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La Celestina di Ronconi: sì e no. Due giudizi a confronto

Celestina - Luca Ronconi|Celestina- Maria Paiato

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Celestina- Maria Paiato
Maria Paiato è Celestina (photo: Luigi Laselva)
Che a Luca Ronconi piacciano molto le sfide, anche quelle più ardue, lo abbiamo verificato una infinità di volte. Per cui non ci siamo meravigliati davanti alla scelta di mettere in scena al Piccolo Teatro di Milano (fino al 1° marzo) la, per molti versi “scandalosa”, “Comedia de Calisto y Melibea”, testo tratto dal capolavoro del misterioso scrittore spagnolo Fernando de Rojas di cui poco o nulla si sa della vita.

Definito “romanzo dialogato in ventuno capitoli e un prologo”, l’opera, scritta nel 1499 e suddivisa inizialmente in 16 atti, verrà nel tempo modificata attraverso aggiunte ed interpolazioni, e portata a 21 atti nel 1502, recando in questo nuovo cambiamento il nome finale di “La Celestina”, che è poi il titolo definitivo con cui la conosciamo.

Per questo testo, nella struttura assai ambiguo, incerto fra romanzo e opera teatrale, Ronconi, condotto alla scelta anche dalle parole del “gran lombardo” Carlo Emilio Gadda (che osservava come non fosse possibile, in tempi moderni, farne una messa in scena integrale se non sfrondandone gli eccessi), ha scelto la riduzione franco-canadese di Michel Garneau, già sperimentata con successo da Robert Lepage nella sua edizione con Nuria Espert, rappresentata anni fa anche al Piccolo.

Garneau peraltro va proprio nella direzione opposta, esasperando le passioni vissute dai personaggi, dove l’amore esiste solo in quanto ossessione erotica.
Pensato come una parodia dell’amor cortese, al centro dell’azione scenica ci sono, è vero, i due amanti Calisto e Melibea, ma a farla da padrona è però la maga Celestina, megera esperta in ogni magia e tenutaria di una casa chiusa, che muove per denaro i fili tortuosi del loro amore.
Celestina è una figura di infimo livello sociale che vive in riva al fiume, vicino alle concerie, e pensa solo al proprio profitto personale. Si serve quindi di tutti coloro che possono esserle utili, senza soffermarsi troppo sulle conseguenze che potrebbero derivarne.

Il giovane nobile Calisto, che le ha commissionato i servigi per conquistare Melibea, per Rojas rappresenta la parodia dell’eroe cavalleresco dedito non ad imprese nobili, bensì mosso esclusivamente dal desiderio carnale per la bella, vista come una dea.
Il suo è un amore folle, possessivo e distruttivo, che non concede appagamento, ma che dentro il cuore dà solo un senso di vuoto interiore, che ben esprime Calisto nel  monologo del secondo atto.

La stessa ossessione lega tra loro i servi di Celestina, Parmeno e Sempronio, che per denaro la uccideranno e per contrappasso verranno a loro volta uccisi. Intorno a loro figure che vivono letteralmente nelle viscere della città e che si arrabattono per esistere: Elicia, Areusa, Tristan e Socia.

E’ un mondo senza speranza quello che si denuda letteralmente davanti al pubblico, dove la vendetta e il denaro muovono e imputridiscono ogni cosa, anche l’amore stesso, e dove ogni personaggio si lega all’altro mai con sentimenti veri e duraturi. Un mondo in disfacimento, insomma, forse non molto dissimile da quello che stiamo vivendo.

Il finale è conseguente: Calisto muore mentre scende le scale che l’hanno portato nel giardino della sua ossessione, mentre Melibea si suiciderà per disperazione e vergogna, buttandosi dal balcone di casa davanti al padre. Ed è col corpo della ragazza morto, nudo, che inizia e finisce lo spettacolo.

Pierobon e Guidone nella scenografia di Rossi (photo: Luigi Laselva)
Perché sì (il parere di Mario Bianchi):

Ronconi, dosando tragedia e commedia, muove alla perfezione tutti questi personaggi che si agitano alla ricerca di una felicità impossibile su una scena senza tempo, obliqua e bellissima, opera di Marco Rossi, disseminata di porte senza maniglie, che appaiono e scompaiono aprendo botole, anfratti da cui tutti compaiono e spariscono, trascinati dalle loro ossessioni.

Significanti i linguaggi utilizzati: elevato quello dei nobili, in contrasto con quello della mezzana, delle prostitute e dei servitori (ed è forse questo l’aspetto che più interessava a Gadda).

Per questa Celestina Ronconi ha scelto un cast di rara perfezione: Maria Paiato, carnefice e vittima, è una Celestina terribile in un tour de force ammirevole; Paolo Pierobon è un ossessivo ed ossessionato Calisto, mentre Fausto Russo Alesi e Fabrizio Falco sono Sempronio e Parmeno, servi perduti nella loro cieca ricerca di effimeri possessi. Perfette nel mostrare il loro corpo nei meandri del desiderio, Lucrezia Guidone (Melibea), Licia Lanera (Elicia) e Lucia Lavia (Areusa): tutti si dimostrano ammirevoli nel seguire le indicazioni di Ronconi, ancora una volta vincitore. 

Perché no (di Martina Melandri):

Inevitabile arriva, durante e dopo la visione, il confronto con “Il panico“. A partire dalla scenografia: ripetuta nelle scelte del piano inclinato e di elementi che si muovono da soli. E per la presenza nel cast di Maria Paiato, Paolo Pierobon e Fabrizio Falco, che confermano la loro efficace sinergia, e si distinguono per bravura.

Nonostante Ronconi abbia puntato (o ripetuto) sulle sue formule vincenti, è un peccato riscontrare che lo sforzo fisico, vocale, persino estetico, di Maria Paiato venga invalidato dalla sensazione di trovarsi davanti ad uno spettacolo che può apparire come una “possibilità mancata”.
È la sua interpretazione di Celestina, che rende umana e possibile una figura di infimo livello sociale, a consegnarci il dubbio che l’anziana donna abbia molto altro da raccontare, a farci avvertire l’ingombro ancora presente della sua storia passata. Ma quando Celestina non è in scena, rimane più che altro la scenografia, capace di offrire allo spettatore la possibilità di delineare diversi piani della vicenda: un affascinante sistema di porte mobili, in verticale e orizzontale, nasconde un secondo sistema, parallelo e capillare, che rende l’idea di una “fognatura” con cunicoli sotterranei potenzialmente infiniti.

Tuttavia, sia l’interpretazione di Celestina che l’impianto scenico non bastano a mettere in luce, ad aprire ed eventualmente risolvere, i potenziali diversi risvolti della vicenda, a rinnovare la trama in modo tale da offrire allo spettatore una possibilità critica che attualizzi il “mondo in disfacimento” riportato, nonostante siano fin troppo facili da riconoscere le analogie con la società in cui stiamo vivendo.   

E voi, lettori, cosa ne pensate?

Celestina laggiù vicino alle concerie in riva al fiume


di Michel Garneau
da La Celestina di Fernando de Rojas
traduzione: Davide Verga
regia: Luca Ronconi
scene: Marco Rossi
costumi: Gianluca Sbicca
luci: A.J. Weissbard
suono: Hubert Westkemper
melodie: Peppe Servillo e Flavio D’Ancona
trucco e acconciature: Aldo Signoretti
con (in ordine di apparizione): Giovanni Crippa, Paolo Pierobon, Lucrezia Guidone, Fausto Russo Alesi, Maria Paiato, Licia Lanera, Fabrizio Falco, Lucia Marinsalta, Bruna Rossi, Lucia Lavia, Gabriele Falsetta, Riccardo Bini, Pierluigi Corallo, Angelo De Maco
produzione: Piccolo Teatro di Milano – Teatro d’Europa

durata: 3h 30′ (intervallo incluso)
applausi del pubblico: 3′

Visto a Milano, Piccolo Teatro Strehler, il 4 febbraio 2014

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