Il debutto assoluto al Teatro Vascello del duo sardo-basco
Una volta una coreografa mi ha detto che è follia andare a vedere uno spettacolo al debutto. Che non capiva poi cosa saltasse in mente ad alcuni di questi spettatori improvvidi, di scriverne. Ovviamente era una provocazione, e la coreografa, vecchia volpe, non poteva non sapere che le programmazioni si fanno lustro di prime assolute, le quali non di rado attribuiscono punteggi nelle graduatorie per i finanziamenti, e certamente trascurava la pur impalpabile eco che ancora la scrittura critica sogna di conservare.
La dinamica dei festival, poi, non consente nemmeno il rodaggio che altrove (ma dove, ormai?) sarebbe consentito da una, due settimane di repliche.
Eppure quella coreografa aveva ragione, e insieme con lei hanno ragione tutti quegli artisti che lamentano la vita breve degli spettacoli, tale da non permetter loro nemmeno di conquistare il giusto respiro che pure spesso cova nel profondo, ma che solo la frequentazione riesce a far palpitare.
Questo è l’augurio che bisogna fare a un progetto come quello di Igor x Moreno, coppia sardo-basca (ma quasi collettivo, con un gruppo di artisti e artiste che li affiancano) con residenza nell’isola, dopo una robusta formazione ed esperienza creativa londinese: l’augurio che molte siano le repliche, così che “Karrasekare” possa trovare il suo, di respiro, ancora affannato e talvolta spezzato dalla complessità della macchina che lo realizza.
L’impresa lo merita, è un evidente cambio di passo rispetto alle precedenti esperienze, non solo per l’impegno produttivo e tecnico, ma anche per una scrittura complessa, che sottende un pensiero così forte da risultarne, in alcuni momenti, quasi schiacciata.
Il lavoro, al debutto assoluto a Romaeuropa, inizia con una scena magnificamente disegnata e illuminata da una pioggia di sagomatori, la cui presenza oscilla dall’elemento illuministico a quello scenografico. Un velatino nero copre il palco, mosso in pieghe e solchi da un telo di plastica che vi è sottoposto.
Sulla sinistra Igor Urzelai, in nero come un performer di Claudia Castellucci, canta con voce salda ma docile un canto popolare, sul quale si innesta una seconda linea vocale registrata, che costruisce un contrappunto ipnotico, dalle armonie sconsiderate e gesualdiane, via via limate, normalizzate. Quindi si volta, allontanandosi verso il fondo del palco (la luce respira, costruisce scorci di cattedrale) e mostra sulla nuca un secondo volto, quello di una maschera bianca calzata sul cappuccio.
Intanto il velatino viene ritirato dal fondo con l’effetto di uno strascico che segua un feretro, e sulla superficie del palco vediamo incresparsi il candore di un pack artico, crepitante sotto i passi di sei anime disperate, che di lì a poco lo percorreranno. Esse, con tempi assai lunghi, intonano personali, solitari peana, singhiozzi, guaiti, che si sommano fino a ritrovarsi in un coro scombinato: è lì che il grido (dolore, poi orrore, poi furia indomabile), improvvisamente, guardandosi in faccia da sé, scopre una possibilità di esistenza complementare e risolutiva: farsi risata. Ed è il clangore di un proiettore che precipita sul palco ad aprire questa alternativa, lo spazio ulteriore di una distanza.
La seconda parte di “Karrasekare”, in cui, come sempre, il movimento è per Igor x Moreno la strada maestra dell’uscita dalla spersa dimensione del singolo, è socialità, ritrovarsi insieme per una celebrazione laica e sanguinosa della vita, stavolta nella non-forma dionisiaca delle danze carnascialesche, del torneo, dell’orgia.
Il cerchio è la direttrice principe in cui si riconosce questa dimensione, e la forma del circolo è infatti declinata in più modalità, da danza popolare a carosello, a macchina vorticosa, lanciata a folle velocità, a fantoccio rotante da colpire, da aggredire e da cui lasciarsi prendere e scagliare. È in questo susseguirsi di vortici, la cui struttura sembrerebbe voler essere a climax che, per il protrarsi della figura, la tensione sembra incapace di mantenersi sempre viva, e così ci si chiede se la risoluzione di qualche incidente o farraginosità tecnica, o qualche legittimo ripensamento dopo il debutto, non possa consigliare di rivederne alcuni segmenti.
Ma i problemi tecnici sono quelli che nella seconda replica hanno reso complicata la lettura epidermica, fisica (sul palco ci sono ancora sette corpi nudi, stremati, in platea decine di altri corpi) di un finale che fa innalzare l’intero palcoscenico, accartocciato nelle sembianze di una nuvola, carica di tutto il materiale usato fino a quel momento, maschere, attrezzi e la stessa superficie sulla quale i piedi hanno corso, e lo fa gocciolare di pioggia, in un temporale forse liberatorio.
Ed ecco che lo spettacolo, che per gran parte della sua durata si era dato nella carne dei corpi e nella pulsazione ritmica, ora termina nell’assenza di essi (come in “Andante”, del 2015), solo nella luce di proiettori singoli, che delineano scorci del fortunale.
Tutta la complessità tecnica di “Karrasekare”, che risponde una drammaturgia ricercata con lentezza, composta per sedimentazioni e messe a fuoco successive più che per approfondimenti su un piano dato per concluso sin dall’inizio (come sottoposta, nella costruzione, a un continuo presente, all’occhio verticale di un sagomatore simile a quelli dell’inizio), necessita insomma di rodaggio non solo tecnico, ma anche psicologico, persino fisico. E non solo per consentire una corretta lettura dei moventi teorici che innervano il lavoro, ma perché essi possano giungere in platea nella pienezza della carne e del brivido, giustificando appieno il sudore di chi aggredisce quel palco, l’essere teatro di quei moventi e di quei corpi.
Karrasekare
Regia di Moreno Solinas e Igor Urzelai
Interpreti Margherita Elliot, Marcella Mancini, Alessio Rundeddu, Matteo Sedda, Giulia Vacca, Igor Urzelai Hernando, Moreno Solinas
Consulenza drammaturgica: Simon Ellis
Musiche Originali, Sound design e Direzione tecnica: Edoardo Robert Elliot
Luci: Joshie Harriette
Scenografia e costumi: di KASPERSOPHIE
Stage Manager: Giovanni Spada
Project producer: Davide Pisano
Amministrazione: Anna Paola Della Chiesa
Prodotto da: S’ALA e The Place
Co-prodotto con Theatre De La Ville, Fuorimargine | Centro di produzione della danza in Sardegna, Romaeuropa e Bora Bora
In collaborazione con Toscana Terra Accogliente (con residenze a Anghiari Dance Hub e Armunia, e co-finanziamento di Fabbrica Europa), Oriente Occidente, HKD – Croatian Cultural Centre.
Con il sostegno di MiC – Ministero della Cultura, RAS – Regione Autonoma Della Sardegna, Fondazione Di Sardegna.
Durata: 1h 05′
Applausi del pubblico: 2′
Visto a Roma, Teatro Vascello, il 5 novembre 2023
Prima assoluta