Una passione smodata per la musica. Un’anima frammentata, sfibrata dal bullismo subìto in età adolescenziale. Il rapporto tormentato con la famiglia. La fatica di accettarsi. Il successo, le droghe, l’alcol. Il desiderio irrefrenabile di nuove esperienze. La voglia fragorosa di vivere, unita a un malessere soffocante: tale dualismo l’avrebbe lacerata, lasciandole addosso cicatrici permanenti.
Questo e molto altro era Janis Joplin, regina del blues morta a 27 anni il 4 ottobre 1970, esattamente mezzo secolo fa. Janis entrò così a far parte del Club 27 con altri divi rock geniali e maledetti, tutti morti 27enni tra la fine degli anni Sessanta e l’inizio degli anni Settanta. Parliamo di Brian Jones, Robert Johnson, Jimi Hendrix e Jim Morrison. A questo club tristemente famoso si sarebbero aggiunti Kurt Cobain nel 1994 e Amy Winehouse nel 2011.
Poi ci sono i tratti tipici che segnano l’adolescenza: la ribellione, il narcisismo elevato; le pulsioni esplosive; l’umore altalenante. Attitudini e opinioni imprevedibili. E ancora, l’incertezza, le inibizioni, la tendenza all’isolamento, l’ansia per il presente e per il futuro, il bisogno di rassicurazione e di libertà, le mille esitazioni di un’età in perenne altalena tra richiami all’infanzia e ricerca di uno status stabile di adulto. Sono aspetti che accomunavano Janis Joplin alla vita di qualunque teenager.
“Janis.Take another little piece of my heart”, ideazione Luca Cecchelli, testo, video e regia di Davide del Grosso, in scena insieme a Marta Mungo, è un percorso attraverso le inquietudini adolescenziali. Lo sguardo è rivolto appunto a Janis Joplin, icona femminile di un gruppo di artisti controversi, magici e innovativi. Ricchi, mitici, assetati di un piacere eternamente insoddisfatto, essi furono artefici della miglior musica rock mai scritta.
Prodotto dal Teatro del Buratto e rivolto ai ragazzi delle scuole superiori, “Janis” ha debuttato a inizio ottobre al Teatro Bruno Munari di Milano. Racconta la storia intima e tragica di Janis Joplin attraverso il più intrigante mistero del rock’n’roll.
Al centro dello spettacolo, una ragazza comune (Marta Mungo) in una sala prove qualunque, in attesa di un concerto che la vedrà protagonista, ma per il quale non si sente pronta. Questo non luogo può diventare uno spazio dilatato amorfo e freddo, oppure il guscio ovattato di una cameretta.
In bilico tra fantasia, sogno e realtà, la protagonista ora è preda della solitudine più delirante, ora, come una regina al centro dell’universo, si identifica con Janis Joplin. Della diva americana essa ricalca il disagio, la verve creativa, l’adrenalina che le faceva toccare il cielo con un dito durante i concerti affollati da migliaia di fan adoranti. Janis si esibiva trasfigurata, in trance come una sciamana. Sul palco “faceva l’amore con 25mila persone”. Poi ripiombava di nuovo nella solitudine.
Con l’aiuto d’immagini e video, con Davide del Grosso a fare da sparring partner (qui è un “tecnico di scena”), Marta Mungo racconta Janis e ne scortica il personaggio. Mette a confronto la star e la ragazza fragile con un passato da adolescente esitante.
La storia di Janis si compone come un puzzle tra lettere, articoli di cronaca, pagine di diario, memorie, aneddoti e ovviamente musica, in un dialogo metateatrale con il tecnico di scena.
Questo smontaggio e rimontaggio scopre la personalità complessa di Janis, e consente una qualche identificazione con i ragazzi della nostra generazione, che poco sanno dell’icona e di una stagione mitica e irripetibile della musica di tutti i tempi.
Il viaggio come forma alta di conoscenza. La scoperta di sé come sballo. La consapevolezza del proprio talento. E poi una malefica inquietudine fatta di fragilità e istinti autodistruttivi. Il rapporto conflittuale con il proprio corpo. La seduzione di esperienze estreme. Infine la deriva verso la patologia e la morte, onirica eppure affascinante per l’universo adolescenziale come tutte le cose ineffabili.
Lo spettacolo si distingue per la freschezza, per una drammaturgia poetica e densa di spunti riflessivi, per la capacità di esplorare temi complessi. Parole e immagini, e anche i giochi con le ombre, evocano le zone buie di un personaggio “vero” e tragico, ben diverso dai “miti” artificiali dei nostri giorni.
“Janis.Take another little piece of my heart” raggiunge il pubblico dei ragazzi e apre nodi con gli adulti. Necessita tuttavia di alcuni interventi. Il testo, ricco e profondo dalla metà in poi, appare sgualcito e dispersivo nella prima parte. La strozzatura dopo le note iniziali di “Summertime”, cavallo di battaglia di Joplin, amplificata dalle paturnie balbettanti della protagonista, è un anticlimax che smorza la tensione dello spettatore proprio quando iniziava a scaldarsi. Va meglio definito il ruolo di Del Grosso, troppo defilato per giustificarne la presenza in scena. La protagonista, replica dopo replica, dovrà aggiungere spessore e graffi alla propria recitazione: “sporcarla”, per apparire meno distante dal personaggio che narra e con il quale – sia pure episodicamente – accenna il confronto.
“Janis” resta in ogni caso un lavoro riuscito: effervescente nei linguaggi, dinamico nelle tecniche, appassionato nei contenuti, capace di arrivare con naturalezza al cuore degli adolescenti.
JANIS – “Take another little piece of my heart”
Ideazione: Luca Cecchelli
Testo, video e regia: Davide Del Grosso
Luci: Marco Zennaro
In scena: Marta Mungo e Davide Del Grosso
Direttore di produzione: Franco Spadavecchia
Produzione Teatro del Buratto
durata: 1 h 3’
applausi del pubblico: 3’
Visto a Milano, Teatro Bruno Munari, il 1° ottobre 2020