Il Flauto Magico di Kentridge alla Scala. E il disegno vince Milano

Die Zauberflöte (Atto II): Ailish Tynan (Papagena)
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Die Zauberflote
Die Zauberflote (Atto I): Saimir Pirgu (Tamino), Alex Esposito (Papageno) (photo: Marco Brescia & Rudy Amisano)

Con “Die Zauberflöte”, in scena fino al 3 aprile al Teatro alla Scala di Milano, il teatro d’opera accoglie tra le sue grandi braccia un altro nuovo arrivo: William Kentridge.
L’allestimento, creato nel giugno 2006 al Théâtre Royal de la Monnaie di Bruxelles, viene riproposto dal teatro scaligero, in co-produzione con il Teatro San Carlo di Napoli, l’Opéra di Lille e il Théâtre di Caen, mentre l’intera città omaggia il grande artista sudafricano che ha donato un’anima particolare al disegno, caricandolo di un potenziale comunicativo del tutto nuovo.

Tra musica, arte e teatro gli appuntamenti con l’artista partono da Palazzo Reale dove, sempre fino al 3 aprile, rimangono esposti i suoi ultimi lavori, “Breathe, Dissolve, Return”, brevi filmati realizzati attraverso l’uso di sculture ‘disgregate’, semplici e poetici pezzetti di carta e fil di ferro che ruotando vanno a comporre figure umane o animali. Alla Galleria Lia Rumma, dopo la performance “I am not me the hourse is not mine”, una personale dell’artista rimarrà invece aperta fino al 7 maggio. Alla Triennale si è chiusa ieri, domenica, la videoinstallazione “What will Come Has Already Come”, che gioca sull’anamorfosi e riflette sull’avventura coloniale italiana. E, ancora, al Teatro Verdi il 20 e 21 aprile è in programma “Woyzeck on the Highveld”, spettacolo tratto da Büchner, con la regia di Kentridge e l’animazione di marionette della Handspring Puppet Company. Una ricca panoramica, insomma, del lavoro del performer, filmaker, disegnatore, regista di Johannesburg, all’insegna di una linea guida che lui stesso ha definito per l’occasione “antientropia”, in virtù di quel profondo desiderio di fare – ma soprattutto disfare – ogni sua opera, in un processo creativo, meravigliosamente mostrato ai nostri occhi, sempre vivo perché dato dal continuo autorigenerearsi.

E così, anche in questo “Zauberflöte”, prima esperienza operistica del regista seguita presto dalla seconda “Nos” (Il naso) di Dmitrij Sostakovic, che verrà riproposta questa estate al Festival d’Aix en Provence, Kentridge porta con sé e dona senza riserve tutta la sua ricerca di anni, e i suoi splendidi disegni a carboncino si fanno animazioni che dialogano con i personaggi della storia di Mozart.

Die Zauberflöte (Atto I): Alex Esposito (Papageno), Peter Bronder (Monostatos)
Die Zauberflöte (Atto I): Alex Esposito (Papageno), Peter Bronder (Monostatos) (photo: Marco Brescia & Rudy Amisano)

Ponendo i cantanti nel ‘ventre di un apparecchio fotografico’ e sfruttando la metafora della fotografia, il regista elabora con la scenografa Sabine Theunissen un impianto scenico che riproduce fedelmente un teatro barocco: quinte disegnate, tulle e fondali che si alzano pian piano a svelare personaggi o videoanimazioni. La scelta è legata anche al fatto che la tradizione barocca dei fondali piatti in prospettiva centrale ricorda al regista il soffietto di una macchina fotografica.
L’impianto rimane fisso dall’inizio fino alla fine, e sembra strano che uno degli artisti per eccellenza che detestano le forme chiuse, fisse, le gabbie, che ha posto come principio fondante della sua arte il produrre opere in continua trasformazione, non soffra di una struttura inevitabilmente immobile.
Un gioco in cui, fedele all’opera mozartiana, si sfidano positivo e negativo fotografico, luci e ombre, dipinte sulla scena, a volte come fossero le sperimentazioni di Man Ray.

I cantanti portano abiti fine Ottocento, assumendo così un aspetto molto più reale e ben poco favolistico; i sacerdoti, ad esempio, non sono né astratti personaggi di un immaginario antico Egitto, né massoni del Settecento ma, come afferma lo stesso regista, “membri di una società di studi esclusivamente maschile, una Royal Geographic Society”.
Bravo e applauditissimo il Papagheno di Alex Esposito, giovane di grande energia e forza comunicativa, che sa coinvolgere nei difficili passaggi recitati dei dialoghi. Le tre damigelle invece non sembrano avere alcuna caratterizzazione specifica, se non quella di essere associate ad un apparecchio fotografico d’epoca con cui immortalano l’avvenenza di Pamino. Allo stesso modo i tre fanciulli sono identificati da una lavagna, a cavalcioni della quale entrano ogni volta in scena. Personaggi reali in contesti da favola illustrata.

Die Zauberflöte (Atto II): Ailish Tynan (Papagena), Alex Esposito (Papageno), i tre fanciulli
Die Zauberflöte (Atto II): Ailish Tynan (Papagena), Alex Esposito (Papageno), i tre fanciulli (photo: Marco Brescia & Rudy Amisano)

Il punto più interessante di tutta questa operazione rimane la domanda che Kentridge si è posto dopo il lavoro preliminare di disegni e animazioni, una volta giunto sul palcoscenico: quale relazione trovare tra i cantanti “vivi” e i disegni proiettati. Una domanda che, risolta o meno, rende il teatro e il modo di fare teatro vivo.
Tale ricerca è visibile nell’arco dello spettacolo in momenti in cui le tracce animate a carboncino diventano, di volta in volta, a seconda dello sviluppo drammaturgico, commento all’azione o presentazione dei personaggi. Un esempio: il primo ingresso di Papagheno, in cui tra l’altro sembra manifestarsi anche l’ombra di Kentridge stesso – forse che lo abbia eletto a suo alter ego? La figura del nuovo amico di Tamino nel presentarsi quasi si sdoppia tra l’immagine concreta del cantante in carne ed ossa e le sue caratteristiche di personaggio amante degli uccelli, ritratte ed evocate alle sue spalle come in una sorta di carta d’identità illustrata.

Kentridge ricerca nella direzione del rapporto dialettico, vuole che i cantanti guidino l’immagine, che la precedano, come se la stessero creando in quel momento, per la prima volta sotto i nostri occhi. Le animazioni diventano materializzazioni dei loro stati e pensieri, ma non solo; spesso, in momenti in cui il silenzio testimonia quanto il pubblico sia rapito dal gioco, tra disegno e cantante si instaura un confronto quasi alla pari. Nella scena, verso il finale dell’opera, in cui Papagheno disperato vuol togliersi la vita, alle sue spalle va costruendosi un disegno, che nel suo realizzarsi pezzetto dopo pezzetto sembra instaurare un vero e proprio dialogo di botta e risposta con il cantante. Alla fine il vincitore rimarrà, nella sua incredibile ironia, il disegno.

Die Zauberflöte
di Wolfgang Amadeus Mozart

Direttore: Roland Böer
Regia: William Kentridge
Collaboratore del regista: Luc de Wit
Scene: William Kentridge e Sabine Theunissen
Costumi: Greta Goiris
Luci: Jennifer Tipton
Video editor: Catherine Meyburgh
Operatrice video: Kim Gunning

Cast:
Sarastro: Günther Groissböck
Tamino: Saimir Pirgu (20, 24, 30 marzo; 3 aprile), Steve Davislim (22, 26 marzo; 1 aprile)
Sprecher / I Priester: Detlef Roth
II Priester: Roman Sadnik
Königin der Nacht: Albina Shagimuratova
Pamina: Genia Kühmeier
I Dame: Aga Mikolaj
II Dame: Heike Grötzinger
III Dame: Maria Radner
Papagena: Ailish Tynan
Papageno: Alex Esposito
Monostatos: Peter Bronder
I Geharnischter Mann: Roman Sadnik
II Geharnischter Mann: Simon Lim
Erster Knabe: Barbara Massaro
Zweiter Knabe: Elena Caccamo
Dritter Knabe: Eleonora De Prez

Produzione: Théâtre Royal de la Monnaie di Bruxelles, Teatro di San Carlo di Napoli, Opéra di Lille, Théâtre di Caen

Visto a Milano, Teatro alla Scala, il 20 marzo 2011

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  1. says: javari

    Il dissidio fra fotografia e disegno arriva dal fatto che le idee prinicipaii qui per la sceneggiatura non sono le sue proprie di Kentridge . . .

    Encore:
    For the true origination, source, and aetiology and conceptualizations of William Kentridge’s direction of Shostakovich’s “The Nose,” as well as the inspiration, ideas, images, and research background for his work of the last decade, including “The Magic Flute,” see “Kentridge” on THE APP on javari (and books by Jennifer Arlene Stone, paperbacks on Amazon).

    NOTA BENE: Kentridge recently has been consistently taking full credit for work not entirely his own. 

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