Innamorate dello spavento. Alle Colline Fracassi trionfa anche col gesso

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Magda, terza parte della Trilogia di Sgorbani (photo: Andrea Macchia)

Hitler: Mi sono sempre chiesto, Magda, perché quel genio di Walt Disney abbia scelto di far diventare proprio un topo il suo personaggio più amato […]. Non trova che il topo sia tra tutti gli animali il più spregevole?
Magda: Il più spregevole senza dubbio, tra tutti gli animali il topo è quello che più disprezzo.
Hitler: Non solo lei Magda, ma l’umanità intera. […] Una coppia di topi, Magda, dà alla luce cinque volte all’anno una nidiata di dieci piccoli, e questo significa che, in teoria, può generare in nove anni due milioni di ratti. Due milioni, Magda. (Lei quanti figli ha generato in questi anni? Sette?)
[…] Magda: […] lei lo sa, mein Führer, che io per lei darei alla luce anche due milioni di figli in nove anni.

Tre femmine “innamorate dello spavento”: Blondi, Eva, infine Magda, moglie del Ministro della Propaganda Joseph Goebbels, che dal 1933 al 1945 affiancò, con pieni poteri di mobilitazione della guerra totale, Adolf Hitler.

Le tre “cagne di Adolf”, come le definisce Roberto Canziani nella sua prefazione al testo di Massimo Sgorbani, autore della trilogia che Teatro i ha portato al Festival delle Colline Torinesi, merita la pienezza degli elogi prima di qualsiasi approfondimento.
Un progetto di cui Klp vi aveva già parlato con entusiasmo nei mesi scorsi anche attraverso una video-intervista a Federica Fracassi, e che oggi trova nuova conferma, grazie alla lodevole bravura di tutti i protagonisti (sul palco e non) di questa trilogia.

Se il primo spettacolo, a Torino, non era partito bene per l’incidente capitato in scena alla Fracassi (una caduta rovinosa durante “Blondi”, che l’ha poi costretta ad interrompere la replica e a un passaggio in ospedale, con tanto di gamba ingessata), c’è anche da sottolineare come, fin dalla sera successiva, su quel palco – lei, sola – fosse tornata per diventare Eva Braun, l’amante di Hitler, senza risparmiarsi né offrire al pubblico uno spettacolo ‘ridotto’, seppur costretta nei movimenti (ma neanche troppo) dalla sedia a rotelle. Una vera prova d’attrice, ad ulteriore conferma della sua bravura e prontezza di spirito.

Oggi torniamo all’ultimo spettacolo della trilogia: “Magda e lo spavento”, che il regista Renzo Martinelli ha presentato come lettura scenica con protagonisti la stessa Fracassi e Milutin Dapcevic nei panni di Hitler.
“Magda e lo spavento” è un dialogo tra due personaggi cianotici che risulterebbe folle se non si fosse materializzato sotto analogo aspetto secondo i prodromi della Storia, e non fosse il realistico specchio di un’infanticida e di un genocida parlarsi intimamente, prossimi entrambi al suicidio.

In un’atmosfera di reciproca e patologica dedizione, chiusi nel bunker all’interno del quale l’entourage nazista cercò rifugio dall’avanzata sovietica ormai annunciata, Magda Goebbels e Adolf Hitler tutelano l’eco di un protagonismo storico marcescente divenuto irrinunciabile, condividendo la loro anticamera di morte e gonfiando l’aria di morbosità infantili e confuse esternazioni di malthusiana eugenetica.

Artefici disperati di una reciproca redenzione privata che sopravviva alla loro sconfitta storica, i protagonisti di quest’ultimo capitolo di Massimo Sgorbani tessono un dialogica tassidermia del nazifascismo ed imbalsamano “i conti fatti” dei loro voti di fede, presentandosi a loro stessi ancora una volta imperanti e vittoriosi, aggrappati a sacralizzate visioni di eterni ritorni.

Sono corde vocali tese, quelle di Federica Fracassi e Milutin Dapcevic, a dare vita, tra letti immatricolati e dai materassi squarciati, a marce sillabiche e distorsioni metalliche di pronunce cartonesche, che esprimono pianificazioni argomentative terribilmente logiche, seppure criminali e prive di etica.
Due corpi che si muovono in un gioco di proibitivi contatti: l’ideologia della razza pervade, sistematicamente progettata, ritmata dai bagliori d’esplosione sullo sfondo.

Hitler: “Non mi ricordo, Magda, non mi ricordo se abbiamo visto insieme Biancaneve e i sette nani; è mai capitato che lo vedessimo insieme, cioè che lei lo vedesse con me?”.
A partire da un’esternazione sulla genialità di Walt Disney si apre la discussione cinefila che farà dei protagonisti dei cartoni animati più noti e delle icone Mickey Mouse e Donald Duck degli archetipi allegorici di una spietata categorizzazione gerarchica dell’umanità: Biancaneve, esemplare di bellezza ariana, servita da “sette esseri deformi” il cui lavoro viene letto come obbligo morale al servizio di una finalità superiore; Topolino, colonizzatore dell’immaginario mondiale e su cui si sfoga la schizofrenia di Hitler in una lotta titanica tra tenerezza e disprezzo (la prima, una trappola morale); infine Paperino, Pluto, Minnie, personaggi del sogno disneyiano di “riscattare gli esseri inferiori, elevandoli ad esseri superiori” in una volontà di antropomorfizzazione dell’infimo.

Dialoghi abbandonati alla miseria più profonda dell’animo, tra le cui battute si tessono i profili, segmentati da contraddizoni a singhiozzo, di Magda Goebbels e Adolf Hitler: una tensione erotica latente, inesprimibile, infera, laddove il rifiuto della vita si traduce nella più truce descrizione del parto come sacrificio di un animale sgozzato su un banco freddo da macellaio.

Magda Goebbels, madre di sei figli (“Sei, mi scusi, sei. Mi confondevo con i nani”), eppure aborrente la maternità e capace di ucciderli, uno dopo l’altro nel silenzio della notte, ma vestale sacrificale che apre il suo utero alla fecondazione del Reich: è un capolavoro di drammaturgia a tracciarne il volto.

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Federica Fracassi in scena con i postumi della caduta in Blondi (photo: Andrea Macchia)

Ed è un capolavoro d’interpretazione quello portato sulla scena, risultato di un percorso di impossibile immedesimazione in una femminilità (trina) drogata, asservita ad una figura deificata da un’euforia collettiva volta allo sterminio.

Il filtro della storia ce ne separa per mezzo di una rete finissima calata sul proscenio e chiude due insetti morenti scivolare su pareti di vetro. Ogni ulteriore elemento non è che perfetta potenziazione di questa violenza che “Magda e lo spavento” ci comunica: echi di un “mein Führer” atrofizzante, ripetuto ossessivamente in ossequi, si frammentano tra le eliche di un motore sullo sfondo, mentre  gracchianti canzoncine per bambini, l’“inno di Mickey Mouse” mimato in smorfie, ci ricordano la perdita di ogni innocenza.
Un’ottima esorcizzazione del darwinismo sociale hitleriano, capace di screditarlo ridicolizzandolo, comunque sempre necessaria.

Magda e lo spavento
con: Milutin Dapcevic e Federica Fracassi
dramaturg: Francesca Garolla
audio e video: Fabio Cinicola
luci: Mattia de Pace
produzione: Teatro i

durata: 1h
applausi del pubblico: 2′ 20”

Visto a Torino, Teatro Gobetti, il 7 giugno 2014

 

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