabbia, facendosi quella e quell’altra. Li ammazzano da far schifo, nel silenzio più silente.
Nessuno dice niente. Un popolo di morti che si siede in platea, e aspetta.
Questo ‘ammazzano’ è un ‘ammazziamo’. Che non si dica che vogliamo toglierci di mezzo, che siamo puliti.
E chi si occupa dell’uomo? Quello non è morto. Quello è ucciso. Un morto ammazzato non è un morto come gli altri. Un morto ammazzato è qualcosa che torna. Che si affaccia a Elsinore e chiede vendetta, chiede uno sterminio.