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Il vizio dell’arte. L’Elfo gioca al teatro con Bennett

Ferdinando Bruni ne Il vizio dell'arte (photo: Laila Pozzo)

Ferdinando Bruni ne Il vizio dell'arte (photo: Laila Pozzo)
Ferdinando Bruni ne Il vizio dell’arte (photo: Laila Pozzo)

Raccontare la vita e le imprese di una persona lo si può fare in moltissimi modi. Con uno scritto, con un’idea, con la trasposizione delle sue vicissitudini sulla carta o con uno spettacolo teatrale. Comunque sia, il piano sarà sempre uno, quello del racconto narrativo che si snoda nei meandri di una vita, complessa e articolata come tutte le vite possibili. 

Alan Bennett si è avvicinato alla vita di Wystan Hugh Auden, “poeta maledetto” britannico che diede scandalo a Oxford con le sue tendenze omosessuali e i suoi eccessi urlati ai quattro venti, attraverso un testo in cui cerca di raccogliere (a fatica, racconta lui stesso nella prefazione del testo nell’edizione Adelphi) informazioni, aneddoti e momenti della vita del poeta tentando di raccontare un mood, il suo, del tutto unico.

Ecco quindi sfilare, ne “Il vizio dell’arte”, Benjamin Britten, suo storico collaboratore (e amante), le marchette che lo accompagnarono alla vecchiaia e il giovane Humphrey William Bouverie Carpenter, che poi scrisse la sua biografia. La cosa interessante del testo è l’esser tutto giocato intorno a una rappresentazione teatrale, un “teatro nel teatro” in cui un gruppo di attori di esperienza (Ferdinando Bruni, Elio de Capitani, Umberto Petranca, Alessandro Bruni Ocana) aiutati da un regista fantasma (che non compare mai), un autore viziato e lamentoso (Michele Radice), un’assistente tuttofare (Ida Marinelli), un tecnico di sala istrionico (Vincenzo Zampa) e un musicista (Matteo de Mojana) cercano di mettere in scena la vita di Auden, con tutte le contraddizioni che questo comporta.

I piani dello spettacolo, ultima fatica di Teatro dell’Elfo, sono quindi due: da un lato la vita di Auden, che ci viene raccontata da lui e da tutti quelli che gli ruotano intorno; dall’altro la vita degli attori che, come bambini, hanno bisogno di essere guidati dal testo e dal riconoscimento della loro arte. Il vizio dell’arte, appunto, arte poetica del protagonista e arte sognata, quella degli attori che la interpretano.

Lo spettacolo, per l’Elfo un ritorno a Bennett dopo il pluripremiato “The History Boys“, è di fatto una riflessione sulla figura dell’attore, che vediamo in relazione ai suoi grandi momenti di crisi, quando tenta di impossessarsi di un personaggio facendolo suo e non ci riesce, perché gli sfugge e si riconosce nelle sue debolezze. 

I personaggi hanno ognuno le proprie criticità ed egoismi, che di fatto gli attori difendono sempre, quasi che una volta indossato il guanto della finzione sentissero di doversi proteggere da chi non li capisce. 
E’ questo l’aspetto forse più interessante dello spettacolo, che ci porta ad una riflessione sulla figura dell’attore. Di quell’attore capriccioso (come un bambino, dicono loro) che vuole occupare la scena e si sente costantemente defraudato del suo diritto a esistere: come persona, come personaggio, come elemento di scena.

Ferdinando Bruni offre in questo debutto milanese una grande interpretazione, riuscendo a scalzare i piani di recitazione con velocità, passando dall’essere un Auden sporco e un po’ depresso al cinico attore che lo interpreta, all’uomo che cerca se stesso. 
La prima parte dello spettacolo riesce quasi ad infastidire per la volgarità di un testo che sembra davvero eccessivo, ma proprio nel momento in cui si sta per oltrepassare il limite la narrazione cambia repentinamente, raccontandoci un autore che si lamenta del fatto che non ha scritto un testo così volgare, e degli attori che non ci si riconoscono: troppo crudo, troppo nevrotico, troppo eccessivo. Un escamotage molto furbo, ma sicuramente anche molto efficace. 

Belli i momenti di umanità di tutti: da De Capitani con un Britten isolato dal mondo e vittima della sua vecchiaia, alla marchetta Alessandro Bruni Ocana, che ha avuto un ruolo nel mondo ma che nessuno ricorderà, fino all’aiuto regista, Ida Marinelli, consapevole del suo stare in disparte, che chiude lo spettacolo ricordando come al mondo ci sia sempre qualcuno che resta indietro. 
Uno spettacolo, “Il vizio dell’arte”, che forse andrebbe un po’ asciugato (due ore e venti sono decisamente tante), ma che offre moltissimi spunti di riflessione. 
Cos’è in fondo un attore? Un bambino che va coccolato, seguito, ascoltato… 
In scena ancora questa settimana.

Il vizio dell’arte
di Alan Bennett
traduzione di Ferdinando Bruni
uno spettacolo di Ferdinando Bruni e Francesco Frongia
costumi di Saverio Assumma
musiche dal vivo Matteo de Mojana
con Ferdinando Bruni, Elio De Capitani, Ida Marinelli, Umberto Petranca, Alessandro Bruni Ocaña, Michele Radice, Vincenzo Zampa, Matteo de Mojana
luci di Nando Frigerio
suono di Giuseppe Marzoli
voce registrata di Giorgio Gaddi
sassofono di Luigi Napolitano
produzione Teatro dell’Elfo
con il Patrocinio di Regione Lombardia
si ringrazia la rassegna Garofano verde 

durata: 2h 20′

Visto a Milano, Teatro Elfo Puccini, il 28 ottobre 2014
Prima nazionale

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