E’ il classico dittico: due quadri. E nella migliore tradizione dei dittici teatrali di sapore tragicomico, il tragico precede la nota più ironica e leggera.
“La Bambola e La Putana” sono due atti unici, la cui visione è vietata ai minori, che con audacia Teatro Scientifico porta in scena su testi di Vittorino Andreoli. Il celebre medico, noto per i suoi studi sul comportamento dell’uomo e la follia e il suo impegno verso la neurologia e la psichiatria, nell’ultimo trentennio ha corroborato la sua pratica medica con una tensione alla scrittura sia divulgativo-saggistica che artistica, tanto da diventare un punto di riferimento su molti delicatissimi temi del comportamento umano. Di fatto una delle personalità di maggior spicco di quella Verona in cui è nato nel 1940.
E di Verona è anche Teatro Scientifico, il sodalizio artistico nato a metà anni Sessanta come Teatro Laboratorio per iniziativa dello studioso di arti sceniche Ezio Maria Caserta e di Jana Balkan (Giovanna Gianesin), poi sua compagna di vita.
E’ una storia di teatro di famiglia, questa, come sempre meno ce ne sono, ma con un interessante capocomicato per certi versi al femminile di cui si sono fatte interpreti, dopo la scomparsa di Caserta a fine anni Novanta, la stessa moglie e la figlia Isabella. Ed è lei l’interprete e la regista di molte delle produzioni di Teatro Scientifico, divenuta nel frattempo struttura stabile di produzione teatrale riconosciuta dal MiBAC, che ha iniziato ad occuparsi anche di produzioni cinematografiche.
E cinematografica è per alcuni aspetti impliciti ed espliciti la prima delle due parti del dittico, “La bambola”, in cui sono in scena Isabella Caserta e Francesco Laruffa.
La vicenda descritta da Andreoli è molto borderline e gioca, come la regia del resto, sulla presunta normalità con cui una personalità alterata entra in relazione con una bambola, che diventa fulcro dei suoi affetti morbosi, fino all’assurdo della gelosia.
Lo spettacolo, ambientato in un salotto borghese caratterizzato da pochi elementi (un divano letto al centro, un piccolo porta alcolici e un attaccapanni ai due angoli opposti della scena, sul fondo) e da un’ambientazione grigia, vede l’attrice praticamente immobile e fissa nelle pose cui di volta in volta l’uomo la costringe, interpretando la bambola, mentre lui, anche per una straordinaria somiglianza fisica, rimanda l’immaginazione a “Her” (Lei), il film del 2013 del geniale Spike Jonze.
Nella pièce come nel film i due protagonisti sono alle prese con una disperata solitudine, cui non riescono a porre rimedio confrontandosi con altri esseri umani, abdicando a favore dell’inanimato. E se nel caso di Jonze emerge il tema della realtà virtuale che spinge le relazioni verso derive solipsistico-monadiche, qui il tema è molto più umano e riguarda l’indole violenta, il sentimento di insicurezza e il profondo rispetto per l’altro, tematiche care peraltro alla ricerca al femminile cui da anni si dedica Teatro Scientifico, anche partecipando a campagne di sensibilizzazione sulla violenza contro le donne.
La stasi dell’attrice, con la sua umana carnalità che vuole sembrare falsa, ma che comunica una verità concreta, contrapposta alla progressiva escalation di violenza mentale e persino fisica dell’uomo, arriva davvero in più di un momento a far stringere lo stomaco allo spettatore, a farlo sobbalzare, a farne sentire i neuroni specchio sofferenti nell’infliggere un male incomprensibile.
Questo Otello ben interpretato e amante della plastica arriva allo stesso delirio del suo prototipo letterario, immaginando dei rivali fantasma, più per delirio che non per finanche solo lontana realtà. E tutto questo, sotto l’incalzare incessante del loop degli archi e dei fiati di “Time Lapse” (Michael Nyman – 1985), porta gli spettatori in un incubo doloroso assai raro e in alcune immagini indelebile.
E’ un teatro che si fa finzione con la verità e verità con la finzione, per una pièce che termina con questa personalità disturbata che esce di scena, lasciando il sospetto che potrebbe rientrare per cena in una qualsiasi delle nostre case.
E qui in verità siamo scossi. Serve tutta la leggerezza e il sorriso di Isabella Caserta a coinvolgere il pubblico in un secondo tempo di sapore radicalmente diverso. L’incedere ironico con cui l’attrice abbatte in un colpo solo la quarta parete coinvolge il pubblico e lo porta su un viale di periferia, dove assistiamo alle confessioni di una puttana.
Il codice è quasi da commedia dell’arte, con una prosa dialettale veneta che l’interprete porge quasi portandosi di sedia in sedia, coinvolgendo gli spettatori in una sorta di seduta psicanalitica postribolare. E d’altronde il personaggio di questo pezzo di spettacolo lo dice chiaramente: per molti l’esperienza dell’incontro con il sesso di strada finisce per essere (e qui il legame con la prima parte) momento di confronto con la parte più oscura e inconfessabile di sé.
E’ possibile riconoscere in quei frequentatori-fantasma che la Caserta insegue qui e là per la sala persone come noi, animali da cortile, in alcuni casi da salotto, capaci di negare poi l’umanità e la dignità a chi, per 30 o 50 euro, deve ascoltare le parti del nostro carattere con cui non sappiamo fare i conti?
Andreoli scava a fondo e l’allestimento gli va dietro con coraggio, prendendosi il rischio di portare in scena uno spettacolo il cui divieto di fruizione ad un pubblico di minori dovrebbe finanche fare i conti con le valanghe di pornografia accessibile senza filtri grazie alla rete. Ma questo è un altro discorso. Certamente è una riflessione per adulti, su questo non c’è dubbio. Anche perché è nell’età matura che l’insoddisfazione e la malattia dell’indole maschile violenta emergono con più nitida, per certi versi criminale, lucidità, pretendendo persino che questo diventi normale.
“La putana” è un Pierrot di strada con la minigonna a filo di culo e che rientra nei camerini quasi preceduta dagli applausi del pubblico. Forse applausi liberatori, forse di esorcismo dei demoni che nell’ora precedente hanno svolazzato soprattutto sulla testa degli occupanti uomini delle poltrone in sala: e d’altronde anche il pugile suonato di cazzotti ringrazia l’arbitro che suona la campana, ponendo fine al tormento.
La Bambola e La Putana
di Vittorino Andreoli
regia di Isabella Caserta e Francesco Laruffa
produzione Teatro Scientifico – Teatro Laboratorio
Stagione Ilinx teatro
applausi del pubblico: 2′ 07”
Visto a Treviglio (BG), TNT Teatro Nuovo, il 25 febbraio 2016