Sono le 16,45. Lascio la luce della canicola estiva della Provenza ed entro nell’ombra del corridoio che porta al Tinel. È completamente diverso dall’ultima volta, a marzo, quando andava in scena Chartreuse News Network (CNN), la performance di teatro giornale dedicato alla catastrofe di Haiti. Entro in una prima sala, buia. Davanti a me una quinta nera che disegna un’intera parete. Mi rendo conto che lo spazio modulare del Tinel, il teatro ricavato nell’antico refettorio de La Chartreuse è stato diviso. Passo la quinta. A dx e sx due blocchi di file di sedie. La platea è praticamente scomparsa, rimangono solo alcune file di gradinata sul fondo, dove campeggia una impressionante maschera gigante a forma di testa di orso bianco.
Tra le due file di sedie un’installazione: tavoli che formano una linea parallela rispetto alle sedie su cui sono disposti plastici colorati con case, isole verdi, alberi, pompe di benzina, autobus, contenitori vari e forme di oggetti che ancora non riconosco, sovrastati da svettanti e trasparenti provette di vetro. Sono miniature tra il gioco delle costruzioni, le città dei trenini (senza treno), gli strumenti del mestiere di un architetto, il laboratorio del piccolo chimico.
In sottofondo una musica elettronica percussiva, dance. Accovacciati attorno al tavolo, intenti a manovre di accomodamento, Diego Anido, Martí Sanchez, Pau Palacios e Àlex Serrano, della compagnia spagnola Agrupación Señor Serrano. Il loro contributo performativo, tra la danza e la videoarte, era stato tra quelli più compiuti a cui avevo assistito nel lavoro collettivo CNN.
Il tema del rapporto bipolare tra natura e uomo, con il senso di impotenza dell’uomo, il suo tentativo di vincerlo attraverso un’operazione di costruzione culturale che salvi anche dall’oblio, e la catastrofe declinata come naturale ed umana appartengono strutturalmente alla loro creazione artistica.
Dopo gli spettacoli “Contra.Natura”, “Artefacto” e la partecipazione al lavoro collettivo CNN, continuano la riflessione sul tema presentando al festival Théâtres du Globe la performance “Katastrophê-une douce fable”, prima tappa di un lavoro in work in progress che approderà alla forma spettacolo nella primavera 2011.
Attraverso una dimensione favolistica e ludica, il gruppo costruisce una narrazione drammaturgica sintetica, visionaria e crudelmente ingenua della civilizzazione, dalla preistoria ai nostri giorni, passando in rassegna i principali eventi catastrofici naturali – glaciazioni, inondazioni, terremoti -, e umani – le guerre in particolare – che hanno stravolto e ridisegnato a livello geopolitico il nostro globo. Nella linearità della macronarrazione vengono combinati gli eventi con le visioni e le concezioni storico-filosofiche che sono da anni al centro dei dibattiti sulla sorte del mondo e dell’uomo: il ribollire inarginabile della natura, in bilico tra potenza creatrice e distruttrice, la tendenza dell’uomo a distruggere chi è diverso – in un’accezione razziale-religiosa –, e nella dinamica evolutiva, progresso come credo, stravolge gli equilibri della natura, subendone tutte le conseguenze catastrofiche.
Inutile dire che ci troviamo di fronte a problematiche di attualità. In una scala di proporzioni variabili, il terremoto dell’Abruzzo, il cataclisma di Haiti e del Cile, la distruzione della barriera corallina in Australia, la marea nera nel Golfo del Messico, fino alle alluvioni dell’Afghanistan e del Pakistan di questi giorni sono solo alcune delle catastrofi che si sono abbattute sulla terra nell’ultimo anno e mezzo.
Rispondendo alla domanda sollevata dal Théâtres du Globe su come la scena teatrale e performativa possa appropriarsi e rappresentare tematiche legate alla realtà globalizzata e interconnessa, l’Agrupación Señor Serrano crea un dispositivo scenico intrigante e intelligente, complesso nella sua apparente semplicità, in cui la creatività di un lavoro artigianal-manuale, unito all’uso di tecniche di ripresa videodigitali di cui la compagnia ha il copyright, esalta l’artificio della finzione e amplifica l’eco di una realtà multistrato. Il risultato è una performance che colpisce, investendo tutti i nostri sensi e l’intelletto. Assi portanti, la duplicazione di rapporti tra realtà reale e realtà virtuale, che ne è l’immagine con uno scarto di misura (minuscolo/gigantesco) e il concetto di manipolazione.
I performer, in una dimensione materica di artigiani-artisti, manipolano infatti la storia sui tavoli dei plastici, in diretta. Spostando e assemblando oggetti, creando esplosioni, combustioni, inondazioni, attraverso esperimenti chimici affascinanti, imprevedibili e surreali amplificano la duplicità ambigua dei segni del rapporto crudele-volontario, e involontario, in una prospettiva di conseguenze: la natura con l’uomo, l’uomo con la natura, l’uomo con l’uomo. Riprendendo e trasformando in immagine video tutto quanto provocato sul plastico, e manipolando la stessa immagine proiettata, il gruppo crea una realtà addizionata di virtuale fittizia tanto più reale: visivamente è parziale o assente la corrispondenza tra ciò che è proiettato e ciò che avviene sul plastico.
Il pubblico è più di quello previsto. Devono essere aggiunte altre sedie. Una volta sistemato, i performer si scostano dai tavoli, guardano gli spettatori e iniziano a ballare in un clima gioioso. Diego Anido indossa la maschera dell’orso bianco, Àlex Serrano una mascherina con il muso di un cane nero dal naso giallo. Tira fuori una pistola e spara all’orso bianco (in seguito l’orso risolgerà e di nuovo sarà ucciso), metafora delle polarità conflittuali in azione.
Su due pareti del Tinel, sopra a ciò che rimane degli antichi affreschi, vengono proiettate le immagini dei tavoli, e nel corso della performance verrà utilizzata anche la terza parete, con una sensazione per lo spettatore di immersione in uno spazio che continuamente muove lo sguardo e crea percorsi dal micro al macro, da un oggetto reale manipolato manualmente, tattilmente, a un oggetto virtuale, proiettato e a sua volta, manipolato a livello digitale.
La storia dell’uomo diventa la storia della civiltà di tribù di orsetti, arancioni, rossi, gialli, verdi, bianchi. Le loro vicende sono introdotte da un cartello di didascalia come nei cartoon ai tempi del muto, con tanto di motivetto musicale buffo (a ricordare l’Orso Yoghi).
Primo cartello: “C’era una volta una valle in cui la Natura si sviluppava in equilibrio, con tutta la sua forza creatrice e distruttrice”. La prima glaciazione: uno dei performer versa un liquido dentro la provetta e ne fuoriesce una corposa schiuma bianca. Guardo il tavolo ed è schiuma. Guardo lo schermo ed è ghiaccio, verosimile ghiaccio.
Secondo cartello: “Un giorno tribù di arancioni, rossi, gialli, verdi, bianchi, che erano stati espulsi dalle montagne dove vivevano e cercavano un luogo per viverci e ricominciare si insediarono nella valle”.
Saranno sei in tutto i cartelli che ci guideranno nella fiaba. Vedremo apparire sul plastico città di case a funghetto rosso, poi costruzioni più moderne, arriveranno pompe di benzina – emblema di società più fiorenti e progredite. La civiltà inizierà così ad autodistruggersi.
Un orsetto viene fatto sciogliere. Guardo il plastico: l’orso è sul piatto di una semplice, rudimentale, piastra elettrica. Guardo il video: è materia che viene distrutta, si ricrea al contrario, ribolle, si distrugge di nuovo.
Il mondo trema, tutto si rovescia, case, autobus, esseri-orsetti, una distruzione totale. Ai tavoli i performer agitano fogli su cui sono appoggiati gli oggetti: ecco il terremoto.
Il quinto cartello ci porta nel XX e XXI secolo: “E così, un bel giorno, in mezzo a questo caos, un arancione pensò che le catastrofi esistessero per colpa dei rossi, dei verdi, dei bianchi e dei gialli e dei loro figli bastardi, e spinse gli altri a prendere delle misure al riguardo”. Hitler, Bush, Ahmadinejād, Ariel Sharon compaiono sulle pareti, accesi da discorsi sul razzismo, sull’odio per gli altri. Gli accostamenti risultano un po’ superficiali, confondendo l’estremismo religioso con il razzismo, ma la dialettica di Bush incentrata sul “tutti mangiano i nostri pop corn” fa ridere e allo stesso tempo spaventa.
Siamo alla combustione finale. Gli esseri-orsetti verranno arsi e sciolti sulla piastra. Sul video rimaranno le fiammelle. La stessa piastra servirà poi proprio a far scoppiare dei pop corn. Ad offrirli al pubblico, insieme ad orsetti di gelatina, sarà ancora l’orso bianco, risorto e redivivo, in attesa di fare il suo debutto italiano a Biella, il 16 settembre prossimo, alla XXIII edizione del Festival Internazionale delle Arti Differenti Sensazioni.
KATASTROPHE – une douce fable
idea originale e drammaturgia: Àlex Serrano, Pau Palacios
realizzazione e esecuzione: Diego Anido, Martí Sanchez, Pau Palacios, Àlex Serrano
applicazione video interattiva: Martí Sanchez
produzione e assistente alla regia: Barbara Bloin
assistente chimico: Irene Lapuente
durata: 25′
applausi del pubblico: 4′ 30”
Visto a Villeneuve-lez-Avignon, Centre National des écritures du spectacle La Chartreuse, il 23 luglio 2010
Festival Théâtres du Globe