L’Inferno delle Albe. Dalla tomba di Dante la chiamata pubblica (e itinerante) di Ravenna

Photo: Nicola Baldazzi|Chiamata pubblica per la Divina Commedia di Dante Alighieri (photo: Zani Casadio)|Photo: Cesare Fabbri
Photo: Nicola Baldazzi|Chiamata pubblica per la Divina Commedia di Dante Alighieri (photo: Zani Casadio)|Photo: Cesare Fabbri

Siamo a Ravenna, presso la Tomba di Dante, ma il divin poeta non è affatto morto, ne sentiamo la presenza forte e potente attraverso le parole che affiorano dalla nostra memoria, indelebili ancora e sempre… “Nel mezzo del cammin di nostra vita”…
E’ da questo luogo simbolico che inizia lo spettacolo immaginato da Marco Martinelli ed Ermanna Montanari per l’apertura della XVIII edizione del Ravenna Festival. Ma sarebbe riduttivo denominarlo così, per noi e per i cittadini di Ravenna che lo hanno vissuto. Non è uno spettacolo infatti, ma un percorso di visioni, un viaggio fisico e spirituale – della durata di circa tre ore – anche dentro noi stessi attraverso un’opera immortale quale è la Divina Commedia.

Ad accoglierci, lì dove giacciono le ossa di Dante, gli stessi Martinelli e Montanari, vestiti di bianco, nei panni dei custodi del luogo, di guide amorevoli del viaggio. Qui, insieme con i cittadini di Ravenna che hanno partecipato a questa “Chiamata pubblica per la Divina Commedia di Dante Alighieri” (700 cittadini, 600 ravennati e 100 da fuori città) intoniamo il primo canto del capolavoro dantesco.

Da lì il corteo si snoda attraverso un percorso di parole che, fermandosi davanti a Sant’Apollinare Nuova, dove vi è il primo incontro con Beatrice (una dolce bambina perfetta nel ruolo), giunge sino al Teatro Rasi (già chiesa romanica di Santa Chiara, convertita in teatro al fine ‘800): un luogo che si trasforma per 34 giorni, come i canti dell’opera, dal 25 maggio al 3 luglio (ogni giorno tranne il lunedì e sabato 17 giugno), nell’universo dell’inferno.

Photo: Cesare Fabbri
Photo: Cesare Fabbri

Questa “Chiamata pubblica per la Divina Commedia di Dante Alighieri” del Teatro delle Albe – prima parte del progetto “La Divina Commedia: 2017-2021” – è pensata come una sacra rappresentazione medievale (Martinelli cita anche “il teatro di massa” di Majakovskij), in cui la città diventa un palcoscenico, e dove attori professionisti vengono affiancati da centinaia di cittadini in veste di “figuranti”, insieme ad altri che costruiscono le scene, i costumi, le luci, a creare ambienti sonori e, non ultimo, a partecipare ai numerosi cori che costellano l’evento.

Ma eccoci al Teatro Rasi, sopra il quale è incisa la frase fatidica: “Per me si va nella città dolente…” e noi, insieme ad altri 80 fortunati spettatori, entriamo in un luogo che è stato letteralmente sventrato per apparire come una vera fossa, dove le visioni si susseguono in tutti, proprio tutti, i meandri che la struttura contiene.
Come in un vero e proprio sogno, ecco che siamo travolti da un turbinio di ‘diverse lingue e orribili favelle’, capeggiate da un Caronte – Minosse in chiave militaresca, impersonato da Roberto Magnani, cui seguiranno Paolo e Francesca (una ventina di coppie di giovanissimi che girano vorticosi davanti a noi) e Farinata degli Uberti, impersonato da Luigi Dadina che, dall’alto di una balaustra, ci immerge nelle lotte tra Guelfi e Ghibellini, conversando con Cavalcante Cavalcanti, padre del poeta Guido, non a caso impersonato da Gianni Plazzi, attore storico di molte compagnie ravennati.
Sullo schermo appare Brunetto Latini, maestro di Dante, qui tramutato, in modo suggestivo e naturale, nel “nostro maestro” contemporaneo, Pasolini, che annuncia l’omologazione di tutte le culture, puntualmente avvenuta; ecco poi il suicida Pier delle Vigne che si strugge, immerso un bosco formato da corpi di donne, le Erinni.
E ci sono pure i diavoli che ci strattonano da una parte e dall’altra con Vanni Fucci che, imprigionato in una camicia di forza, impreca al mondo, mentre Ulisse dall’alto di un montacarichi ci sprona a “seguir Virtute e conoscenza”. Sono solo alcune delle visioni che ci travolgono in questo viaggio.

Chiamata pubblica per la Divina Commedia di Dante Alighieri (photo: Zani Casadio)
Chiamata pubblica per la Divina Commedia di Dante Alighieri (photo: Zani Casadio)

Alla resa perfetta e coinvolgente del tutto concorrono ambientazioni musicali dal vivo, immagini, cambi di atmosfere, visioni lontane e potenti come quelle dei corpi nudi, contorti e immersi nel Flegetonte, fiume composto di sangue, scritte significanti, riferimenti ai contemporanei Pound e Weil.
Alla fine, nel punto più recondito dell’Inferno, tra i traditori, sul palco vuoto e arrossato di sangue, Ermanna Montanari interpreta, da par suo, il dolente racconto del Conte Ugolino.
I 14.233 endecasillabi, ripartiti in terzine, della prima Cantica del poema dantesco, si tramutano in due ore e mezzo di apparizioni, e quando finalmente “usciamo a riveder le stelle” ci accoglie una scala che, appoggiata ad un albero, vola verso l’infinito, a suggerirci che Purgatorio e Paradiso sono lì ad aspettarci.

Così anche noi per un attimo, dopo esserci smarriti in una selva oscura in cui, come in uno specchio, abbiamo riconosciuto tutti i peccati in cui siamo caduti o da cui siamo scappati, ci accorgiamo di aver compiuto, immersi nella cupa e sfolgorante bellezza del teatro, un vero e proprio cammino di redenzione.

INFERNO – chiamata pubblica per la “Divina Commedia” di Dante Alighieri
ideazione, direzione artistica e regia Marco Martinelli ed Ermanna Montanari
in scena Ermanna Montanari, Marco Martinelli, Alessandro Argnani, Luigi Dadina, Roberto Magnani, Gianni Plazzi, Massimiliano Rassu, Laura Redaelli, Alessandro Renda
musiche Luigi Ceccarelli con gli allievi della Scuola di Musica Elettronica e gli allievi della Scuola di Percussione del Conservatorio Statale di Musica Ottorino Respighi-Latina e con la partecipazione degli allievi dell’Istituto Superiore di Studi Musicali Giuseppe Verdi-Ravenna
spazio scenico Edoardo Sanchi con gli allievi del Biennio Specialistico di Scenografia per il teatro dell’Accademia di Belle Arti di Brera-Milano
costumi Paola Giorgi con Salvatore Averzano e gli allievi di Costume per lo spettacolo dell’Accademia di Belle Arti di Brera-Milano
regia del suono Marco Olivieri
disegno luci Francesco Catacchio
direzione tecnica Enrico Isola e Fagio
produzione Ravenna Festival
in coproduzione con Ravenna Teatro/Teatro delle Albe

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