Per la XX edizione Luca Ricci e Lucia Franchi sono riusciti a ‘sdoppiare’ la manifestazione, ampliandola oltre il tradizionale borgo di Sansepolcro
Anche se solo per due giorni abbiamo voluto gustare l’atmosfera, impastata ovviamente dalla visione di spettacoli, della nuova location del festival Kilowatt, sottotitolato quest’anno “Eccesso di realtà”.
La manifestazione, diretta da Luca Ricci e Lucia Franchi, dopo il suo naturale svolgersi a Sansepolcro dal 12 al 16 luglio, ha trovato infatti un ulteriore significativo prolungamento a Cortona, sempre in provincia di Arezzo, dal 20 al 24 luglio. Nella cittadina patria di Luca Signorelli, Gino Severini e Pietro da Cortona, abbiamo attraversato con il nostro sguardo i primi due giorni di programmazione di questa ulteriore sfida di Kilowatt, giunto alla ventesima edizione.
Nella bellissima cornice del Teatro Signorelli, dopo una visita d’obbligo all’eterea annunciazione del Beato Angelico al Museo Diocesano, abbiamo assistito a due lavori di grande interesse: “About Lolita” di Biancofango e “La Macchia” di Liberaimago.
Di “About Lolita” su Klp aveva già parlato Rita Borga in occasione della Biennale Teatro del 2020; qui aggiungiamo solo alcune nostre annotazioni. Ispirandosi al famoso romanzo di Vladimir Nabokov, già trasposto al cinema tra gli altri da Stanley Kubrick, lo spettacolo di Biancofango mette in scena il tema del desiderio, il desiderio di due uomini (Francesco Villano e Andrea Trapani), tra cui il padre per un’adolescente, Gaia Masciani, declinandolo nel bisogno di sentirsi vivi e liberi nella mente e nel corpo, anche da parte di chi in questo desiderio è l’oggetto: alla fine dunque un inno alla giovinezza.
Per esemplificare tutto questo gli autori della messa in scena, Francesca Macrì e Andrea Trapani, utilizzano il tennis e le immagini video di Lorenzo Letizia: il tennis come metafora sfiancante dell’amore, aggiungendo anche un rimando al “Gabbiano” di Čechov e ai personaggi di Nina e Trigorin.
Ne viene fuori un buon lavoro, che forse non avrebbe bisogno né delle citazioni di approfondimento che appaiono sullo schermo né delle superflue urla di disperazione da parte del personaggio del padre.
Naviga nel solco del teatro dell’assurdo invece “La macchia” di Liberaimago, spettacolo tratto dal testo del giovane autore e drammaturgo Fabio Pisano, vincitore dell’edizione 2019 del Premio Hystrio.
Qui un uomo bussa alla porta dell’appartamento di una coppia per avvertirli che il loro bagno, presente sulla stessa verticale del suo, perde acqua; questo ha provocato la formazione di una macchia di umido proprio sul suo soffitto.
Quando arriva il giovane, il marito è nella sua stanza, in poltrona, a guardare la tappa in salita di ciclismo di cui è patito, la donna è invece alla disperata ricerca della rucola per la cena. Tutti e due sono convinti che il vicino di casa sia in realtà il ragazzo che lavora per il servizio di nettezza urbana a domicilio. Ognuno dice la sua, nel totale inascolto dell’altro, e la coppia non ne vuole sapere di andare a controllare i tubi del proprio bagno. Appare chiaro ci venga nascosto qualcosa che non permette loro di comunicare, mentre l’intruso – dopo aver manifestato ripetutamente le sue ragioni – se ne andrà con l’asse da stiro che la coppia intende consegnare alla nettezza urbana.
Lo spettacolo che, come anticipato, segue i binari dell’assurdo, si discosta non poco dal testo originale, presentato in altre circostanze e da noi frequentato. Vi si adombrano diversi altri sotto-testi: la condizione di straniero dell’intruso, la rabbia esposta della coppia verso di lui, la morte del loro figlio.
Secondo noi, se meglio esplicitate, queste componenti renderebbero molto più forte l’impatto emotivo dello spettacolo, portato in scena da attori di alto livello tra cui spiccano Emanuele Valenti e Michelangelo Dalisi.
Nella palestra di San Sebastiano abbiamo poi visto con molta curiosità “Giacomo” del Teatro dei Borgia di Gianpiero Borgia ed Elena Cotugno, lei splendida interprete di “Medea per strada”.
Il Giacomo di cui si parla nel titolo è Giacomo Matteotti, e il lavoro è incentrato sui famosi verbali integrali di due sedute dell’Assemblea parlamentare che definiscono il rapporto di Matteotti con il fascismo: quella del 31 gennaio 1921, in cui il parlamentare socialista denuncia le connivenze tra le forze politiche borghesi, guidate da Giolitti, e le squadracce fasciste, e quella del 30 maggio 1924, l’ultima seduta a cui partecipò prima del suo rapimento e del brutale assassinio.
Durante il primo discorso, enunciato con forza, per sottolineare parola per parola, Elena Cotugno è seduta su uno degli scranni dell’aula parlamentare, tra altri che paiono simbolicamente divelti; per il secondo, l’attrice è invece in piedi, e nel pronunciarlo interloquisce, gettandosi – come spinta da una forza invisibile – ogni volta per terra, con le feroci interruzioni che arrivano dagli avversari politici alle sue giuste invettive.
Ci sembra che “Giacomo” sia uno spettacolo ancora in via di definizione, soprattutto in questa seconda parte, ancora non sempre precisa, ma il progetto – alle sue prime repliche – soprattutto in questi tempi ci pare quanto mai necessario, soprattutto se rivolto alle nuove generazioni.
Riteniamo poi interessante confrontare due performance che destrutturano due modi di porsi della tradizione per ridonarceli in modo corrosivo.
Konstgruppen Ful è un ensemble svedese formato da performer iraniani. In “Baba Karam”, attingendo allo stile di danza del loro paese, e imbevendolo di atmosfere drag, rovesciano le tradizionali rappresentazioni di genere, e nel contempo il nostro modo di pensare a quel mondo ancestrale. Lo spettacolo riesce in questa impresa anche coinvolgendo il pubblico in modo partecipato e gioioso, facendoci riflettere sulla chiusura mentale di un regime ottuso e invadente.
La compagnia francese di circo e giocoleria Modam, in “Yin”, propone a sua volta una cosa analoga, riproponendo in modo anomalo e più contemporaneo la danza sufi.
Ben strutturata invece nella sua dimensione coreografica tradizionale è “Together” della coreografa olandese Donna Chittich che, insieme alle sue tre compagne, sul palco ci offre un universo femminile pieno di forza e coraggio, anche se non esente da vulnerabilità e offerta di amore, che la danza ci restituisce in modo potente e pieno di suggestioni.
Infine un altro collettivo femminile che conosciamo sin dagli esordi per il loro prezioso itinerario di teatro di figura, sempre riconoscibilissimo nella sua diversità. UnterWasser crea in “Boxes” un vero e proprio percorso composto da diverse scatole, in cui lo sguardo dello spettatore si può immergere in misteriosi e suggestivi micromondi, ricreati attraverso piccoli ed ingegnosi meccanismi di sapiente inventiva.
I giorni del festival a Cortona, nel solco del titolo che è stato posto come cappello dell’edizione di quest’anno, “Eccesso di realtà”, sono stati anche la sede di un profondo ed interessante seminario internazionale curato da Rodolfo Sacchettini intitolato “Fuoco cammina con me” che, parafrasando un famoso titolo della cinematografia di David Lynch, ha proposto una tre giorni davvero interessante, chiamando a raccolta il meglio dei curatori dei festival italiani, i quali – attraverso dei tavoli di lavoro – ne hanno discusso le prospettive future, mescolando i loro interventi a presentazioni di libri e a proposte sul coinvolgimento di nuovi pubblici.