Kingdom. Agrupación Señor Serrano verso quale destino?

Kingdom (photo: Vicenç Viaplana)
Kingdom (photo: Vicenç Viaplana)

Spostandoci idealmente sulla sponda occidentale del Mediterraneo, possiamo riabbracciare, a distanza di quasi un anno dal loro precedente passaggio a Torino, il collettivo Agrupación Señor Serrano, approdato sul palco dell’Astra in occasione del Festival delle Colline Torinesi con una nuova e applauditissima creazione videoteatrale, di stampo ancor più vistosamente cinetico e concertistico rispetto al precedente “Birdie“.

Si tratta di un ironico (e quanto mai allarmante) vademecum sul frutto proibito della “conoscenza” – la banana, si badi, e non la mela! – e sul machismo contemporaneo in stile King Kong: due totem del sistema, due bestie insaziabili, la banana e il gorilla, fra loro vistosamente interrelati, «che hanno bisogno di crescere senza limiti; grandi divoratori di risorse, icone di massa ma, soprattutto, simbolo di una condanna inevitabile per un sistema che non può smettere di crescere anche se ci spinge verso l’estinzione. E se questo è il destino dell’umanità – si chiede il gruppo barcellonese – che cosa faremo?».
L’apocalisse terrestre non è più annunciata dalle schiere angeliche di San Giovanni, bensì da un concerto grunge di accento cino-anglo-catalano.

Lo spazio scenico in cui gli spettatori vengono accolti, tra sbuffi di sigaretta e incensi, è occupato da tre lunghi tavoloni, disposti parallelamente; ciascuno di essi è sovraccarico di fantocci in plastica, fogli di giornale e oggetti stravaganti. Questa regno consumistico dell’objet trouvé – non a caso il titolo dell’opera è “Kingdom” (che allude chiaramente anche alla dominanza maschile) – va a costituire il soggetto di una narrazione per immagini, portata avanti tramite microfoni, green-screen e videocamere da cinque, ottimi, performer.

Strizzando l’occhio al bombardamento della Pop Art e alle colorite nefandezze del trash pubblicitario, Àlex Serrano, Pau Palacios e Ferran Dordal – alternando maniere esilaranti e grotteschi non-sense – intessono una trama drammaturgica assai articolata: si parte dalla Genesi (o forse, dai Genesis), dalla cacciata cioè dall’Eden e dai problemi traduttologici ingenerati dall’insidioso “frutto del male”, niente meno che quella ricurva musa paradisiaca descritta da Linneo nella sua tassonomia del mondo animale e vegetale. La banana appunto.
Passando attraverso le sure del Corano, si arriva a comprendere che la vera profanazione prodotta da Eva sarebbe consistita nell’aver colto la… banana di Dio! Ora, la “platanomachia” degli Agrupación prosegue citando (e riproducendo ridicolmente) le imprese pluviali di Minor Cooper Keith, fondatore della United Fruit Corporation, ripercorrendo al tempo stesso l’ascesa economica e sociale di questo ambiguo frutto della passione: «Nel 1890 nessuno in Occidente aveva mai visto, né tantomeno mangiato, una banana. Nel 1920 era già la regina del supermercato». La filiera produttiva e i suoi pionieri diventano esemplificazione del sistema capitalistico, cui fa da specchio l’industria artistica per eccellenza, quella cinematografica.

Dal produttore al consumatore (di banane), dunque: l’altro leitmotiv dello spettacolo è infatti, come già si anticipava, il mastodontico gorilla di Edgar Wallace, portato sul grande schermo nel 1933 da Merian C. Cooper. Tra chiquitas danzerine e urla à la Fay Wray, lo spettacolo cede volentieri il passo al docufilm e al concerto (che si svolge sul palco posto al fondo della scena): la caduta di King Kong dall’Empire State Building diventa metafora di quel precipitare, tutto contemporaneo, della nostra fiducia nel progresso.
L’opera – in tinte che trascolorano dall’ocra al paglierino – giunge verso la sua conclusione, con l’ingresso di nove nerboruti performer prelevati dalla cittadinanza, che si uniscono ai presenti in una danza haka esplosa alfine in un tripudio di festoni e banconote. L’ovazione è fragorosa.

KINGDOM
di Àlex Serrano, Pau Palacios e Ferran Dordal
regia Àlex Serrano, Pau Palacios e Ferran Dordal
creazione Àlex Serrano, Pau Palacios e Ferran Dordal
performance Diego Anido, Pablo Rosal, Wang Ping-Hsiang, David Muñiz e Nico Roig
performer Rabii Brahim, Tommaso Brugiapaglia, Nicholas Burello, Nicolò Caloiero, Alessandro Castagneri, Andrea Cerrato, Gianluca Gentiluomo, Michele Prudente, Jacopo Siccardi
musica Nico Roig
programmazione video David Muñiz
creazione video Vicenç Viaplana
spazio e modelli in scala Àlex Serrano e Silvia Delagneau
costumi Silvia Delagneau
design delle luci Cube.bz
coreografia Diego Anido
spazio sonoro Roger Costa Vendrell
supporto tecnico Sergio Roca
assistente alla regia Martín García Guirado
capo produzione Barbara Bloin
produttrice esecutiva Paula Sáenz de Viteri
distribuzione in Italia Ilaria Mancia
management Art Republic
una produzione GREC 2018 Festival de Barcelona, FOG Triennale Milano Performing Arts, CSS Teatro Stabile di Innovazione del Friuli – Venezia Giulia, Teatro Stabile del Veneto – Teatro Nazionale, Manchester Home Theatre, Teatros del Canal, Teatre Lliure, Théâtre National Wallonie-Bruxelles, Groningen Grand Theatre, Romaeuropa Festival.
con il supporto di Departament de Cultura de la Generalitat de Catalunya, CCCB Kosmopolis, Sala Beckett, Teatre Auditori de Granollers, Xarxa Transversal, Graner – Mercat de les Flors

durata: 1h
applausi del pubblico: 5′ 03”

Visto a Torino, Teatro Astra, il 13 giugno 2019

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