A Roma un cenacolo aperto sulla nuova danza. Tra gli ospiti Christoph Winkler, Fabritia D’Intino e Alessandro Pontremoli
Cos’è la naturalità nella danza? Cos’è un codice e quando un linguaggio diviene codice? In che misura l’istituzione di un’estetica, dunque di una tecnica che ne sia presupposto, è legata a un codice di comportamento, a una strutturazione in classi?
Che rapporto ha l’improvvisazione con il canone e con la resistenza a tale strutturazione; dove affonda le proprie radici la pratica dell’improvvisazione nella danza, nella musica?
Questi i temi che Alessandro Pontremoli, in una breve e lampante lezione, ha presentato il 3 ottobre scorso al pubblico del Festival Interazioni, curato da Salvo Lombardo e dal gruppo Chiasma.
Attorno allo spazio Ostudio di Torpignattara si riuniscono diversi danzatori, danzatrici e performer come, tra gli altri, Daria Greco, Marta Olivieri, Fabritia D’Intino.
Negli spazi tra Teatro Palladium, Goethe Institut e Villetta Social Lab, Interazioni non è stata solo una messa in pista delle direzioni prese dagli artisti di Chiasma, ma si è posta il compito di riflettere con le pratiche e con gli esperimenti scenici di importanti artisti nazionali e internazionali anche sulle questioni sollevate degli spunti di Pontremoli. Interazioni insomma è una sorta di cenacolo aperto sulla nuova danza e sui discorsi che ne scaturiscono, sul suo rapporto con la tradizione e con il presente nei suoi territori anche più periferici.
Diverse sono state le opportunità e le modalità di rottura che gli artisti ospiti hanno adottato per aderire a tale indirizzo – primo fra tutti il lavoro proprio di Anna Basti, che nel pomeriggio con il suo progetto “Le classique c’est chic, classe di danza classica aperta a tuttə” ha insegnato a partecipanti non professionisti, liberando dalla dimensione puramente estetica il movimento impostato, stralciandone la struttura di disciplina e sofferenza, per riscoprirne le questioni più organiche legate alla gestione e riappropriazione degli equilibri del corpo.
La presentazione di Pontremoli, perfettamente in linea con questa pratica, era nelle intenzioni, però, legata soprattutto all’esecuzione di “The Goldberg Variations – dancing like a white guy” di Christoph Winkler e Aloalii Tapu, danzate da quest’ultimo: l’argomento dell’improvvisazione (l’aria con variazioni bachiana nasce proprio dalla trascrizione di questa pratica), che vanta i celebri antecedenti di Steve Paxton e Virgilio Sieni, è sostituita nel corpo del danzatore di origine samoana da una scrittura più minuziosa.
Nell’impaginato di queste nuove “Goldberg” (Glenn Gould al piano, edizione del 1981) non mancano riferimenti all’hip-hop, a una configurazione del corpo fluida ma non sempre rilassata, aperta a una certa molteplicità di linguaggi, alla quale le citazioni dello Haka paiono funzionare da gancio verso una decalcificazione dello sguardo, affinché si metta nella condizione di apertura necessaria. Da questo sincretismo non sono esclusi il canto tradizionale, l’evocazione di vaghi fantasmi della quotidianità, citazioni di qualcosa come grazie giapponesi o posture da commedia dell’arte e di altre convenzionalità. Come se il corpo volesse provare su di sé un repertorio di schemi dai quali potersi, eventualmente, liberare. E infatti il risultato, per quanto dinamico, leggero e non tormentoso alla fruizione, si dispone talvolta a una assunzione quasi a freddo di pose, dalle quali il movimento può attivarsi, per uscirne, scardinarle o mescidarle.
Ben oltre è andata, in termini di decostruzione, quella stessa sera, la presentazione del secondo studio di “Cancan” Fabritia D’Intino, che già avevamo visto, in una forma più grezza, a Teatri di Vetro 2021, in scena ora con Riccardo Guratti e Cesare Benedetti.
Si tratta in questo caso di una lucida ma rabbiosa opera di sabotaggio del cancan nella sua forma commerciale e borghese, in cui gli impulsi erotici e rivoluzionari erano ridotti a pseudo-infrazione costumata e inoffensiva.
Sembra che D’Intino con acribia abbia estratto tutti i caratteri di quel ballo e, uno per uno, abbia provveduto a disinnescarli, senza puntare a reintegrare l’energia primitiva di quel genere, anzi convertendola provocatoriamente nel suo opposto, la stasi, la violenta lentezza di un gesto che non seduce, in un palco vuoto su cui pigramente si trascina una decina di funerei palloncini. Alla strabordante cinèsi del Cancan oppone una staticità quasi insostenibile, accompagnata dal loop di due accordi dell’arcinoto brano di Offenbach (elaborazione di Federico Scettri); all’erotismo rapace e balenante uno stanco slow-motion di attrito su body e calze a rete; ai costumi e alle luci multicolori un nero da tetro bondage; alla disciplina della “fila” un’imperfezione disallineata e pigra; alla verticalità della gamba slanciata una messa in discussione persino della statura eretta (al modo del radicale “FF/Fortissimo” di Giuseppe Vincent Giampino in scena a Short Theatre 2021). Così alla chiarezza degli intenti subentra un continuo “girare attorno” a un punto che pare sfuggire senza speranza.
Insomma, D’Intino sostituisce al gesto invitante e leggero del cancan una consapevole azione di disinteresse o addirittura di repulsione nei confronti del pubblico, con una scrittura coraggiosa e politicamente tagliente.
The Goldberg Variations – dancing like a white guy
Ideazione e coreografia Christoph Winkler
Danza e coreografia Aloalii Tapu
Scene e costumi: Lena Mody, Valentina Primavera
Production: Laura Biagioni
Con il supporto di Orbita | Spellbound – Centro Di Produzione Nazionale della Danza
durata: 30′
applausi del pubblico: 2′
CANCAN – secondo studio
Ideazione e coreografia: Fabritia D’Intino
Performance: Cesare Benedetti, Fabritia D’Intino, Riccardo Guratti
Musica originale: Federico Scettri, AA.VV.
Consulenza drammaturgica: Roberta Nicolai, Piersandra Di Matteo
durata: 40′
Visti a Roma, Teatro Palladium, il 3 ottobre 2022
Laterza, 2018
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