Itaca per sempre di TrentoSpettacoli: Ulisse, Penelope e i cocci di un amore

Itaca per sempre (photo: Francesca Ferrai)
Itaca per sempre (photo: Francesca Ferrai)

Quanto ci cambia la distanza? E il tempo? Che cosa resta della nostra identità dopo una guerra? Quando uccidiamo un uomo, non stiamo forse distruggendo la nostra essenza più pura e profonda?

Nel romanzo “Itaca per sempre” di Luigi Malerba, Ulisse e Penelope si ritrovano dopo vent’anni e non si riconoscono più: dieci anni di guerra e altrettanti di peripezie dell’eroe omerico hanno trasformato il loro amore, e forse anche la loro umanità.

Il critico Walter Pedullà affermava di Malerba, scrittore del Gruppo 63, che «ha realizzato il più radicale ed esilarante massacro dei luoghi comuni culturali e poetici», facendone letteralmente tabula rasa. Per Malerba «in principio c’era il vuoto, poi nacque la parola, che serve a nascondere quel vuoto». Compito dello scrittore diventava allora fare il percorso a ritroso, ritrovando il vuoto originario che i discorsi e le idee, come tutti gli atti della vita, cercano di riempire.

Le parole sono scritte sull’acqua. Nell’adattamento teatrale di “Itaca per sempre”, regia di Andrea Baracco, la scenografia si compone proprio di nove teche d’acqua di varie dimensioni. Gli scenografi Luca Brinchi e Daniele Spanò fanno del palco del Teatro i di Milano una sorta di camera oscura.
Ulisse (Woody Neri) e Penelope (Maura Pettorruso) si muovono in mezzo e dietro di esse. I protagonisti sono sagome smunte. I loro visi spenti animano di vigore evanescente i loro corpi scavati. Anche i costumi monocromi di Marta Genovese paiono riesumati da un Averno tenebroso.

Sotto le luci livide di Javier delle Monache si palesano gli spettri di un presente ormai senz’anima. Quella di Ulisse è una ricomparsa che non conserva nulla di mitologico. La polvere s’infila negli ingranaggi della vita. Nell’acqua torbida naufraga il topos del mare come archetipo del viaggio: restano i riflessi opachi di due controfigure.

“Itaca per sempre” è titolo antifrastico. Nella reinterpretazione neoavanguardista di Malerba, la gioia del ritorno è spezzata. L’adattamento teatrale di Maria Teresa Berardelli acuisce ancora di più il lungo, desolante inverno che separa i protagonisti. Sono i cocci di una storia. La nostalgia è impulso velleitario. Il passato è perduto.
Se la lunga attesa ha sfibrato l’amore di Penelope esacerbando il rancore, anche il cuore di Ulisse si è indurito. Il tempo frange le illusioni come mareggiata. I sogni si spezzano, scivolano nell’indifferenza.

La narrazione introspettiva alterna pensieri e parole. Dei personaggi sentiamo la voce fuori campo, i soliloqui, i dialoghi estemporanei tra confessione e risentimento. Cogliamo gli opposti punti di vista attraverso le valutazioni soggettive, alternate, di due narratori esterni. Il retropensiero è un distillato d’illazioni e accuse. Quel che resta di un amore è l’intreccio perverso, reciproco, di sospetti, accuse e timori. Dov’è il torto? E la colpa? Come l’acqua, anche la verità è sfuggente.

La vendetta di Ulisse sui Proci è turbamento liquido, marea salata che trabocca e invade la scena. Anche quando l’agnizione è certa, Ulisse e Penelope rimangono stranieri: si guardano di sottecchi, si muovono lungo direttrici e piani diversi. Come due rette, non s’incontrano all’infinito.
La rabbia e l’orgoglio. L’acredine e l’ostinazione. Il dubbio e la vendetta. Due anime si parlano ma non comunicano. «Si conosce solo ciò che si ama», diceva Sant’Agostino: Ulisse e Penelope sono monadi irrelate. Le teche d’acqua custodiscono le vestigia di ricordi smunti. Sono muri trasparenti. Le prospettive sono spaiate.
Nel silenzio e nell’ambiguità delle parole si dipana il gioco della sfida e della provocazione.
La musica di Giacomo Vezzani, avviluppante come un rovello, acuisce la distanza, esaspera un anticlimax di coppia. La vertigine diventa voragine.

La felicità è altrove. Ulisse vorrebbe ripartire. Penelope è divorata dall’incertezza. Il grande freddo pervade la scena e rimbalza sugli spettatori. È un silenzio refrattario. I rari bagliori nel buio sono l’ecografia di un amore spento. Divampa l’incomunicabilità. Manca il dolore, quello che troviamo anche in certe canzoni italiane come “Polvere” e “Poco più di niente” (Ruggeri), “Quello che non c’è” (Afterhours), “Raccontami” (Renga).

Un buon lavoro. Una valida prova attoriale. Resta quel senso d’irrisolto, e un’angustia di sfumature che rende solo in parte la complessità dei personaggi e impoverisce l’intrico di pulsioni interiori contrastanti presente nel libro di Malerba.

ITACA PER SEMPRE
di Luigi Malerba
drammaturgia Maria Teresa Berardelli
con Woody Neri e Maura Pettorruso
scenografia Luca Brinchi e Daniele Spanò
costumi Marta Genovese
disegno luci Javier Delle Monache
musiche originali Giacomo Vezzani
tattoo designer The Flea Tattoo tecnica Claudio Zanna
organizzazione Daniele Filosi
regia Andrea Baracco
produzione TrentoSpettacoli
con il sostegno di Ministero dei Beni e delle Attività Culturali, Fondazione Cassa di Risparmio di Trento e Rovereto, Provincia Autonoma di Trento, Regione Autonoma Trentino-Alto Adige, Comune di Trento Teatro Comunale di Pergine Valsugana, Spazio Off Trento

durata: 1 h
applausi del pubblico: 2’

Visto a Milano, Teatro i, il 3 febbraio 2020

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