Tra arte e neuroscienze: Jan Fabre, Giacomo Rizzolatti e il fascino del cervello

Jan Fabre e Giacomo Rizzolatti
Jan Fabre e Giacomo Rizzolatti
photo: teatrodue.org

Un artista e un neuroscienziato si incontrano in teatro per parlare del cervello. L’incipit di una storiella assurda? No, piuttosto due mondi apparentemente inconciliabili che si ritrovano ad essere molto più vicini di quello che può sembrare, in un inedito dialogo tra le neuroscienze e il loro rapporto con l’espressione e la percezione artistica.

Jan Fabre – appena rientrato dal festival Romaeuropa, dove ha presentato in prima italiana il suo ultimo lavoro per la scena, “Prometheus Landscape II” – fiammingo di origine, è da vent’anni uno degli artisti più poliedrici ed eclettici del panorama culturale europeo: artista visivo, coreografo, regista, scrittore, si è fatto promotore di una ricerca artistica completa, tesa ad oltrepassare con pervicace spirito di provocazione le barriere espressive e morali del suo tempo.

Giacomo Rizzolatti – a sua volta di rientro dalla Spagna, dove gli è stato conferito il prestigioso Premio Principe delle Asturie per la ricerca scientifica e tecnica – è il coordinatore del gruppo di scienziati che nel 1996 ha scoperto l’esistenza dei neuroni specchio, cellule motorie del cervello che si attivano sia durante l’esecuzione di movimenti finalizzati, sia osservando simili movimenti eseguiti da altri individui. Scoperta che ha posto una base fisiologica all’empatia.

Entrambi esplorano le profondità della mente, entrambi, seppur in modo diverso, sono scienziati: Fabre indaga il cervello come centralità concettuale ed estetica, Rizzolatti si addentra, letteralmente, nella sua fisiologia fino a rivoluzionare la concezione delle basi nervose della socialità umana e dell’empatia.

Organizzato dal Dipartimento di Neuroscienze dell’Università di Parma, e ospitato la settimana scorsa all’interno del Teatro Due, l’incontro si rivela un’occasione per approfondire temi e dialettiche che connettono ricerca artistica e ricerca scientifica.
Se per lo scienziato il cervello è pronto a fare esperienze solo osservando l’altro, “partecipando” a quanto osserva, per l’artista il cervello è la parte più sexy del corpo umano.
Ma sia artista che scienziato riannodano i comuni pensieri sul ruolo fondamentale dell’immaginazione, strumento essenziale per il cervello come luogo di assorbimento e rielaborazione degli infiniti stimoli che provengono dall’esterno, motivazione di ogni azione-reazione. E per Fabre tutto ciò ha estrema rilevanza anche per il lavoro sulla scena, dove attori e danzatori devono muoversi in forma viva e percettiva, e dove corpo, cervello, memoria fisica ed emotiva rientrano tutti contemporaneamente in gioco.

Punto focale dell’incontro è la presentazione da parte di Fabre di alcuni filmati riguardanti la sua più recente produzione artistica, documentari riguardanti le installazioni “Anthropology of a Placet” (2007) e “From the Feet to the Brain” (2009) fino a “Pietas”, installazione presentata all’ultima biennale di Venezia, tutte opere scultoree ispirate proprio alle ricerche di Rizzolatti.
Percorsi visionari di una ricerca artistica sul cervello umano e sul suo involucro, il corpo, analizzato dai piedi fino alla mente, in un rincorrersi di lucide diagnosi sulla fragilità umana, sui sentimenti e sulla morte, che portano lo stesso artista, sotto forma di scultura, a penetrare in una mastodontica testa installata negli spazi dello storico arsenale veneziano.
Cervelli di marmo traboccanti, simboli ed elementi naturali, richiami michelangioleschi e una commistione quasi carnale tra il sacro e il profano, riflessioni teoriche sulla forza d’immedesimazione per arte classica e contemporanea che Fabre usa come “strumenti di terrorismo poetico”. Ed è lo stesso Rizzolatti a porre in essere i supporti scientifici di questa ricerca, spiegando come la capacità di imitazione umana è alla base sia delle sue scoperte, sia della cultura stessa.

Un incontro che si scioglie purtroppo in breve tempo, mantenendo vivo l’interesse del pubblico con poche ma incisive battute sulla bellezza, la creatività, l’istinto e l’intuizione come valori culturali e scientifici, prima ancora che creativi.
Non può che rimanere un’infinita curiosità, e forse una speranza, di poter vedere, insieme, all’opera questi due straordinari cervelli.

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