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Sempre domenica. In Controcanto, il senso di comunità dei vinti conquista In-Box

Sempre domenica - Collettivo Controcanto (photo: Costanza Maremmi)

Sempre domenica - Collettivo Controcanto (photo: Costanza Maremmi)

Percorriamo in salita le strade di Siena, e vanno le macchine d’epoca della Mille Miglia che proprio oggi sta attraversando il centro di questa storica città, mentre corriamo verso una delle realtà più interessanti in Italia di rete attiva per il teatro.

Nato nel 2009 dalla mente di Straligut Teatro, In-Box permette di rappresentare le repliche a cachet delle compagnie selezionate per le sue fasi finali: e proprio in quel “a cachet” e nel sottotitolo “Rete di sostegno del teatro emergente italiano” ha i suoi elementi “rivoluzionari”. Dove “a cachet” e far parte di una rete “viva” stanno perdendo significato per logiche di sopravvivenza, in cui si viene fagocitati nel disinteresse generale – non ultimo ciò a cui sembra essere destinata Chiusi e Orizzonte Festival, a rischio su tutti i fronti – il fatto che si paghi per quello che si fa per campare, creare e fare spettacolo, e ci si possa muovere in una rete a livello nazionale, instaura un cortocircuito riossigenante.

Fabrizio Trisciani e Francesco Perrone, il primo alla direzione artistica, il secondo alla comunicazione di In-Box, ci confermano le motivazioni del progetto, nato proprio dall’esperienza che avevano come compagnia teatrale, dalle difficoltà sperimentate direttamente, non ultima quella di poter rappresentare i loro spettacoli e ricevere un cachet decente per farlo.

In attesa di poter assistere agli ultimi tre spettacoli, partecipiamo all’incontro moderato dal giornalista Gherardo Vitali Rosati. Protagonisti sono La società dello spettacolo, che con “Gianni” di Caroline Baglioni, nel 2016 ha vinto il maggior numero di repliche, 19, e Leviedelfool che con “Luna Park, do you want a cracker?” ha ricevuto il Premio Millennials per un totale di due. Entrambe sottolineano l’importanza della possibilità di far “circuitare” ciò che si crea, e di avere un dialogo con un pubblico, qualcuno altro da sé. Leviedelfool evidenziano anche, nonostante le poche repliche, la possibilità avuta di farsi conoscere ed incontrare persone, i rappresentanti di quelle realtà, oltre 40, che fanno parte di questa rete teatrale, e di trovare comunque ulteriore spazio.

Spesso la circuitazione sopravvive, al di fuori dei luoghi virtuosi, nell’atto dello “scambismo” teatrale, modus operandi malato per cui le compagnie sono quasi costrette a recuperare anche un sottoscala per renderlo spazio in cui fare e poter ospitare altre realtà, che faranno altrettanto.
Ma la priorità, oggi, è di (ri)fare comunità, recuperare una distanza con le persone, ricreando l’esigenza e l’urgenza di fare teatro, di fare arte, di fare “politica” sottolineandone la radice di polis.
E’ questo quanto sottolineato da Titta Ceccano, che con Julia Borretti compone Matutateatro e gestiscono il MAT, il loro piccolo teatro nel centro storico di Sezze (Latina).

Ripartiamo allora dalla visione di ulteriori tre finalisti dopo l’excursus di Marco Menini su altre compagnie.
“My Place – il corpo e la casa” dei milanesi Qui e Ora cattura l’attenzione del pubblico sollecitando riso e riflessione: le tre protagoniste, scenario spoglio, mentre su un telo bianco/schermo sono proiettate luci e video che daranno colore a loro e alla scena, rimaste in bikini, iniziano a urlare la loro condizione frustrata di donne, nel tassello che la società concede loro in quanto trascurabili nella loro imperfetta normalità; fanno sport, danzano, esibiscono il proprio corpo non esatto. Ricco di nobili intenzioni, in parte rese in scena, e di urgenza “politica” di denuncia, nel suo eccesso di genuinità dichiarata ha la sua pecca, in quanto ancora grezzo e da limare. Ma ottiene quattro repliche.

“Hallo! I’m Jacket! Il gioco del nulla” della Compagnia Dimitri/Canessa di Livorno è un’esplosione di citazioni teatrali e di attacchi allo spettacolo, all’arte, agli intellettualismi, alla critica… Facendoci pensare alla lontana al recente film vittorioso della Palma d’oro a Cannes, “The Square” di Ruben Ostlund, attacco al mercato e ai mercanti dell’arte, e vedendo la fuga di alcuni giornalisti che l’hanno trovato inutile nel suo gioco alla citazione e all’irriverenza, ha nei due interpreti Francesco Manenti e Federico Dimitri, attori, mimi, performers, danzatori, i suoi acuti vincenti.
Produzione della compagnia e di Sosta Palmizi, ha sulla carta un pedigree di tutto rispetto vedendo alla regia la danzatrice e coreografa Elisa Canessa, all’assistenza artistica Stefano Cenci e Giorgio Rossi.
Coinvolgendo anche il pubblico con un litigio verbale orchestrato, suscita interesse ma, come spesso succede, l’eccesso di intelligenza e il gioco, tirando troppo la corda, dopo un po’ possono stancare. Il consiglio è di asciugare e di dare più spazio alla sottile malinconia che galleggia durante, e che si avverte in retrogusto sul finale. Cinque repliche.

Discorso a parte per lo spettacolo che vediamo al Teatro del Costone, “Sempre domenica” del Collettivo Controcanto.
Luogo più piccolo e intimo rispetto al Rozzi, ci accoglie con sei sedie sul palco, in fila di fronte al pubblico. Di lì a poco saranno occupate dagli attori, tutti rigorosamente sotto i 30: Federico Cianciaruso, Fabio De Stefano, Riccardo Finocchio, Martina Giovanetti, Andrea Mammarella, Emanuele Pilonero. Fanno parte del Collettivo Controcanto, di cui Clara Sancricca è regista e pedagoga maieutica. Sede Ariccia, a cui Sancricca si è mossa da Roma.

Con il loro “Sempre domenica” ci fanno abbracciare quel tocco di umana verità che ci ha inseguito durante la giornata, e che ci ha ammiccato da lontano. Mista a ironica genuinità, affonda infatti le sue radici nella commedia all’italiana che incontra il tragico sconforto di defenestrati della vita.
Rimanendo rigorosamente seduti su quelle sedie i sei ci appaiono in eterno movimento: si accendono e si spengono aprendo e chiudendo scenari e caratteri di un’umanità piccolo borghese, di quella che ci prova ogni giorno ad arrivare alla fine del mese, che fa i conti con la propria esistenza meschina e mediocre; in cui si spera sempre in un salto di qualità, nell’incontro della  propria vita, di poter protestare e ottenere qualcosa lottando in gruppo, perché è a quel gruppo che si appartiene; in cui non si pronunceranno mai quelle parole a un passo più in là delle quali c’è il coronamento di un sogno: amare lei, dire chi siamo, rispettare la nostra integrità, la nostra fedeltà a quello che conta, alla persona amata.

Si attivano e si mettono a riposo questi sei Controcanti, nel timing perfetto che hanno coltivato e messo a punto nelle repliche fatte fin qui; intrecciano situazioni che ognuno di noi, nella sua lotta di classe con il (r)esistere, ha potuto almeno una volta affrontare.
Godibile fin dall’inizio, ammettiamo che – se avesse continuato sposando solo questo sorriso che ci stava accompagnando, nella seppur evidente abilità degli interpreti – ci avrebbe portato a dire “carino”, e ad archiviarlo con una pacca sulle spalle.
Invece è successo qualcosa. È entrato il dolore, umano, inevitabile, quotidiano, rischioso, della vita. È entrata quella verità che, commuovendoci, ci ha incrinato il cuore, come quella voce di donna che è salita dal palco verso tutti noi, quando ha chiesto solo di tornare alla pulizia della sua vita, semplice e genuina; quando l’ambizione di rivalsa, grazie a una rinnovata dimensione di gruppo, è naufragata nel ricatto della sopravvivenza quotidiana, e l’unica cosa possibile, rimasta, è stata abbassare il capo, e dire di sì.

Commedia dei vinti, accompagnata solo dai silenzi e dall’onda delle voci che si inseguono incidendo lo spazio esistenziale, trova in “T’immagini” di Vasco Rossi la sua colonna sonora ideale: la canzone si accende prima della disfatta umana a cui assistiamo, e ritorna per chiudere l’arco narrativo perfettamente congeniato.
La commedia all’italiana dunque, nella sua accezione più alta, è ritornata per cadere dal grande schermo al palcoscenico, e di nuovo alla vita.

In quell’accettazione in cui si cammina sempre, eternamente in bilico, consapevoli della nostra condizione di mediocri uomini senza qualità, si può sopravvivere solo riscoprendo il piacere di appartenersi l’uno all’altro; di (ri)appropriarsi di quella comunità evocata durante questa lunga giornata, e che alla conclusione del “Savana Party” alla birreria La Diana decreta il massimo di repliche fin qui assegnate: con “Sempre Domenica” Controcanto sbanca infatti In-Box con 26 repliche, più quella dei Millennials, per un totale di un 27 che pesa, e il cui percorso saremo attenti a testimoniare.

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