Anche quest’anno Incanti, il festival internazionale di teatro di figura che si terrà a Torino dal 3 al 10 ottobre, proporrà un percorso di alta formazione con una delle personalità più eminenti del teatro di figura internazionale. Il PIP (Progetto Incanti Produce) rimane una delle pochissime occasioni in Italia per confrontarsi con i grandi maestri e partecipare alla creazione di una produzione speciale. Quest’anno sarà diretto da Ines Pasic.
Nata in Bosnia Erzegovina nel 1986, la Pasic ha fondato una delle formazioni più importanti nell’ambito del teatro di figura, il Teatro Hugo e Ines. Scappata durante la guerra in Bosnia, è emigrata in Perù, dove ha fondato, nel 2003, il gruppo Gaia Teatro.
Nella sua lunga carriera Ines Pasic ha ricevuto diversi premi, e ha insegnato in giro per il mondo, dagli Stati Uniti alla Francia; attualmente è impegnata in progetti pedagogici e di regia teatrale in Ecuador e Cile.
“Odisea del Cuerpo” è il titolo del lavoro per il PIP 2019, una libera ispirazione che parte dall’Odissea di Omero, a cui Ines Pasic si è avvicinata molte volte negli anni quale soggetto di evocazione metaforica in diversi modi e ambiti, tra cui anche quello del viaggio, che sarà anche il tema generale della XXVI edizione di Incanti.
Viaggio per eccellenza e metafora della vita, l’Odissea ispirerà la creazione collettiva che nascerà sotto la guida di Ines Pasic, diventando l’opportunità di mostrare, in questi tempi di tecnologie digitali ed effetti speciali, come il tesoro teatrale possa essere nascosto in semplici mani vuote, trasformando il corpo in uno spazio di resistenza culturale.
Il PIP 2019 si svolgerà in due periodi: dal 16 al 30 settembre per la creazione, messinscena e prove; e dal 6 all’8 ottobre 2019 per le prove finali in teatro, alla Casa del Teatro Ragazzi e Giovani di Torino, e il debutto.
Rivolto principalmente a studenti e professionisti di teatro di figura, il bando per l’edizione 2019 è aperto a studenti, professionisti, burattinai, mimi, attori e danzatori che allo stesso tempo abbiano pratica di qualche strumento musicale che richiede abilità manuale, come il pianoforte.
Com’è avvenuto il suo l’incontro con il teatro di figura?
L’incontro con il teatro di figura è avvenuto per caso, quando con Hugo Suarez studiavo mimo e recitavamo in strada. Nel 1984 eravamo un duo di strada e ci sembrava di fare del mimo quando, con le mani e intrecciando le dita, creavamo piccole figure di animali stilizzati come serpenti, rane, ragni, elefanti volanti, cani e uccelli o figure umane con facce grottesche e corpi sproporzionati. Dopo questa sperimentazione abbiamo prodotto il nostro primo lavoro: “Ritorno al Buio”. Era uno spettacolo realizzato su un palco completamente buio e lavoravamo con piccole luci rosse di sigaretta e piccole lanterne di diverso calibro, sempre rosse, con cui disegnavamo nel buio draghi, camaleonti, demoni e ballerini di tango, kazachok e musicisti rock; dopo un’esplosione nucleare apparivano i “mutanti”, che erano figure con le mani intrecciate presentate sotto la luce radente di due lanterne opposte nello spazio di soli 40 cm (una scatola di cartone).
Quando nel 1990 (o era forse il 1989…) ci ha invitato il festival Arrivano dal Mare, non capivamo perché un festival teatrale di marionette ci invitasse, essendo noi dei mimi. Quattro anni dopo, quando fummo invitati dal London Mime Festival, capimmo invece che eravamo diventati burattinai. Forse è stata questa crisi di identità ad alimentare la nostra ispirazione per creare una fusione tra mimo e pupazzi, che man mano stava dando vita a “figure” fatte con i piedi, le ginocchia, lo stomaco, il gomito, il viso…, dando il via a un nuovo stile di “burattini corporei” che oggi è molto utilizzato.
E la contaminazione con la danza e il movimento?
Nel 1990 abbiamo debuttato con “Le Avventure di Ginocchio” partecipando a molti festival di burattini, figure, mimo e persino danza, come il Jacob’s Pillow Dance Festival. Il nostro stile di burattini corporei aveva “inquinato” quello storico festival di danza in cui si esibivano figure come Martha Graham e Mikhail Barysnikov.
Fino a quel momento non c’era però stato l’incontro del nostro stile teatrale con la danza. Accadde nel 2005, nella mia produzione “I mondi di Fingerman”, dove introdussi la danza tra i burattini del corpo, e l’unione fu molto interessante.
Qual è stata la sua formazione artistica, anche in ambito musicale e coreutico?
Dall’età di 7 anni ho avuto un’educazione musicale permanente, e a 22 anni ho finito i miei studi al Conservatorio di Sarajevo. La mia insegnante di piano è stata Larisa Chorluca. Lei non solo mi ha insegnato la tecnica pianistica, ma anche l’importanza di valorizzare e coltivare il mio mondo interiore, dandomi delle linee guida per sviluppare una mistica, per imparare meglio, e mi ha preparato ai miei primi contatti con il pubblico.
Quali sono i suoi maestri e i punti di riferimento contemporanei?
Da un po’ di tempo mi dedico di più al teatro che alla musica, il che non significa che non mi sieda al pianoforte tutte le sere, se possibile, così che le mie mani, ispirate da Rachmaninov o Chopin, abbiano un grande esercizio, e non solo per il piano, ma anche per la manipolazione fine dei miei burattini. Tra i musicisti contemporanei mi piace Jo Jo Ma, Astor Piazzolla, Bruno Coulais, Andrea Bocelli e il mio amico Nico Berardi, di Bari, che non è famoso, ma suona la quena e il charango come un dio.
Qual è la realtà attuale del teatro di figura in America e Sud America?
Malgrado la ricca cultura animistica di alcuni paesi dell’America Latina precolombiana, in cui usavano come “ponti” tra uomini e divinità già di più di 1300 anni fa diversi oggetti – tra cui burattini fatti di argilla e completamente articolati con fibre vegetali, fino alla bocca e la lingua -, non hanno conservato tutto questo bagaglio storico relativo alle marionette come in Europa, forse a causa della mancanza di testo scritto e dell’annientamento culturale e religioso causato dalla colonizzazione.
I burattini in America Latina, come in Perù per esempio, hanno pochissimo sostegno da parte del governo, e i festival o gli eventi di teatro di figura a volte ricevono sostegno da compagnie private o centri culturali, principalmente stranieri, ma meno dallo Stato.
I burattinai in Perù a volte lavorano “per amore all’arte” e con poche risorse economiche, organizzano piccoli festival che non apportano loro un profitto, ma lo fanno con l’obiettivo di offrire cultura nei quartieri. Tuttavia in Brasile, ad esempio, l’industria dà per legge l’1% alla cultura, e vengono organizzati molti festival di teatro di figura.
Qual è la più grande differenza rispetto alla scena europea?
Forse la più grande differenza tra Europa ed America Latina è che in alcuni Paesi, come il Perù, l’Ecuador o la Bolivia, non è ancora sviluppato il concetto di “teatro di figura”, e marionette, burattini etc. sono solitamente considerati arte per bambini.
Come pensa di costruire il lavoro sull’Odissea di Omero, tema del PIP 2019?
Il classico “Odissea” l’ho ascoltato recitato da mia madre fin dall’infanzia, e questa storia la sento parte di me. Sono sempre stata una viaggiatrice instancabile con una brama costante per Itaca, e amo sperimentare questa spiritualità e questa mistica nei luoghi e nei momenti più impensabili. Indagherò le avventure dell’Odissea dal mio punto di vista femminile, perché l’attesa è anche un viaggio e il viaggio può essere una lunga attesa. Inoltre, fedele al mio modo di lavorare con le marionette corporee, costruiremo il mondo dell’Odissea a partire dai nostri corpi.