Incanti. Il teatro di figura e la ricerca

I cinque interpreti di The Weeds Project|Eva Kaufmann
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Eva Kaufmann
Eva Kaufmann ha presentato a Incanti Hermann e Hermine
Per un compleanno che si rispetti – venti edizioni all’attivo – Incanti, Festival Internazionale di Teatro di Figura di Torino, ha imbandito nella prima serata un menu ricco e interessante che ha permesso al pubblico di fare un viaggio in Europa alla scoperta di ricerca fra tecniche e stili diversi.

La serata di Krapp parte con uno spettacolo breve ma intenso proposto dalla tedesca Eva Kauffman che presenta il suo “Hermann e Hermine”: un lavoro interessante che propone una riflessione sul rapporto madre-figlio in modo leggero ma al tempo stesso amaro.
La scena, spoglia e semplice, è tutta nelle mani di Hermine, l’anziana madre di Herman. Lei è la classica donna che tutto controlla e decide e che, con la sua ansia di perfezione, ha trasformato il figlio in un “pupazzo” in grado solo di fare cenni con la testa per dire sì e no, incapace di stringere relazioni con le persone e frustrato da una continua e obbligata passività.

Questo rapporto tra figura attiva e passiva è reso perfettamente dalla scelta registica della Kauffman, autrice e interprete del lavoro: colei che tutto può e decide – la madre Hermine – è rappresentata da un pupazzo, mentre il figlio passivo e impotente – Hermann – è rappresentato dall’attrice in carne ed ossa. Eva Kauffman è perfettamente trasformata da un abbigliamento maschile e da una iper-realistica maschera, che regala al personaggio di Hermann uno sguardo fra il timido, il colpevole e l’arreso.
 
Nei 15 minuti di spettacolo sentiamo solo la voce stridula e cadenzata di Hermine, persa nel flusso continuo e inarrestabile di critiche e considerazioni acide (condite da divertenti “Nevvero Hermann?”) su questo figlio cresciuto “storto”, considerato un eterno ragazzone incapace di prendersi cura di se stesso, e al quale bisogna addirittura “pulire e preparare le mutande ogni mattina”.

Herman subisce passivamente ogni critica e svela a tratti la vergogna e il disappunto grazie alla grande bravura della Kauffmann che, usando piccoli sguardi e movimenti quasi impercettibili della maschera, offre al pubblico la chiave di lettura per immaginare l’universo del ragazzo: una vita repressa fatta di scelte non volute, gusti imposti e libertà mancate.
 
Inconsapevole e sorda a qualsiasi critica, Hermine continua senza sosta il suo monologo. I toni diventano sempre più sprezzanti e acidi. Ed è proprio in questi momenti che Eva Kauffmann si conferma un’ottima interprete anche nel gioco e nell’utilizzo dell’italiano (usato anche per rivolgersi al pubblico) in alternanza al tedesco, usato come lingua “privata” per rivolgersi al figlio e bacchettarlo per ogni minimo accenno di ribellione.

Con l’aumentare della crudeltà e del disprezzo della madre, Hermann prenderà gradualmente coscienza della situazione fino ad insinuarsi, lentamente, la ribellione. E per un pupazzo cosa c’è di peggio che non avere più un corpo umano che ti dà voce e movimento?

Quindici minuti di ironia graffiante su una delle accoppiate più in voga per l’umanità: oppressore e oppresso. Una bella e interessante riflessione per vedere cosa rischia di accadere se la “prima donna”, convinta d’essere indispensabile e insostituibile, non lascia mai spazio al co-protagonista.

La serata prosegue con la presentazione di “The Weeds Project – Le erbacce”, la produzione 2013 del PIP, progetto di formazione che ogni anno Incanti affida ad un artista la cui qualità lavorativa è riconosciuta a livello internazionale.
In questa edizione la direzione artistica è stata affidata a Duda Paiva, l’artista brasiliano di stanza nei Paesi Bassi che porta avanti una ricerca in cui danza e teatro di figura si incontrano con esiti spesso stupefacenti.
 
Duda Paiva ha selezionato cinque giovani interpreti, Serena Crocco, Ariela Maggi, Nanouche Oriano, Monica Varela Couto e Gabriel Beddoes, con i quali durante l’estate ha lavorato sul rapporto tra uomo e natura partendo dall’idea di un giardino all’interno del quale le erbe e la natura si ribellano all’opera dell’uomo.
Ne è nato uno spettacolo dai toni onirici e sospesi ma non sempre convincenti, di “pennellate” nei toni del verde e del bianco, di tracce narrative lasciate a volte in sospeso e poi rielaborate e trasformate in una riflessione corale sul rapporto tra uomo e natura.

I cinque interpreti di The Weeds Project
I cinque interpreti di The Weeds Project
Una scena spoglia e bianca, impreziosita da una rete metallica sospesa e modellata a forma di onda, fa da sfondo ai movimenti dei cinque interpreti.
In scena si racconta di un giardino, un rifugio piacevole in cui si coltiva il bello.
Compaiono grandi foglie di gommapiuma con le quali giocare e sperimentare. Da una mano che si schiude lentamente nasce una foglia gialla, dalla piega del collo ne compare un’altra e la scena diventa una piccola sinfonia di corpi umani e di foglie che si intersecano e si muovono nello spazio.
Manca però agli interpreti una presenza forte, che permetta loro di far parlare davvero questo giardino che cresce e prende forza.
La natura immaginata da Duda Paiva fa da sfondo ad una serie di scene poetiche e sospese; tuttavia soffre la mancanza di una cornice convincente che tenga insieme il tutto.

La seconda parte del lavoro mette al centro della scena un grande personaggio verde, un pupazzo ricoperto di foglie, una rappresentazione concreta dell’idea di giardino e natura. I cinque interpreti sembrano ora molto più a loro agio, e danno vita ad un bel lavoro corale in cui alternano i ruoli di manipolatori ed interpreti. Il pupazzo diventa simbolo di una natura maltrattata e soffocata dalla plastica e dai rifiuti.
In silenzio i cinque ne celebrano la morte per poi venire sopraffatti dallo stesso pupazzo, trasformatosi in teschio crudele e vorace.

Il lavoro prometteva molto e, pur avendo tutte le potenzialità per gettarsi a fondo nella sperimentazione di stili e dell’incontro tra presenze differenti, lascia solo parzialmente soddisfatti. C’è comunque da ricordare che è un progetto laboratoriale, e quindi passibile di tempi circoscritti, variabili e imprevisti (Alberto Jona, direttore di Incanti, svelerà ad esempio, dietro le quinte, la difficoltà di trovare in Italia il tipo di gommapiuma utilizzato da Duda Paiva in Olanda).

Ci sarà comunque un gran bel finale di serata con il debutto nazionale dello Stuffed Puppet Theater con “Mathilde”, di cui vi parleremo domani, a testimonianza di come Incanti (che prosegue fino a domenica con numerosi appuntamenti) riesca a presentare al pubblico italiano grandi artisti internazionali del teatro di figura.
 

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  1. says: mario bianchi

    Hai ragione ma bisogna fare delle scelte. Comunque questa settimana vedrò il loro ultimo spettacolo a Lamezia e ne parleremo su klp

  2. says: remo

    …sti ***** di incanti, lasciamo perdere…non invitano la miglior compagnia italiana che lavora con la figura (riserva canini)…datemi retta, parola di intenditore…remo.