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In quelle tenebre: l’indagine di Rosario Tedesco sul boia di Sobibór e Treblinka

Rosario Tedesco (ph: Emiliano Camporesi)

Rosario Tedesco (ph: Emiliano Camporesi)

Per il Giorno della Memoria, l’Elfo ha proposto il libro-intervista di Gitta Sereny su Franz Stangl, uno dei responsabili della Shoah

È quasi un’ossessione quella di Rosario Tedesco per la memoria storica. Da “Donna non rieducabile” (di Stefano Massini, dedicato ad Anna Politkovskaja) a “La moglie” (ritratto di Laura Capon, coniuge di Enrico Fermi), il regista e autore siciliano focalizza da anni la propria ricerca sull’eterna dialettica tra il bene e il male.

Ma è nei suoi accuratissimi lavori sulla Shoah che questo conflitto si fa inestricabile. Tedesco mette sotto inchiesta la psiche umana e le sue ambivalenze. Se “Due dentro ad un foco”, percorso urbano lungo le pietre d’inciampo, mette in relazione l’identità del singolo deportato con quella del suo carnefice, lavori come “Il vicario” e “Destinatario sconosciuto” scandagliano invece la mente di chi ha avuto un ruolo nella “soluzione finale”, tradendo fede, persone e valori.

Nello spettacolo tout public “In quelle tenebre. La verità è un intreccio di voci”, cui abbiamo assistito al Teatro Elfo Puccini di Milano, Tedesco parte dall’omonimo libro-intervista della giornalista e storica britannica di origini ebraiche Gitta Sereny su Franz Stangl. Ne firma la traduzione, l’adattamento e la regia.

In coppia con Nicola Bortolotti (e con Pasquale Di Filippo nella replica del 27 gennaio, cui abbiamo assistito) Tedesco getta uno sguardo scrupoloso nel cuore dell’oscurità e fornisce un ritratto psicologico di Stangl, austriaco, comandante dei campi di sterminio di Sobibór e Treblinka che aveva partecipato anche all’eutanasia dei malati psichici e delle persone con disabilità nel castello di Hartheim. Al termine della guerra, dopo varie peripezie, Stangl riuscì a fuggire in Brasile. Qui fu scovato nel 1967, arrestato, estradato in Germania e condannato all’ergastolo.

Gitta Sereny lo raggiunse per intervistarlo nel carcere di Düsseldorf. Le conversazioni ebbero luogo tra l’aprile e il giugno del 1971. Durarono circa 70 ore. Solo il 27 giugno, 19 ore prima della sua morte avvenuta per infarto, Stangl si riconobbe in qualche modo colpevole. Era stato responsabile della morte di quasi un milione di bambini, donne e uomini ebrei.

Nella sala Fassbinder del Teatro dell’Elfo che ha prodotto lo spettacolo, Tedesco e Di Filippo si sdoppiano nei ruoli dell’intervistatrice e dell’intervistato. Si avvicinano altresì alla figura di Theresa, moglie di Stangl, madre delle sue tre figlie. Sereny allungò lo sguardo all’interno della sfera intima e familiare del comandante SS, per sondare il livello d’implicazione e correità anche nel rapporto di coppia.
Una scrivania. Quattro sedie. Posizioni cangianti dei protagonisti. Fogli di carte in mano, a evocare il ruolo della scrittrice. Appunti, con le domande e le risposte. Il senso di un lavoro meticoloso: storico, giornalistico, psicologico, giudiziario.

Le luci di Giuliano Almerighi evidenziano le reazioni psicologiche dei protagonisti. Si abbassano a scolpirne i tratti chiaroscurali. A volte ne rilevano imbarazzi e reticenze. Estese alla platea, coinvolgono nell’istruttoria gli spettatori, che si fanno latori di nuove domande aprendo delle buste consegnate dagli stessi attori.

Sereny è la nostra guida. Attraverso Tedesco, è un’osservatrice imparziale degli eventi. Di Filippo mette a nudo l’anima di Stangl, un altro uomo (come Adolf Eichmann, ideatore della “soluzione finale”) che ha continuamente trovato il modo di razionalizzare il proprio ruolo di carnefice, diluendolo nella routine del male.

Forse l’essenza di un degno lavoro sulla Shoah è che lasci allo spettatore più domande che risposte. Ne risulta, in definitiva, un senso d’insoddisfazione. Ma la soddisfazione permetterebbe di andare avanti come se nulla fosse, è invece è importante indugiare. Solo l’arrovellarsi di domande con risposte mai esaurienti consente alla memoria di non trasformarsi in rituale sterile.
Addentrarsi negli abissi del male. Esplorarli non con curiosità morbosa, bensì umanistica e filosofica. Per comprendere l’uomo. Per dipanare l’inestricabile nodo della colpa e dell’innocenza. Riconoscere i tratti del crimine. Chiedersi dove nasca, come si manifesti, come possa diventare abitudine. Non perdere mai di vista l’umanità nella sua totalità e l’individuo nella sua complessità. Chiarire a sé stessi che la caduta è tratto comune a ogni essere umano, e occorre uno sforzo costante per restare a galla. Porre domande all’altro per interrogare sé stessi. Considerare le proprie fragilità. Senza rifugiarsi in schematismi tanto manichei quanto autoassolutori.

Questo lavoro è un tentativo di risposta a chi si domandasse in che modo il popolo tedesco abbia permesso che accadesse l’olocausto. Uomini come Stangl erano cittadini comuni che non erano nati con le “corna da diavolo”. Ma la lezione più illuminante è che spesso la nostra integrità crolla di fronte a scelte meno impegnative di quelle di Stangl. E non sapremo mai come avremmo reagito qualora ci fossimo trovati a vivere in quelle circostanze.

Stangl è un esempio di come le persone possono addestrare la loro vista a ignorare eventi orribili mentre svolgono i compiti di una giornata normale. Un’assuefazione oscura può prendere il controllo, istituzionalizzando nella normalità il male a cui una coscienza retta imporrebbe di resistere.
Spesso si è malati nell’anima. Si è pervasi da una profonda nausea esistenziale. Questo lavoro colpisce allo stomaco, perché dimostra che l’uomo normale è capace di un male profondo.
“In quelle tenebre” non è né la “banalità del male”, né il male incarnato: è solo una riflessione collettiva su un normalissimo esempio di rimozione. È la vita di un uomo che sapeva di essere colpevole, ma è riuscito – fino a poche ore prima di morire – a convincersi di essere innocente.

In quelle tenebre. La verità è un intreccio di voci
di Gitta Sereny
traduzione, adattamento e regia Rosario Tedesco
con Nicola Bortolotti e Rosario Tedesco (dal 23 al 26 gennaio)
replica del 27 gennaio con Pasquale Di Filippo e Rosario Tedesco
luci Giuliano Almerighi
produzione Teatro dell’Elfo

durata: 1h 20’
applausi del pubblico: 3’

Visto a Milano, Teatro Elfo Puccini, il 27 gennaio 2023

 

 

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