In futura. Con gli studi meccanici di Pathosformel si chiude la rassegna tra i luoghi del teatro contemporaneo

Pathosformel - La più piccola distanza
Pathosformel - La più piccola distanza
La più piccola distanza (photo: pathosformel.org)

Nel vasto panorama dei festival estivi, si è concluso con successo In Futura, rassegna di teatro contemporaneo che, dall’estate del 2003, riscuote a Castelfranco Veneto (TV) un buon successo di pubblico e critica.
La direzione artistica di Anagoor – segnalazione speciale al Premio Scenario 2009 con lo spettacolo “Tempesta” –  ha ideato una serie di appuntamenti performativi originali e innovativi, dislocati in teatri e spazi alternativi del trevigiano.
Uno sguardo al futuro, il tema proposto per questa edizione, gravitando fra teatro, musica, videoinstallazioni e performance, senza per forza interrompere il legame con il passato e con gli elementi fondanti la tradizione, ma puntando al dialogo, alla sperimentazione e alla contaminazione tra nuovi e vecchi codici di comunicazione.

Ad esplorare questa azione-reazione di rinnovamento dei linguaggi teatrali sono state chiamate alcune figure di spicco della scena contemporanea: Snejanka Mihaylova che, in prima nazionale, ha condiviso con il pubblico una delle fasi di ricerca del progetto “Theatrum Futuri”, Città di Ebla con una tappa di “Pharmakos II movimento: Atto Barbaro”,  Zapruder Filmmakersgroup con i due film-videoinstallazioni “Pletora” e “Daimon”, Alberto Mesirca e Franco Pavan con “Recercata”, concerto per chitarra classica e liuto, e il gruppo Pathosformel, che ha chiuso la rassegna con una perfomance tratta da “La più piccola distanza” ribattezzata “Studi meccanici sulla più piccola distanza”.
Prerogativa del festival è avere una grande cura e attenzione per il pubblico, che viene stimolato alla visione performativa attraverso momenti d’incontro pre e post spettacolo: conversazioni, riflessioni e scambi di idee a cui prendono parte artisti, curatori e teorici, accompagnando lo sviluppo critico del tema del festival. Mentre nel convivio finale, gustando le creatività culinarie di chef locali, lo spettatore può incontrare ‘vis à vis’ l’artista e farsi coinvolgere in anticipazioni, consigli, giudizi e qualche simpatico pettegolezzo.

Nell’incontro/aperitivo che ha preceduto l’ultimo appuntamento della rassegna, Jacopo Lantieri, coadiuvato da Fabio Acca, collaboratore di RollingStone, e Carlo Mangolini di Operaestate Festival Veneto, ha tentato di tracciare un quadro di ciò che sta accadendo nel panorama teatrale italiano.
Partendo dal tema della rassegna ha così conversato con tre delle recenti “scoperte” delle scene nostrane (Babilonia Teatri, Anagoor e Pathosformel), sulle modalità poetiche con le quali le nuove realtà della ricerca rispondono a un possibile teatro del futuro, ad un teatro in divenire.
Diverse le risposte che le tre compagnie hanno dato alla questione se sia ancora presente o meno, tra i protagonisti emergenti della scena teatrale, la passata tendenza a ricercare e a dare vita a spazi “altri”, creando una scena parallela rispetto ai luoghi istituzionali a cui il teatro è destinato, come avveniva negli anni ’60, ’70 e ’80, per esempio con Carmelo Bene e le cantine romane, Teatri 90 e i centri sociali.
Per Anagoor la necessità di avere una “dimora” – l’affascinante Conigliera a Resana – risponde sia all’esigenza di colmare un gap territoriale, sia a quella di trovare un simbolo della propria identità. Piantare le radici, per la compagnia, vuol dire crescere attraverso il dialogo con il pubblico e con le istituzioni, nell’incontro con altri artisti e anche nella difficoltà giornaliera che la gestione di una sede comporta.
Babilonia Teatri, invece, preferisce impiegare le proprie forze nella creazione di spettacoli più che di nuovi circuiti. Sceglie di non indossare uno spazio, di sottrarsi ai canali istituzionali, di non avere radici e di cercare stimoli e risposte sia nel teatro comunale che nel centro sociale, nel paesino di provincia come nella grande metropoli.
Di idee ancora diverse i Pathosformel, che preferiscono colonizzare non uno spazio “altro” ma quello storicamente dato al teatro, legato fortemente al territorio, quello delle stagioni teatrali, che ha un contatto con il pubblico costante e diretto come può esserlo un teatro stabile o comunale. “Portare ‘altro’ in contesti che appartengono alla tradizione teatrale italiana, arrivare in luoghi che non sono ancora preparati a riceverci: questa è la scelta che condividiamo – racconta Paola Villani – Quindi ben vengano anche i canali istituzionali e i circuiti come idea di distribuzione”.

In effetti l’impatto con il gruppo Pathosformel in un teatro all’italiana come l’Accademico di Castelfranco è spiazzante ed inaspettato.
La messa in scena tradizionale viene decostruita attraverso un processo di sottrazione e astrazione.
Si abbandona la tridimensionalità e la prospettiva, mentre il boccascena si riempie di piccole geometrie (dei quadrati rossi) che, ingabbiati in una griglia, scorrono lungo fili paralleli con un ritmo ora lento, ora veloce, ora spezzato.
Accompagnate dal suono dell’armonium, le forme pure si cercano, dialogano lungo linee verticali e trasversali, ma sembrano non incontrarsi mai: un sottile e continuo spazio vuoto le separa. Fino a quando due dei quadrati anonimi si ritrovano lungo la stessa traiettoria. Il tempo si ferma, cresce l’aspettativa, le forme rimangono in silenzio, si ascoltano, si avvicinano, per poi lasciarsi di scatto e tornare ognuna al proprio binario, come se l’incontrarsi fosse stato solo un errore, un cortocircuito di un meccanismo perfetto.
Rimangono le infinite variazioni dello stesso gioco/tema senza possibilità di arresto, mentre il trascorrere della luce scandisce il tempo, modifica i colori, amplia e restringe le forme fino a dissolverle nel buio totale che porta con sé anche quel suono umano fatto di corde tremolanti e di aria soffiata.
Vitale e mentale la performance di Pathosformel. Un’esperienza dell’assenza che conduce la mente a riflettere su se stessa, e a dare un nuovo corpo a geometrie perfette. Si nega una fisicità, per riscoprirla e reinventarla nel gioco narrativo dello spettatore divenuto protagonista.
La non presenza del performer in un luogo prettamente teatrale interrompe l’immediatezza del rapporto tra attore e spettatore, e conduce quest’ultimo in una nuova stanza, intima e visionaria. Ora  la performance appartiene solo a lui e al suo sogno, mentre l’attore, nel suo essere parte di un meccanismo, fatto di cavi, pesi e carrucole, ritorna ad essere un semplice artigiano.

Studi meccanici sulla più piccola distanza – primo movimento
Performance tratta da La più piccola distanza
di Daniel Blanga Gubbay, Paola Villani
e con: Danilo Morbidoni, Alberto Napoli, Francesca Quadrelli
produzione: Pathosformel/Fies Factory One
coproduzione: Centrale Fies
con il sostegno di: Santarcangelo Festival 2008 – L’alboreto Teatro Dimora di Mondaino
durata: 30′
applausi del pubblico: 2’48’’

Visto a Castelfranco Veneto (TV), Teatro Accademico, il 26 giugno 2009

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