Kvetch. Steven Berkoff e Julio Maria Martino tra i piagnistei d’una società insoddisfatta

Kvetch

KvetchDopo dieci anni di Stagione Sperimentale Europea, il Teatro della Contraddizione di Milano decide di festeggiare proponendo uno spettacolo ‘vintage’, andato in scena esattamente dieci anni fa e ancora del tutto attuale. Ecco “Kvetch”, di Julio Maria Martino, tratto dalla graffiante commedia di Steven Berkoff.
Il Secret Life Theatre di Londra riporta così a Milano uno spettacolo scritto nel 1986, Miglior commedia dell’anno agli Evening Stand Award e primo premio al Fringe Festival di Edimburgo nel 1991.

Julio Maria Martino, regista eclettico e curioso formatosi all’università di Manchester, utilizza un linguaggio grottesco, in cui il corpo prende forma e diventa mezzo di trasmissione di valori e pensieri, contraddittori e confusi, quasi privi di senso. Gli attori, truccati come maschere, si muovono attorno ad un tavolo che diventa l’elemento di scena (l’unico, insieme a qualche sedia) ed attraversa tutto lo spettacolo come un ‘fil rouge’ concettuale, trasformandosi in letto, macchina, botola segreta e luogo di svelamento di paure e fantasie inconsce dei personaggi.

Il testo di Berkoff mette in scena uno studio sugli effetti dell’ansia, un demone che succhia la fiducia di tutti i protagonisti, piccolo-borghesi dalle ristrette vedute che si dibattono tra mediocrità e paura di non essere all’altezza, un’alternanza continua tra ciò che si è e ciò che si vorrebbe essere.
Protagonista dell’opera una famiglia ebrea, marito, moglie e madre, che convivono in una casa claustrofobica dove la comunicazione è inesistente da anni. Lui, Frank, ansioso, paranoico e terrorizzato dal giudizio degli altri, si dibatte sul desiderio di una vita migliore e la paura di non essere accettato. Lei, Donna, vive nell’ansia costante di non riuscire a preparare la cena per tempo: a volte la scalda troppo presto, a volte troppo tardi, nell’impossibilità di essere la moglie perfetta che vorrebbe. L’altra, la madre, vecchia e ormai pronta alla morte, racconta il suo cinismo e critica tutto ciò che la circonda, tra cattiveria e pietà.

I personaggi sono inseriti in una geometria precisa, in cui non c’è scampo: i dialoghi sono costantemente interrotti da monologhi interiori, che irrompono sulla scena e diventano protagonisti assoluti. Anche i movimenti, nella scelta di Julio Maria Martino, sono emblema di questa geometria. Lo spettacolo è infatti a pianta centrale e le scene si susseguono come quadri, dove i personaggi hanno una loro collocazione esatta e non si spostano (se non nel piano del pensiero) dallo spazio lineare nel quale sono collocati, pur desiderando di continuo di superare il limite imposto.

E allora ecco arrivare un elemento discordante, l’ospite a cena, inaspettato e temuto, quello da cui guardarsi. Il terrore di non riuscire ad essere all’altezza nella conversazione, raccontare una barzelletta, diventa un ostacolo insormontabile, l’ambizione di riuscire a far ridere gli altri, frustrata dal fatto che gli altri non capiscono (ma fanno finta di capire), le fantasie omosessuali mai svelate, il senso di colpa e lo spirito di difesa e sopravvivenza.

Sono questi i personaggi di “Kvetch”, che significa piagnisteo, quello che tutti noi facciamo ogni giorno, di fronte ad ogni difficoltà che si presenta ai nostri occhi. La contraddizione di ottenere ciò che desideravamo e la voglia immediata di tornare alla situazione iniziale, la nausea dell’abitudine e l’inconcludenza della quotidianità. La schizofrenia dei dialoghi e del pensiero, che mostra la costante distanza che c’è tra il piano reale e quello inconscio (si dice sempre qualcosa di completamente diverso rispetto a ciò che si pensa), viene sottolineata da una recitazione urlata e grottesca, dove gli attori si dibattono tra un modo di essere nel mondo e un altro nel loro intimo. Quando parlano con se stessi, il corpo prende vita, finalmente libero di potersi esprimere senza giudizio, lasciando sfogare gli impulsi primari, cercando di buttare fuori la rabbia repressa, mostrando al pubblico ciò che realmente si vorrebbe fare. Ed ecco così Frank che, mentre parla con la madre con fare gentile, si accanisce su di lei, accoltellandola e insultandola per tutte le sue pochezze, e nel momento più alto dell’atto sessuale, mentre Donna sogna fantasie di spazzini nel suo letto, compare Hal, il collega divorziato (e invidiato per la sua inaspettata e nuova libertà), simbolo di una fantasia mai accettata né svelata. Sono continue alternanze tra le aspirazioni e la realizzazione di noi stessi, raccontate in modo esilarante, con un ritmo implacabile, in cui distrarsi è difficile. Uno stile anti-realistico, dove il linguaggio poetico, duro e spietato ci porta a riflettere sull’ipocrisia di una società in cui le convenzioni morali e sociali ci imprigionano e ci impediscono di essere davvero liberi. Anche quando decidiamo di smetterla con i nostri “Kvetch” e tentiamo un’esperienza di liberazione, cambiando vita. Perché, alla fine, siamo condannati a essere insoddisfatti, di tutto e di tutti, ma soprattutto di noi stessi.

Kvetch – neurotic comedy
tratto da Steven Berkoff
regia: Julio Maria Martino
con: Christopher Adlington, Richard Boyce, Tom Cornish, Dagmar Döring, Melissa Woodbridge
durata: 1h 50′
applausi del pubblico: 3′

Visto a Milano, Teatro della Contraddizione, il 13 marzo 2010

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