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Avignon 2011: Katie Mitchell e la percezione del dettaglio

Katie Mitchell (photo: klpteatro.it)
Katie Mitchell (photo: klpteatro.it)
Katie Mitchell (photo: klpteatro.it)

Scrivere di un festival è scrivere degli incontri. Un festival internazionale come Avignone o Edimburgo è fatto di incontri: emotivi, personali, conoscenze, biglietti, brochure, spettacoli, mini performance di strada, vicini di poltrona.

Anche uno spettacolo è fatto di un gran numero di persone, e alcuni maestri del novecento hanno portato in scena il backstage, con l’intento di disvelare il “gioco” del teatro, per suggerirne un ruolo altro, che andasse anche oltre il coinvolgimento emotivo. La diatriba è durata molto a lungo e in fondo ancora dura. Katie Mitchell & Leo Warner si insinuano a nostro avviso in questa frattura concettuale, spingendo il teatro verso l’ineluttabile multimedialità che ormai lo compenetra, ma lasciando che poi il tutto venga ricondotto alla base del ragionamento scenico: un testo e un attore che lo rappresenta.

In diversi dei più recenti spettacoli della 46enne regista, insignita quest’anno a S. Pietroburgo del dodicesimo premio per le Nuove Realtà Europee, la messa in scena è stata realizzata mirando, grazie alla collaborazione di Warner, ad un esito filmico prodotto in sala, sotto gli occhi degli spettatori, da attori, fonici, macchinisti, rumoristi, attrezzisti ecc, tutti in scena.

Eravamo rimasti assai colpiti due anni fa dal “Wunschkonzert” di Franz Xaver Kroetz prodotto dallo Schauspiel Köln, interpretato da una superba  Julia Wieninger.

La cosa ci aveva portato fra i sostenitori del progetto più recente della regista inglese, accanita sostenitrice del metodo Stanislavsky e frequentatrice di lungo corso della più alta scuola russa, da Dodin a Vassiliev e assai vicina anche a Martin Crimp, con cui ha collaborato e di cui ha diretto due opere.

Sembra però, dopo il Wunschkonzert di Colonia e il lavoro tratto da “La Signorina Julie” di Strindberg, prodotto da Schaubühne Berlin e portato ad Avignone, che sia proprio la Germania in questi ultimi anni ad aver dato un po’ casa alla regista, che sempre allo Schauspiel Köln presenterà il suo prossimo lavoro basato sul testo “Gli anelli di Saturno” (in Italia per Adelphi, dopo la prima edizione Bompiani) di W.G. Sebald, grande scrittore, scomparso nel 2001, che nel suo intrecciare memorie e visioni non ha  mai nascosto una prossimità alla poetica di Borges. Di quella poetica della memoria nascosta e di quella capacità di fermarne i frammenti sul volto dei suoi interpreti si sostanzia in fondo la proposta della Mitchell, che proprio grazie alla possibilità di ingrandire i dettagli rispetto alla normale fruizione che il pubblico ha tipicamente in sala dell’apparato scenico, spesso da lontano, ha di fatto squarciato un velo importante sul rapporto evoluto fra spettatore e scena nel teatro della tecnologia.

Quello che però non possiamo non dire, a maggior ragione dopo aver fruito di un secondo esperimento come il Kristin presentato ad Avignone, è che dopo un po’, dopo molto molto poco, l’apparato scompare, quello che c’è attorno si dissolve. Resta l’attore, che vediamo nei dettagli sul grande schermo, su cui tutto viene proiettato, un testo, e la sensibilità della costruzione della memoria.

Sento di dovere, proprio per quella sensibilità che gli incontri belli riescono a dare, un ringraziamento a Katie Mitchell e Leo Warner per la disponibilità con cui hanno aperto questa finestra sulla loro poetica al pubblico italiano, primo frammento di un racconto su Avignone 2011 che proseguirà nelle prossime settimane.

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