Il Verbo degli Uccelli. L’opera-mondo di Luigi Dadina e Lanfranco Moder Vicari al Ravenna Festival

Photo: Nicola Baldazzi
Photo: Nicola Baldazzi

L’artista visivo Nicola Montalbini crea un ambiente scenico per ospitare le quasi 200 persone, di età e provenienza diverse, protagoniste dello spettacolo Mantiq At-Tayr

“È urgente l’amore/è urgente una barca in mare/è urgente distruggere certe parole,/odio, solitudine e crudeltà…/è urgente inventare allegria/moltiplicare i baci, i raccolti”.
(Eugenio De Andrade)

Arrivo in Romagna da Bruxelles dopo un po’ di esitazione, il dolore nel vedere gli effetti dell’alluvione su una terra che amo, in cui ho trascorso la mia giovinezza, mi ha talmente scosso che avrei voluto annullare il volo. Poi mi sono detta: bisogna partire, andare a vedere con i propri occhi e ascoltare quello che la gente, gli amici hanno da raccontare.

Ciò che più mi ha colpito è l’immensa ondata di solidarietà che ha spinto le persone ad aiutarsi, senza aspettare che la lenta macchina delle istituzioni si mettesse in moto; come se il tessuto sociale che si è inevitabilmente sdrucito durante gli anni della pandemia cercasse improvvisamente di rammendarsi, di ricostituirsi.

Tutto questo movimento di persone, soprattutto giovani, mi ha aperto un senso di speranza. Un irrazionale desiderio di vita si è sprigionato da un evento tanto drammatico e duro per molti. Un evento naturale avverso (ma per molti versi pure artificiale, dovuto a politiche ambientali scellerate) che, come nella “Ginestra” di Leopardi, ci ha ricordato la nostra fragilità umana e ha fatto scoccare la scintilla tanto preziosa della solidarietà.

Con questi pensieri che mi attraversavano mi sono addentrata nel quartiere di Lido Adriano e nel suo Grande Teatro. Lido Adriano e il suo il Cisim – ex centro per lo studio del mosaico riconvertito in spazio culturale – è un luogo che conosco da anni, ci ho trascorso diverse Feste della Repubblica, ed è un luogo che da anni ha l’obiettivo di creare un terreno per la coesione sociale attraverso la musica e il teatro.

“Il Verbo degli Uccelli” è la prima creazione di un esperimento socio-culturale che si svolgerà in tre tappe e che ha scelto come medium il teatro. Qui esso assume la nobile funzione di farsi strumento, si sarebbe detto un tempo, ‘politico’, parola che nel suo senso originario deriva da polis, la città-stato dell’antica Grecia che prevedeva l’attiva partecipazione dei cittadini alla vita della comunità.
E nobile è pure il gesto degli autori e del regista, che fanno un passo indietro rispetto alla precisione dei gesti scenici e all’originalità della creazione drammaturgica per dare la priorità a un obiettivo di coesione sociale. A questo proposito il regista Luigi Dadina dichiara in un’intervista: “Da questo lavoro mi aspetto di scomparire, nel senso che ho dato loro tutto ciò che so del teatro e poi saranno loro a fare”. Un’opera collettiva quindi già nell’ideazione, e da qui la scelta di un testo che si presta perfettamente a un lavoro corale di ‘teatro comunitario’, come lo definisce Dadina. Nel testo gli uccelli reclamano un re e quindi un destino, un senso, in esso c’è una comunità in viaggio che si racconta.

Non solo teatro, ma una miscela di musica dal vivo, canto, rap e arti visive hanno riunito un gruppo di quasi duecento persone di diverse età e origini intorno alla preparazione di questo evento. Attori e musicisti, artisti e cantanti, bambini e adulti di varie nazionalità per circa sei mesi hanno lavorato insieme, per dar vita a questo spettacolo, anteprima del Ravenna Festival 2023.

Un aspetto che ha fatto propendere per la messa in scena di questo testo è stata la dimensione del viaggio, che in esso è fondamentale: tra gli attori infatti ci sono molti richiedenti asilo che hanno dovuto affrontare un viaggio pieno di pericoli. Queste persone, che in genere rimangono dei numeri nascosti dietro ad espressioni come ‘flussi migratori’, grazie al teatro possono tornare ad essere individui.
Racconta ad esempio Tahar Lamri, lo scrittore che ha partecipato alla creazione dello spettacolo, che durante i laboratori i partecipanti erano chiamati a condividere alcuni aspetti della loro cultura, per esempio una ragazza afghana ha mostrato una danza tipica del suo Paese che poi è entrata a far parte dello spettacolo.

Punto di partenza è stato il poema “Mantiq At-Tayr” (Il Verbo degli Uccelli) di Farid Ad Din Attar, autore persiano del XII secolo, tradotto per l’occasione dallo scrittore di origine algerina Tahar Lamri.
Si tratta di un’epopea che racconta il viaggio di un gruppo di uccelli che ha per scopo quello di trovare il loro re, il Simorgh. Dopo molte peripezie attraverso sette Valli – della Ricerca, dell’Amore, della Comprensione, dell’Indipendenza, dell’Unità, dello Stupore e della Povertà – solo trenta viaggiatori arrivano alla meta, per scoprire che il Simorgh altro non è che uno specchio in cui è riflessa la loro immagine: il fine del viaggio è la ricerca di sé.
Questo finale cela un gioco di parole in lingua persiana fra “Simurgh“, il nome dell’uccello mitico, e “si murgh“, che in persiano significa “trenta uccelli”. Nella dottrina Sufi Dio non è esterno o separato dall’universo, bensì costituisce la totalità di ciò che esiste; i trenta uccelli comprendono infine l’identità mistica fra “Simurgh” e la loro stessa essenza.
Il finale rappato e salmodiante dello spettacolo, in cui i bambini vestiti con una specie di saio francescano si avvicinano al pubblico con un frammento di specchio, fa inevitabilmente commuovere.

“L’ignoto rapisce/lo stupore rapisce/il volto di Simorgh contempla il mondo/ il mondo svela il volto di Simorgh/noi siamo Simorgh/Simorgh siamo noi/guardiamo noi/vediamo lui/questo era quello/ quello era questo/ il noi, il tu sono uniti”.

Ed ecco che ritrovo un filo rosso tra le mie emozioni e i sentimenti di questi giorni, lo stesso slancio di compassione e comunione tra gli esseri umani che ho visto in mezzo al fango dell’alluvione, lo percepisco qui. Ritrovare nel nostro essere umani una condizione che ci unisce e può rivelare, a certi livelli di coscienza, la scintilla divina che si cela in noi. Ed ecco la funzione politica che può avere il teatro e l’arte in generale, quando diviene territorio di incontri e di scontri, creazione di relazioni, collettività che si misura con la ricerca di un senso, dentro e fuori la scena.

E’ forte la sensazione di famiglia percepita prima e dopo lo spettacolo, quando la compagnia ha allestito un lauto banchetto, a cui siamo stati invitati. In quel momento ho sentito la coesione di un gruppo fatto di tante persone di età e nazionalità diverse. Il teatro sa compiere miracoli, sa creare comunità là dove ci sono individui giustapposti l’uno all’altro.

Un territorio così ricco di diversità come quello di Lido Adriano mi ha ricordato Bruxelles, la città dove vivo dal 2015. Ciò che li unisce è la presenza di una molteplicità di nazionalità e origini. Non so di preciso quante ce ne siano a Lido Adriano, ma so che Bruxelles è la seconda città al mondo per numero di nazionalità presenti dopo Dubai. Per questo motivo sono stati creati dei veri e propri assessorati alla coesione sociale in ogni quartiere della città, che sovvenzionano interessanti progetti che utilizzano il medium delle arti. Nelle grandi città come Bruxelles è di vitale importanza intercettare i pubblici e le persone fragili perché isolate o con meno mezzi economici, per prevenire le situazioni di disagio sociale. Molto spesso questi progetti ruotano intorno al discorso della lingua parlata: se, infatti le nazionalità presenti in città sono più di duecento, altrettante saranno le lingue parlate e anche di più. Ecco perché, assistendo all’inizio de “Il Verbo degli Uccelli”, mi sono sentita come quando salgo su un tram a Bruxelles. Avvolta da un pulviscolo di parole, da una musica eterogenea di lingue che suonano in contemporanea: lo spagnolo, l’arabo, il turco, il rumeno, l’inglese, il siciliano e chissà quante altre che non so riconoscere. L’identità delle persone si rivela attraverso la loro lingua madre e qualcosa di loro si trasmette anche attraverso il suono, spogliato da ogni significato.

Così mi ha colpito la scelta di far recitare in alcuni momenti gli attori e i non-attori nella loro lingua madre, aprendo agli spettatori lo scorcio di una geografia fluttuante, che come il volo degli uccelli di Simorgh ci porta a percorrere dall’alto una mappa sonora di lingue esotiche e sconosciute (tra cui anche i dialetti). Un mare di suoni in permanente comunicazione tra loro. Un mare di parole che si scontrano e si incontrano come nel rap di Lanfranco Moder Vicari, toccando momenti di vera poesia. Un commento merita infatti la parte musicale e rappata dello spettacolo, che fa da contrappunto alla scena. Composizioni di musiche originali che arricchiscono il lavoro drammaturgico e i testi di Moder Vicari, ispirati a poesie sufi, che commentano e sostengono la narrazione con la forza e l’energia di questo linguaggio contemporaneo.

Il Verbo degli Uccelli
direzione artistica Luigi Dadina, Lanfranco Moder Vicari
regia Luigi Dadina
drammaturgia Tahar Lamri
direzione organizzativa e costumi Federica Francesca Vicari
creazione scena e supervisione costumi Alessandra Carini, Nicola Montalbini
ideazione costumi Sartoria Natascia Ferrini, Stefania Pelloni, Simona Tartaull
composizione musiche e arrangiamenti Francesco Giampaoli
composizione testi dei brani musicali e direzione cori Lanfranco Moder Vicari
coordinamento musicale Francesco Giampaoli, Enrico Bocchini
narrazione e cura degli spazi scenici Massimiliano Benini con Lorenzo Carpinelli
coproduzione CISIM|LODC e Ravenna Festival. È realizzato con la preziosa collaborazione di Ravenna Teatro/Teatro delle Albe, Librazione Soc. Coop., La Cuciria e Riti

Visto a Lido Adriano, Grande Teatro, il 2 giugno 2023

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