In piedi nel caos. Teatro dell’Elfo e la guerra vista dall’altro lato del dolore

In piedi nel caos (photo: Luca Del Pia)
In piedi nel caos (photo: Luca Del Pia)

La compagnia del Teatro dell’Elfo, sempre attenta alla drammaturgia contemporanea, si approccia ad un testo complesso, intenso: “In piedi nel caos”, della francese Véronique Olmi, racconta realtà ormai cadute nell’oblio, benché temporalmente vicine.

Siamo in Russia. Non quella Russia cechoviana che siamo abituati a vedere a teatro, ma un Paese di oggi – siamo nel 1995 – in cui ancora si propaga la tragica eco del terrore rosso, mentre si combatte la prima guerra cecena.
La pièce mette a nudo una cruda verità: esistono guerre di cui noi, sicuri nel nostro Occidente perfetto, non vogliamo sapere nulla e alcune di cui nulla ci viene detto, complice un’informazione veicolata e controllata dai potenti. Così è avvenuto per la prima guerra cecena, in cui addirittura la popolazione russa era tenuta all’oscuro delle azioni ignobili autorizzate da un governo sanguinario. Chi non scendeva in campo, come Katja (Carolina Cametti), indiscussa protagonista della vicenda, la guerra se la immaginava solo attraverso le immagini edulcorate trasmesse in tv.

Suo marito Yuri è appena stato rimpatriato dal fronte perché ferito gravemente alla gamba. La coppia vive in una Kommunalka, una dimensione a noi estranea: grandi case, un tempo di proprietà di famiglie benestanti, espropriate nel periodo bolscevico e porzionate in singole camere, assegnate poi dal governo ad intere famiglie.
L’appartamento negli anni Trenta apparteneva a Babushka (Cristina Crippa) e alla sua famiglia, sterminata dallo Stato grazie alle soffiate del vecchio padre di Yuri, che vive nella camera a fianco.
La cucina, condivisa da tutti i vicini, conosce qui la socialità tipica del cortile: luogo di passaggio, ma anche di ritrovo. Non a caso occupa la porzione più grande della scenografia, resa incredibilmente realistica da Carlo Sala. La scelta non solo ben restituisce il clima della Kommunalka, ma anche le condizioni socioeconomiche degli abitanti, continuamente impegnati in una strenua lotta contro gli scarafaggi che la infestano.

Ed è proprio qui che si incontrano Katja e Babushka, la prima torturata dal presente, la seconda dal passato. Qui, nella quotidianità del loro tormento, riescono a ricostruire il flebile calore di una famiglia.
Perdutamente innamorata del marito, Katja è logorata da un amore che sembra non essere più corrisposto, mutato dagli orrori della guerra. Rientrato dal fronte, Yuri ha annebbiato il ricordo del massacro con i vapori di una vodka scadente. Si trascina per la casa come un parassita, con la gamba martoriata da una progressiva cancrena, ubriacandosi e riversando su chi gli è vicino una aggressività rancorosa. Già dal suo ingresso in scena, durante una serie di passaggi resi a mo’ di fermo immagine, si intuisce la sua esistenza fatta di spettri. Non a caso, in tutta la prima parte, i suoi interventi sono accompagnati da un gioco di luci e ombre.
Dallo sfavillante personaggio di Prior in “Angels in America”, Angelo di Genio dà qui un’interpretazione straordinariamente livida e roca, in grado di lacerare con i suoi gridi di disperazione.

Le energie di Katja per curare il suo amore si fondono al terrore del domani, della povertà, per il momento scampata solo grazie alla pensione del vecchio suocero. Ma esiste in lei un dolore più profondo, di un amore rifiutato dal quale non riesce comunque a divincolarsi, perché è l’unico modo per sentirsi ancora viva, come prima della guerra.
I rimandi alla dimensione carnale non scadono mai nell’erotismo puro, ma riaffermano quel bisogno vitale di sentirsi sopravvivere al dolore, nel calore di un affetto. Un bisogno così forte di quell’amore, che cede alle avance di un altro inquilino, Grisha (Marco Bonadei) per cercare tra le braccia di qualcun altro quel fremito di vita che le è negato – ma anche per ottenere in cambio informazioni sulla guerra e poter così aiutare Yuri.

È una guerra nella guerra quella di Katja, un logorio di sofferenza incessante, che non ha nemmeno l’alibi della materialità per essere riconosciuto. L’interpretazione di Carolina Cametti è strabiliante. Il tormento del personaggio le lavora dentro, facendola vibrare di un’energia graffiante che inspessisce l’aria e rende i silenzi vividi. Senza mai portare il dramma all’esasperazione, i suoi pianti non sono mimati o allusi, ma esplodono in uno squarcio di verità, intimamente connesso a quel groviglio di emozioni che le rombano nel ventre.
È l’universo femminile che emerge con forza nello spettacolo, la guerra vista dall’altro lato del dolore. Ma anche da un’altra prospettiva temporale, quella di Babushka, che ha vissuto il terrore rosso. E l’interpretazione di Cristina Crippa non è da meno, arrivando perfino a rompere il suo inconfondibile timbro, in una voce spezzata, rauca, affaticata da un passato tremendo e un presente difficile.

Elio De Capitani racconta nelle note di regia: “Ho posto agli attori questa domanda: «Quanta forza ci vuole, in certe situazioni, per non crollare?». «Cercartela, trovatela in voi», ho chiesto. «Trovate la disperazione, la forza, la speranza»”.

L’aspetto storico e sociale può apparire secondario al dramma, anche per il taglio che ne è stato dato, che tende ad una universalizzazione dei sentimenti dei personaggi, più che ad una ricostruzione cronachistica delle vicende. Eppure, oltre all’immedesimazione degli attori al portato umano dei protagonisti, traspare un sentire così straziato che può essere tale solo con uno studio e una aderenza alla temperatura emotiva di quegli anni, in quel luogo. Ce lo ha confermato Cristina Crippa in un generoso confronto circa lo studio che la compagnia ha condotto sul testo e sul contesto.

Il teatro non è mai solo ciò che vediamo in scena o le parole che risuonano in platea. Quello vero è sempre qualcosa di più. È immergersi in un tempo altro, farlo proprio, annegarvisi fino a non respirare più il proprio presente, e restituirlo nel non detto, negli occhi terrorizzati di Babuska al solo pensiero del vecchio, nelle gambe tremanti di Katja, che raccontano il terrore del vuoto e il fremito di una passione, più di mille parole.

IN PIEDI NEL CAOS
di Véronique Olmi
traduzione Monica Capuani
regia Elio De Capitani
scene e costumi di Carlo Sala
suono di Giuseppe Marzoli
luci di Nando Frigerio
con Cristina Crippa [Babushka], Angelo Di Genio [Yuri], Carolina Cametti [Katja], Marco Bonadei [Grisha] assistente alla regia Alessandro Frigerio
produzione Teatro dell’Elfo
Spettacolo sostenuto nell’ambito di NEXT 2019/20

Durata: 2h 15’ (più intervallo)
Applausi del pubblico: 3’ 35’’

Visto a Milano,Teatro Elfo Puccini, il 1° febbraio 2020
Prima nazionale

1 Comments

  1. says: Sara

    Che recensione parziale. Non ho potuto fare a meno di pensare a Nanni Moretti che in Caro Diario sfotte il critico che ha parlato di Henry Pioggia di Sangue. Se sbrodoliamo di elogi chiunque sia sul campo da anni solo in virtù della sua fama, il teatro smette di evolversi, non si crea spazio per nuove leve, chi è già in attività diventa pigr*. Il giornalismo è un mestiere che implica una responsabilità civica, non sottovalutiamola!

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