Già in occasione della precedente “L’incoronazione di Poppea” di Monteverdi, in scena alla Scala nel 2015 firmata da Bob Wilson, avevamo sottolineato il nostro amore incondizionato per quest’opera, che contiene in sé in modo sublime i germi di cui si nutrirà l’opera negli anni che seguiranno.
Composta su libretto di Francesco Busenello, questo capolavoro andò in scena per la prima volta nel 1642 al Teatro Santi Giovanni e Paolo di Venezia. Alla sua composizione contribuirono altri musicisti collaboratori del Divino Claudio: Benedetto Ferrari, Filiberto Laurenzi, Francesco Sacrati. Tra loro anche il compositore Francesco Cavalli, a cui molti attribuiscono lo straordinario e sensuale duetto finale (“Pur ti miro – Pur ti godo”).
Al centro della vicenda, introdotta da Amore, Fortuna e Virtù, vi è la passione dell’imperatore romano Nerone per Poppea, già sposato con Ottavia che, gelosa e vendicativa, intende uccidere la rivale.
L’imperatrice spinge così a compiere il misfatto il giovane Ottone, amante deluso di Poppea. Ottone cercherà invano di concludere il suo compito uccidendo Poppea mentre è addormentata, camuffato da Drusilla, innamorata anch’essa di Ottone, che si è prestata ad aiutarlo. Poppea infatti viene salvata dalla nutrice Arnalta, accorsa in suo aiuto.
Drusilla, che attende il ritorno di Ottone, prefigurando la morte della rivale, viene invece condotta davanti a Nerone, accusata del tentato omicidio. Drusilla, per amore di Ottone, si assume tutte le responsabilità del tentato delitto, ma anche il giovane, di fronte a Nerone, cercherà di salvarla, affermando di aver agito senza l’aiuto di Drusilla, per ordine di Ottavia.
Nerone ha così finalmente trovato un pretesto per ripudiare la moglie: manderà in esilio i due amanti e potrà così sposare Poppea.
Figura importante dell’opera è anche il filosofo Seneca, costretto al suicidio dall’imperatore per aver contraddetto i suoi piani, a cui Monteverdi concede un momento centrale dell’opera di grande risalto emotivo.
Tantissime sono le pagine sublimi di questo capolavoro assoluto: la serenata di Ottone sotto la finestra di Poppea (“Apri il balcon Poppea”), il lamento di Ottavia (“Disprezzata regina”), tutta la scena della morte di Seneca, con quel lancinante “Seneca non morir” ripetuto dai famigliari al filosofo che sta per uccidersi, per non parlare della mirabile ninna nanna, la più bella mai composta (“Oblivion Soave”) cantata da Arnalta a Poppea.
Incantevole è anche il prolungato addio tra Poppea e Nerone, che deve ad un certo punto partire. Insomma non c’è mai tregua in un’opera dalla ragguardevole corposità musicale.
Diciamo subito che la sua esecuzione non è del tutto scevra di difficoltà, esistendo di quest’opera due manoscritti, uno rinvenuto a Venezia e uno a Napoli, ambedue senza orchestrazione (o quasi) e con accompagnamento di basso continuo; le due edizioni differiscono inoltre in numerosi punti essenziali.
Un’opera di difficile esecuzione anche nella scelta del giusto registro delle voci, a cominciare dal ruolo di Nerone, che di solito abbiamo ascoltato cantato da un soprano en travesti e che qui viene interpretato malamente da un controtenore, e da quello di Arnalta, interpretato la maggior parte delle volte anche qui en travesti.
E’ un opera, “L’incoronazione di Poppea”, che mescola nel suo svolgersi in modo abilissimo la smania del potere con l’amore che trascende ogni altro sentimento.
Nella loro regia vicentina Iván Fischer e Marco Gandini preferiscono mettere al centro solo l’amore, che si materializza in un bravissimo bambino, Jakob Geppert, voce bianca della Chorakademie Dortmund, con tanto di riccioli d’oro e faretra, a cui è dato il compito di concertare le varie azioni.
Lo spazio scenico, ideato da Andrea Tocchio, si colloca in proscenio, bellissimo ma forse un po’ troppo invasivo poiché davanti al famoso palcoscenico colmo di vie monumentali del Palladio.
Nella regia non disturba affatto (anche se a volte vi sono bizzarrie un po’ fuori luogo) l’ambientazione contemporanea, una casa modernissima, fintamente elegante e anzi un po’ pacchiana, come si potrebbe ipotizzare ideata per un Nerone dei nostri giorni, dove i protagonisti si scambiano affettuosità anche per telefono e che si muovono, con bella idea scenica, di volta in volta, con l’orchestra divisa in piccoli gruppi.
Seneca e i suoi accoliti sono vestiti, in quanto ricercatori di verità profonde, da entomologi con tanto di ghette e cappello di paglia. Davvero belli i costumi di Anna Biagiotti che veste splendidamente, nel vero senso del termine, Poppea, il soprano caraibico Jeanine De Bique, bellissima e bravissima davvero, dalla voce e dalle movenze seducenti, contrapposte – come già accennato – al Nerone di Valer Sabadus, imbarazzante nei suoi acuti mal posti e stridenti.
Gustosissime, al contrario, le caratterizzazioni di Nutrice e Arnalta che il tenore Stuart Patterson impersona con grande ironia, regalandoci nel contempo una “Oblivion soave”, con i suoi pianissimi, quasi sussurrati, davvero emozionante.
Bene nel complesso Luciana Mancini nella duplice veste di Ottavia e della Virtù, Reginald Mobley come Ottone, Núria Rial come Drusilla. Ed eccellente nella vocalità possente e nell’interpretazione Gianluca Buratto come Seneca.
La Budapest Festival Orchestra diretta da Iván Fischer, che dovrebbe suonare strumenti d’epoca (ma i violini hanno corde d’acciaio e gli archetti ci paiono essere moderni), ci è sembrata all’altezza di una partitura così difficile da eseguire.
L’INCORONAZIONE DI POPPEA
di Claudio Monteverdi
libretto di Giovanni Francesco Busenello
personaggi e interpreti
Nerone VALER SABADUS
Ottone REGINALD MOBLEY
Poppea JEANINE DE BIQUE
Drusilla NÚRIA RIAL
Ottavia/La Virtù LUCIANA MANCINI
Un soldato/Un liberto/Un familiare/Un console FRANCISCO FERNÁNDEZ-RUEDA
Mercurio/Un familiare/Un littore/Un tribuno PETER HARVEY
Arnalta/La nutrice STUART PATTERSON
Seneca GIANLUCA BURATTO
Un soldato/Lucano/Un familiare/Un console THOMAS WALKER
La Fortuna/Una damigella/Venere SILVIA FRIGATO
Un valletto/Amore JAKOB GEPPERT, Knabenchor Chorakademie Dortmund
costumi ANNA BIAGIOTTI
scenografo ANDREA TOCCHIO
lighting designer TAMÁS BÁNYAI
regia di IVÁN FISCHER e MARCO GANDINI
Visto a Vicenza, Teatro Olimpico, il 31 ottobre 2021